Carissimi, auguro una buona giornata a tutti, nella luce e nella gioia del Tempo pasquale appena trascorso e del grande dono dello Spirito Santo, effuso dal Risorto nella solennità della Pentecoste!

Sfogliando le riviste che arrivano alla nostra Curia generalizia, mi ha colpito un titolo  che ho voluto prendere come tema per questa mia comunicazione: «Educare è “farsi casa” e lasciarsi abitare». Meravigliosa frase, che esprime in pienezza il nostro carisma di guanelliani e lo stile che dovremmo applicare nelle nostre case e comunità! Ogni volta che don Luigi Guanella parla o scrive, ha sempre l’intento di educare, e lo fa con chiunque, con gli anziani, i portatori di handicap, gli orfani, i poveri. Per questo la nostra Famiglia guanelliana segue, nell’ambito educativo, il Progetto Educativo Guanelliano, noto semplicemente come PEG. Dal riferimento a questo Progetto promana la nostra pedagogia nel rapportarci con l’altro, chiunque egli sia.  Insistentemente don Guanella, quando parla delle sue comunità religiose, dei centri apostolici e di carità, li identifica con il termine “casa” o “famiglia” e ci esorta a rivestire nelle nostre relazioni interpersonali lo stile di una famiglia, non quello di un istituto, di un collegio, di una RSA, di un centro per portatori di disabilità. Anche se ci sono regole necessarie da rispettare in ognuna di queste realtà, lo stile dei rapporti deve differenziarci come guanelliani. 

Nei primi articoli delle Costituzioni dei Servi della Carità, quando è descritto  il carisma e lo spirito della Congregazione, il riferimento alla famiglia, alla relazione “Padre/Figlio”, lo si trova molteplici volte: «Lo Spirito Santo, per rivelare al mondo che Dio provvede ai suoi figli con sollecita cura di Padre, chiamò il Fondatore» (n. 1); «Dallo Spirito Santo don Luigi Guanella fu dotato di un cuore filiale e misericordioso, capace di sentire Dio come Abbà-Padre, che di tutti gli uomini vuol fare una sola famiglia» (n. 2); «Uniti da speciale vincolo di carità, come membri della stessa famiglia» (n. 4); «Intorno al suo servo don Luigi Guanella il Signore ha suscitato una larga famiglia […] Ciascuno, con modalità diverse e in reciproca collaborazione, partecipa allo spirito e alla missione del Fondatore e ne condivide le responsabilità» (n. 5). L’intero articolo 13 delle nostre Costituzioni è un canto allo “spirito di famiglia”: «Il Fondatore voleva che nelle sue opere tutti, religiosi e assistiti, educatori e allievi, vivessero insieme e formassero una sola Casa della Provvidenza sotto lo sguardo dell’unico Padre. Nella Famiglia di Nazareth, don Guanella ci ha indicato l’immagine esemplare di vita familiare».

Dunque don Guanella vuole che nelle sue case vi sia uno spirito familiare, di accoglienza, di dialogo, con relazioni intense e aiuto vicendevole, con capacità di perdonare e di stare insieme, di promuovere l’altro. Nella sua mente le nostre opere, pur essendo centri di riabilitazione, di cura fisica e mentale, di protezione da un ambiente ostile, devono essere soprattutto case dove si genera amore, tenerezza, comprensione, capacità di attesa dei passi dell’altro, di aiuto e sostegno alla persona in ogni suo aspetto, di promozione della sua coscienza. I ragazzi, gli anziani, i portatori di disabilità devono sentire la struttura come loro casa, come l’ambiente dove uno può vivere felicemente  la sua vita, può conquistare i risultati adatti alle sue capacità, dove si mette in relazione con persone importanti non per la loro autorità o ruolo (medici, infermieri, educatori, specialisti), ma perché membri della stessa casa, ciascuno con i propri compiti da svolgere. Ripeteva don Guanella che la casa è dove uno non si sente a disagio se non ha lavorato quel giorno per guadagnarsi il pane, ma dove uno sente il profumo e il gusto di ciò che mangia come risultato della sua partecipazione, della sua collaborazione ai compiti della casa.  Non è meravigliosa questa visione di don Guanella? Non è forse l’ideale presente nelle nostre case? Ognuno ha valore in sé stesso perché è persona, perché è creato a immagine di Dio. Questa definizione dell’altro deve guidare le nostre relazioni quotidiane verso chiunque.

Lo slogan, da cui è partita la mia riflessione, aveva poi una seconda parte: Educare è “lasciarsi abitare”. Vedete, cari lettori, come la libertà e la volontà personale ritornano sempre a galla e sono fondamentali per realizzare i miglioramenti nella società odierna. Tutto si può fare, se lo si vuole!  Fossimo capaci di condividere, di batterci con impegno e coerenza, perché questi principi si incarnino nella società, nelle nostre case, nelle nostre comunità religiose! La libertà della persona, quando si mette a disposizione degli altri, quando si fa accoglienza e apertura, solidarietà e vicinanza, rispetto e promozione autentica dell’altro, diventa strumento efficace perché i principi della casa e della famiglia si radichino nelle persone e nella società. Quando invece questi valori ci scivolano addosso senza contagiarci, senza penetrare nel cuore e nella mente, suscitano mille obiezioni e ragioni per dire: «Questo non si può fare...Questo va contro la legge... Sono cambiati i tempi...». In tal modo un carisma, dono dello Spirito Santo alla Chiesa e al mondo, viene mortificato e a poco a poco lasciato morire! 

Papa Francesco, nella omelia della Veglia pasquale, ci ha invitati ad «andare in Galilea, a tornare alla grazia originaria, a riacquistare la memoria che rigenera la speranza, alla “memoria del futuro” con la quale siamo stati segnati dal Risorto». Dobbiamo dunque ritornare alla Galilea dei nostri inizi, della nostra esistenza come rigenerazione della fede. 

Auguro a tutti voi, alle vostre famiglie, alle comunità guanelliane questo ritorno all’origine del nostro carisma guanelliano, quando lo Spirito, in un autentico trapianto di carità dal cuore del Padre al nostro cuore, ci ha resi partecipi di uno stile nuovo e profetico, quello che ci spinge a vivere il valore autentico della famiglia! Ce lo auguriamo vicendevolmente!