Non vi è dubbio che il termine «padre» rivesta un'importanza centrale nella persona e nella missione di Gesù di Nazareth (cf lo studio esegetico su «Abba» di J. Jeremias). 

La lettura semplice dei quattro Vangeli può aiutare a scoprire questa novità, fin dall'esordio dell'«esistenza filiale» del Cristo (H. U. von Balthasar). Nel tempio di Gerusalemme Gesù rivela per la prima volta la necessità di «essere nelle cose del Padre» (Lc 2,49), rispondendo all'angosciata domanda di Maria e di «suo padre» Giuseppe. Fin da questa scena lucana si evince la densità tematica della paternità di Dio, che gradualmente si svela agli occhi del lettore in tutta la sua profondità, fino a culminare con le parole finali di Gesù morente: «Padre, nelle tue inani consegno il mio spirito» (Lc 23,56). «Dio Padre» è anzitutto inteso nei Vangeli come «il padre» di Gesù in senso unico (cf Mt 7,21; 11,27). A questo Padre il Cristo si rivolge direttamente per pregarlo (Mt 6,9), benedirlo (Mt 11,25-30), supplicarlo nella prova (Mt 26,39), affidargli gli ultimi istanti della sua vita sulla croce (Lc 23,56).

Nei vari racconti evangelici Gesù parla del Padre rivelando l'autocoscienza di essere «figlio» (Mc 12,6,13,32; Gv 5,25; 10,36). Dagli spiriti immondi (Mc 3,11 Mt 8,29) agli avversari che lo giudicano per farlo condannare a morte (Gi, 5,18; 19,7), emerge la relazione profonda che il Cristo ha con il Padre, invocato familiarmente con «Abba» (Mc 14,36). Nei suoi insegnamenti Gesù parla di Dio come «Padre» che «vede nel segreto dei cuori» (Mt 6,4.6.18), che cerca «adoratori in spirito e verità» (Gi,4,23), che governa la storia dell'uomo (Mt 10,29), senza giudicare nessuno (Gv 5,22) ed è l'unico a conoscere il giorno e l'ora della fine (Mt 24,36; At 1,7).

In modo del tutto particolare Gesù insegna ai suoi discepoli a pregare Dio chiamandolo «padre» (Lc 11,2); la comunità apostolica sente l'impegno di vivere la fraternità e il servizio «nel nome del Padre». 

Seguendo Gesù, i credenti scoprono il Padre che li ama (Gv 16,27) e che nel volto del Figlio contemplano quello del Padre (Gv 14,9). Sarà Gesù stesso ad intercedere presso il Padre perché custodisca la comunità «nel suo nome» (Gi,17,10) e, risorto dai morti, rivela alla Maddalena che nel Padre si compie l'atto ultimo e definivo della sua missione (Gv 20,17). 

Alla luce della rivelazione cristologica, la comunità cristiana vivrà la comunione fraterna secondo la prospettiva della paternità di Dio. Essa ricorda le parola del Cristo che diventano ora programma di vita: «Voi non fatevi chiamare «rabbì», perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli» (Mt 23.8).

Ricevuto lo Spirito Santo dal Padre (At 2,33), i credenti esprimono nella preghiera e nella prassi caritativa la relazione con il Padre (Gal 4.6; Rom 8,15), preservando l'unità e la concordia (Ef 2,18). Il cammino dell'evangelizzazione descritto nel libro degli Atti e nelle lettere paoline ha come riferimento centrale la «paternità di Dio» (Rom 15,6), da cui tutto proviene (2Cor 1,3) e a cui tutto si orienta (1Cor 15.24). L'esperienza della paternità di Dio, espressa in forme diverse, accompagna lo sviluppo della Chiesa e la sua forza testimoniale. L'Apostolo Paolo, in una sintesi mirabile condensata nel suo epistolario, presenta la paternità misericordiosa di Dio (2Cor 1,3). che reca la grazia e la pace (2Cor 1,2; Gal 1,3; Lf 1,2; Col 1,2), l'unico a governare la storia (1Cor 15,24) e a dirigere il cammino dei credenti (2B 3,11). 

Ugualmente negli scritti giovannei si esalta il motivo della paternità di Dio, centrata sull'amore trinitario (1Gv 3,1), fonte della vita e della comunione fraterna (1Gv 1,1,23), termine ultimo del regno dell'Agnello immolato (Ap 1,6).