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DON ANTONIO RONCHI Ha iniziato l’iter della vita a Cinisello Balsamo, figlio di Mario Piero ed Agnese Berra. Tre giorni dopo, al fonte battesimale di S. Martino della chiesa parrocchiale, gli fu imposto il nome di Antonio, mentre ricevette il sacro crisma, sette anni dopo, dal Card. Ildefonso Schuster il 20 settembre 1937.

La famiglia, modesta ma dignitosa, viveva in una casetta appena fuori dell’abitato tra prati e boschi, luoghi che non gli saranno dissimili da quelli in cui vivrà nella vita di missionario. Con Angelo, fratello minore, trascorreva lieto i giorni, anche se, in uno di essi, dovette tuffarsi in un canale fangoso per liberarlo da circostanza mortale in cui era incappato con una birichinata da ragazzino qual era. Angelo gli vorrà sempre un bene immenso e, durante il ricovero in ospedale, ne riceverà confidenze e volontà estreme.

Nel pieno della giovinezza, verso i sedici anni, pensa seriamente di consacrarsi a Dio. Si consiglia con il parroco; prega, cerca. Conosce l’Opera don Guanella e s’innamora del suo carisma d’attenzione ai poveri e ai sofferenti e bussa alla porta del Seminario S. Gerolamo di Fara Novarese, per iniziare il ginnasio, accompagnato dalle garanzie del parroco:«Offre sicuri segni di percezione religiosa; appartiene a buona e onorata famiglia e, nell’ambito della parrocchia, è di lodevole condotta sotto ogni rapporto».

Trascorre due anni a Fara Novarese e va a terminare il corso di studi umanistici nel nuovo Seminario S. Giuseppe di Anzano del Parco (CO), dove ha modo di prepararsi per il Noviziato come garantisce il superiore della Casa, don Antonio Fontana: «È un giovane di ottima pietà; di carattere sincero, aperto, sottomesso, quantunque un po’ focoso; pieno di buona volontà e di spirito di sacrificio».

Nella Casa don Guanella di Barza d’Ispra, sul Lago Maggiore, all’inizio, ha come padre maestro don Olimpio Giampedraglia, il quale «fortiter et suaviter» lo guida nella via del Signore: «E’ ben intenzionato, d’indole un po’ impulsiva e .puntigliosa» e poi don Armando Budino, sacerdote santo ed ottimo formatore di anime. Gli si affida per essere aiutato a smussare il carattere impulsivo e alquanto inflessibile.

Professa il 12 settembre 1953, seguendo poi la trafila di formazione e di studio propria di quei tempi, per legarsi definitivamente alla Congregazione il 12 settembre 1958.

Per la necessità d’avere educatori provetti nei vari istituti dell’Opera, il Ch. Antonio raggiunge l’Istituto Beato Bernardino T. di Vellai di Feltre, dove trova degli ottimi docenti per il quadriennio della teologia ed incontra don Paolo Cappelloni, con il quale stringerà un’amicizia intessuta di stima e di fiducia, che lo seguirà nel resto del tempo che rimarrà in Italia, prima della missione in America Latina.

E’ alla vigilia del sacerdozio, quando sottomette al superiore la sua volontà definitiva e gli intenti della sua vita: «Dopo matura riflessione e consiglio, dichiaro di sentirmi chiamato al sacerdozio e allo stato religioso con l’unico scopo di santificarmi e di far santi gli altri», rassicurando il Superiore Generale don Armando Budino, suo formatore in Noviziato, d’aver superato gli ostacoli che si portava dietro per il carattere irrequieto e le incertezze di momenti difficili del passato.

E’ sacerdote il 23 maggio 1959 nella cappella dell’Istituto di Vellai di Feltre, consacrato da Mons. Gioacchino Muccin, vescovo di Feltre e Belluno.

Ordinato sacerdote, grato al Signore per quell’immenso dono ricevuto, accetterà ben volentieri  di recarsi in terra di missione. Il 22 agosto 1960, a bordo della nave Giulio Cesare, parte da Genova per il Cile, dove raggiunge la sede dell’Hogar Sagrado Corazón di Rancagua.

L’anno successivo approda a Puerto Cisnes, nella parte Sud del Cile, luogo dal clima rigido. Si trova subito bene, a suo agio come educatore tra i minori e non trascura l’apostolato presso la gente del posto.

P. Antonio vive la freschezza degli entusiasmi apostolici. Per 36 anni dedicherà la sua vita alla popolazione dell’Aysén, mettendo in gioco tutto ciò che natura, grazia e storia gli avevano dato, tra stazioni missionarie, nuove fondazioni, iniziative sociali, centri radio e televisivi.


