La Scrittura ispirata rivela anzitutto l'assetto del modello patriarcale ebraico, contesto vivo in cui le tradizioni bibliche hanno attinto la loro origine e si sono sviluppate. Sul piano sociale scopriamo nelle tradizioni comuni ai popoli antichi che il padre è il capo incontestato del clan familiare, riconosciuto come «padrone» e signore della sua casa (Gen 18,12), a cui devono fare riferimento la moglie, i figli e l'intera famiglia, cellula determinante del popolo. «Padri» sono i patriarchi, di cui Abramo è capostipite «secondo la carne» (Rm 4,1). Tuttavia la paternità umana non è che la condizione storica per esprimere una «paternità spirituale e universale» (P. Ternani) di Jahwe, il quale «ha scelto» di fare alleanza con un popolo: Israele. 

Con la parola «padre» gli scrittori antichi ripercorrono la memoria storica delle origini dell'uomo creato e della comunità, presentata nelle tappe della discendenza dei padri come «solidale nel bene e nel male». La paternità indica l'origine della famiglia umana e il fondamento della sua fraternità. Tuttavia esclusivamente in Israele la paternità di Jahwe non è manifestata con un linguaggio mitologico, essa viene indicata mediante metafore sponsali e familiari che confermano la paternità teologica e morale di Jahwe in relazione con il popolo che si è scelto (cf Es 4,22; Nm 1,12).

Dalla lettura dei racconti dell'Antico Testamento si afferma che Jahwe ha «eletto» il suo popolo come «suo figlio» (illuminante la sintesi espressa nella preghiera di Dt 32,1-43) e si è rivelato in tutta la sua misericordia e tenerezza. 

La paternità di Jahwe diventa un motivo di preghiera (Sal 89,17) e un sostegno legato non solo al passato, ma aperto al futuro (Dt 14,4). Soprattutto nella predicazione profetica la paternità di Jahwe è decantata attraverso la sua tenerezza sponsale (Os 11,3; Ger 3,19) e la fedeltà al progetto della salvezza (Is 45,10; 63,16; 64,7). In questo orizzonte di senso, Dio-padre è all'origine della creazione (Gen 1-2; cf A 64,7), delle generazioni umane (Gen 5;10), della monarchia (1 Cr 22,10) e della «storia della salvezza» nella quale si inscrive la vicenda di Israele (Ger 31,9; Mal 3,17; Tb 13,4), chiamato a superare il primato della stirpe «eletta» e ad aprirsi ad una visione universale del mondo.

 La paternità di Dio rivelatasi con l'alleanza del Sinai non è esclusivo appannaggio del popolo eletto. Dalla filiazione abramitica in avanti, Jahwe chiama tutte le nazioni a sperimentare una comune figliolanza (cf Is 2.2-5; Sal 86; cf Gal 3,8). L'uomo sapiente impara l'arte della vita in relazione alla legge di Dio, come un figlio apprende dalla sua sottomissione al padre (cf Prv 3,12, Sir 23,1-4; Sap 2,13-18; 12,7). 

 Tuttavia la paternità di Dio viene espressa in modo unico nella linea del messia, soprattutto in due oracoli profetici: l'eletto-bambino porterà la salvezza di Jahwe e sarà chiamato «padre per sempre» (Is 9,5) e il «figlio promesso» da Natan alla discendenza di Davide, che rivelerà la volontà salvifica di Dio «padre» nell'ora del compimento del Regno (2Sam 7,14).

Si tratta di due testi che costituiscono un'apertura religiosa che avrà conseguenze notevoli nel cammino di fede della comunità ebraica. Un «popolo errante», segnato da prove e indicibili sofferenze, continuerà ad invocare la paternità di Jahwe nelle situazioni di estremo bisogno, riconoscendo nell'alleanza con Dio la propria ragione di essere e il proprio destino.

Il drammatico grido della paternità di Dio si eleva attraverso la voce dei poveri e degli esuli di Israele, all'indomani della tragedia nazionale dell'esilio. Tuttavia neppure la disfatta del regno di Giuda e la successiva orfananza di Israele (cf Lam 5,3) eliminerà la struggente nostalgia del Padre e l'attesa del compimento delle sue promesse. 

 L'Antico Testamento si chiude con la presentazione dell'uomo saggio che prega Dio confidando nella sua «paternità» e mettendo le sorti della propria vita nella «signoria del Padre» (Sir 23,1.4; 51,10). 

In definitiva l'idea della paternità e della rivelazione di Dio come «padre» restano sullo sfondo di un'attesa nella fede di Israele, che dovrà essere realizzata nel compimento degli tempi ultimi.