Vita e opere di Antonio Ronchi in Patagonia

IL MARE, LA PIETRA E LA VERGINE MARIA - Film DVD

C'è una parte del paesaggio del Cile che da migliaia d'anni è plasmata dai venti freddi del sud e da quelli impetuosi dell'occidente. L'hanno chiamata Patagonia, ed è una terra chiusa tra le montagne e il mare, tra le Ande e l'Oceano. Prima che quei venti si portino via tutto, c'è da salvare la memoria di un uomo che viaggiò tra quei paesaggio, quell'uomo si chiamava Padre Antonio Ronchi.

Partì dall'Italia e arrivò in Cile, per conto dell'Opera don Guanella, nell'estate del 1960. Viaggiava a cavallo per settimane intere, spesso da solo, tra la desolazione e la bellezza di quei paesaggi, non mangiava per giorni, dormendo all'addiaccio e se pioveva si riparava sotto le grandi foglie che trovava nella foresta. 

Portava conforto spirituale e aiuti materiali per far fronte ai bisogni dei più poveri, che in Patagonia soffrono anche le durezze di una natura inclemente.

La storia di Padre Antonio Ronchi è riportata in questo bellissimo DVD.

 

L'eredità spirituale di don Antonio Ronchi

Era un uomo dal coraggio adamantino, che rientrava nella speciosità di parte del carattere. Nulla lo poteva fermare. Possedeva una fiducia illimitata in Dio provvido e generoso che lo portava ad osare, a donarsi in modo totale, posto in chiaro che si trattasse di procurare il bene della gente.

E’ stato un camminatore infaticabile sempre vestito da prete con la talare nera, sdrucita, impolverata, ormai consunta dal tempo. Era la sua divisa, il distintivo del «cura rasca», una persona dal fisico robusto con borsetta a tracolla. Lo chiamavano «il Don Camillo di Aysén»: instancabile marciatore, con la gioia nel cuore e la Bibbia nella borsa.

E’ stato, anche un costruttore di cappelle, installatore di stazioni radio numerose per portare la parola di Dio attraverso l’etere nelle case disseminate in spazi immensi e di impianti tv, perfezionati nel tempo sia dal lato della postazione adeguata come da quello del corredo tecnologico, con tecnici all’altezza del compito, preparati con corsi d’addestramento.

Attendeva regolarmente all’evangelizzazione in una cinquantina di missioni dislocate nella regione dell’Aysén e si è impegnato anche a moltiplicare le scuole nei villaggi più popolati, in modo che tutti i ragazzi potessero ricevere almeno l’istruzione elementare del leggere, scrivere e far di conto.

Giustamente, uno dei settori che ha più curato è stato quello della Comunicazione Sociale nelle zone più povere della Regione, allo scopo di procurare «la loro promozione personale e sociale, migliorare la loro condizione di vita ed elevare la loro formazione culturale...».

P. Antonio possedeva un carisma personale che era essenzialmente missionario e che gli impediva di limitare la sua attività. L’intelligenza era straordinariamente viva, il cuore non conosceva confini, la volontà troppo scoppiettante per fermarsi alle «nuges», le piccole attività. Era fatto per cose immense, per abbracciare almeno la Patagonia! Per questo i Superiori dell’Opera don Guanella gli permisero di realizzare il carisma personale a disposizione dei vescovi di Aysén e di Ancúd.

Alla scuola di don Guanella apprese particolarmente due cose: la fiducia nella Provvidenza e l’impegno totale senza misura nel campo della carità.

Ha sempre creduto e confidato nel Signore ricevendone una risposta adeguata. Si dava da fare, smuoveva mari e monti, persone, associazioni, gruppi politici, cattolici o protestanti, pur di portare aiuto alla gente abbandonata, sola, misera, diseredata e misconosciuta.

Ha lavorato fino al logorio, abbracciando nel suo mondo quanto fosse necessario o utile all’azione culturale e alle iniziative della carità: catechesi, pastorale, itinerari di evangelizzazione, preparazione ai sacramenti.

Egli è stato esemplare nel servizio, nello spirito apostolico, nell’intensità della vita spirituale, nella letizia di stile che lo portava a superare ostacoli umani e geografici cantando con gioia piena e sconfinata.   

E’ sepolto in un mausoleo, dalla forma di una prora di nave, posto al centro del cimitero, che da quel momento, per volontà dell’alcade e della comunità di Puerto Aysén, porterà il nome di P. Antonio Ronchi Berra.   

 

Il cammino di santità di don Antonio Ronchi

Il suo apostolato nell'Aysén

L’Aysén che abbraccia un territorio di 110.000 km quadrati - un terzo dell’Italia – è una terra lontana, undicesima regione del Cile, ritagliata tra le Ande a confine con l’Argentina e l’oceano Pacifico, tra la regione di Chiloé al nord e di quella di Magellano al sud.

La sua gente: i pescatori, i boscaioli, le popolazioni dei minuscoli villaggi delle innumerevoli isole dell’Aysén, o delle baracche dei minatori o delle baite di montagna, sparse per le colline quasi sempre innevate della regione patagonica. 

Vi è poi l’azione sociale: qui si aprono spazi senza fine, perché c’è da fare di tutto. In ogni settore è necessario partire sempre da zero per le difficoltà create agli abitanti e agli esploratori o missionari dalle paludi, dai terreni incolti e dall’immense sterminate foreste. Don Antonio capisce che dovrà erigere abitazioni, creare delle scuole e delle cappelle, aprire strade, illuminare i contadini per un miglior sfruttamento dei terreni e le piantagioni. Ci sarà bisogno d’acqua: si devieranno alcuni dei numerosi torrenti, per creare delle confortanti dighe.

Sostenuto dalla volitiva comunità dei confratelli, presenti nel luogo dal 1958, che sentono di operare in totale sintonia con lui, condividendone progetti e percorsi, spesso tortuosi, egli realizza una prima centrale elettrica e dà subito vita ad una «Cooperativa agricola» e una «Pescheria», persuaso che solo così si potranno meglio sfruttare sul mercato i prodotti.

Un terzo settore è dato dal lavoro culturale: l’Opera don Guanella, dai primi tempi della sua presenza in Cile, ha attivato una scuola per bambini, una Scuola Agricola per i giovani per il conseguimento del diploma in Agronomia.

P. Ronchi, senza dimenticare nessuna delle attività in opera, converge la sua attenzione sul mondo della povertà. Ne fa un’attenta lettura, una disanima spietata e si orienta per gli interventi globali: casa e chiesa, laboratorio e catechesi, aiuti d’ogni tipo e lavoro per tutti, ospedali e centri di soccorso.

Ne costruisce uno, accanto alla Chiesa di Puyuhuapi, cercando dottori disposti al volontariato e educatori per «Villa San Luis» in cui sono ospitati i ragazzi abbandonati e in estrema povertà familiare. Otterrà aiuti dal «Catholic Relief Services» del Nord-America, per l’ospedaletto di Puyuhuapi e, nel 1967, «fondi in viveri in gran quantità per costruire un edificio per opere sociali che sarà diretto da Religiose...».

Dagli Stati Uniti, all’Italia, all’Europa. Nel 1968, dalla Casa Divina Provvidenza di Ferentino e dalle Province Lombarde gli pervengono macchinari per la lavorazione del legno in forma industriale: segheria, essiccatoi di legnami, telai e pale meccaniche. Il lavoro cresce a dismisura.

Dopo un breve pausa, dal 1972 fino alla morte sarà definitivamente il  Missionario della Patagonia cilena: prima, alle dipendenze del Vescovo di Aysén, come parroco a Puerto Cisnes dal 1979; e poi, dal 1992, nella diocesi di Ancúd come addetto alla pastorale. Infine a Puerto Montt.

Afferma uno di questi vescovi: «P. Ronchi si sta impegnando nella sua missione con una totalità edificante. Tutto il mondo lo apprezza e gli chiede molto, con ragione. L’unica pena è la sproporzione tra le sue forze, unite a quelle di coloro che lo aiutano, e le necessità pastorali della regione». E, con lettera del 5 dicembre 1981, il Vescovo di Aysén lo elogiava scrivendo: «Il lavoro missionario del P. Antonio si svolge nei luoghi più difficili, per l’isolamento e le molteplici necessità, di questo Vicariato Apostolico di Aysén, luoghi situati tra i Paralleli 44° e 49° della XI Regione Aysén: zona che maggiormente soffre i problemi tipici del sottosviluppo nelle sue varie manifestazioni».

Aggiungeva: «Il compito che abbiamo affidato al Rev. P. Antonio Ronchi consiste, anzitutto, nel dare soluzione ai problemi dell’Evangelizzazione Missionaria, come pure nell’aiutare la soluzione di quelli che sono causati da particolari situazioni umane, sociali, culturali».

Gli anni 1980 costituiscono gli anni più intensi di don Ronchi. Scompaiono le piccole misure. Tutto va alla grande. Allo sguardo non vi è più una comunità, ma un popolo. È il momento di fare appello alle capacità creative. Pur con prudenza, occorre farsi audaci.A voler ricordare l’attività umana d’inculturazione ed elevazione della gente e quella missionaria di apostolato ed evangelizzazione di P. Ronchi non bastano poche righe. Si ricorda quanto gli spetta di giustizia e di carità.

Brevemente: realizzò 50 stazioni missionarie disseminate nell’immensa Patagonia cilena, spingendosi non di rado fino all’estremo Sud, al di là delle Ande, fino ai villaggi della Patagonia Argentina non certo su un comodo treno ma spesso sulla groppa di bizzosi cavalli, con l’incerto della fine del viaggio nell’eventualità d’aver sbagliato strada fino al giorno in cui  poté salire su di robusta quattro ruote, dono degli amici italiani di Cinisello.