L'eredità spirituale di Alessandrino Mazzucchi

  • Un ragazzo innamorato della vita, del bello, delle cose semplici; apprezzato e ricercato come compagno nei giochi e negli impegni sia in casa che nella parrocchia.
  • Un ragazzo maturo che ha saputo dare lo spazio giusto a Dio nella sua vita: fedele alla preghiera e alla Messa quotidiana. Era maestro ai suoi fratelli ed amici nella preghiera del rosario e nella partecipazione al mattino presto, tutti i giorni dell’anno, alla Santa Messa dalla quale attingeva la gioia e la forza per essere felice e disponibile verso tutti.
  • Un ragazzo entusiasta e pronto a servire gli altri fino all’eroismo. La sua morte nel giorno di San Luigi poteva forse essere evitata se fosse rimasto con la mamma venuta apposta per stare con lui e non avesse prevalso il “senso del dovere” nel servizio di carità verso i ricoverati della Piccola Casa della Divina Provvidenza di Como. Un ragazzo che ha saputo fare una simile scelta, posticipando anche i vincoli di affetto della madre per stare con un ammalato non può che essere in sintonia profonda con il Buon samaritano per eccellenza, Cristo Signore. Il Beato Cardinal Ferrari amava raccomandare Alessandrino come modello ai ragazzi della casa di Como: “Voi della Casa della Divina Provvidenza abbiatelo caro come un tesoro”.

 

Il cammino di santità di Alessandrino Mazzucchi

La sua vita, si potrebbe definire, è la storia, quasi il ritratto con aureola di un ragazzetto che seppe unire, quasi tutti i tratti di bontà precoce senza sbavature, in un quadro di qualità naturali e di grazia che stupirono tutti quelli che gli furono vicini e ne sentirono parlare dai testimoni diretti. Una luce senza ombre, si direbbe, se non si avesse il timore di esagerare o di stravedere. Ma anche nulla di eccezionale o di strano, se non quell’accumularsi insieme in una personcina snella e regolare di tante qualità, più spesso negli altri suddivise fra più persone. 

"Era di fisionomia aperta, di costituzione piuttosto gracilina; il bel viso candido e oblungo; gli occhi grandi, ridenti e sereni, che ti guardavano con attenta ingenuità; vi traspariva la sua innocenza e intelligenza non comune, l’affettuosità tenera e calda…

Non era uno di quegli insipidi bambini, che stan lì, rinsaccati e àpati, e son detti buoni, perché non hanno né vita, né spirito e non si muovon mai; egli era, anzi, di spirito vivace; d’intelligenza perspicace e pronta già in evidenza dai primi anni di infanzia”.

Precoce era pure la sua virtù: una virtù sbocciata e portata sempre più innanzi dalla grazia, ma anche riflessa e matura in un comportamento ordinato nella sua spontanea schiettezza e semplicità, da colpire chiunque l’osservasse.

E nel paese, si diceva, indicandolo nel passare: “L’è ‘l Sandrin di Mazucch!”. Colpiva la sua gioia e il suo ridere aperto e pulito. 

Aveva un senso profondo di Dio, lo sentiva vicino, come un amico a cui poteva rivolgersi e parlargli, pregarlo a lungo; diventò maestro di preghiera per i suoi fratellini e pa’ Natale a volte ironizzava su questo “pretino” di sei o sette anni.

Si sentiva in compagnia degli angeli e dei santi e gli sembrava che questi pregassero con lui. Il bambino viveva già in Paradiso….allora insegnava anche ai fratelli minori a pregare. Leonardo ricordava come un giorno gli avesse insegnato la Salve Regina in latino: lui quattro - cinque anni e Alessandrino nove o dieci, maestro di latino. Arrivati quasi alla fine, alle parole “post hoc exilium”:  “io mi fermai: post hoc … post hoc …: non volevo credere che nella Salve Regina ci fossero quelle parole così strane. Ed egli infaticabile: post hoc! post hoc!, e insisteva a dirmi di andare avanti e di ripetere, che era giusto così. Non fui persuaso, se non dopo aver aperto la finestra e averne interrogata la mamma, che stava abbasso in cucina. Alla risposta che era giusto, mi persuasi”.

Naturalmente un ragazzo così  era finito nel gruppo dei chierichetti della parrocchia di don Guanella ed era fedele al suo compito e ai suoi turni anche nei giorni feriali. In quell’epoca senza televisione serale, senza luce elettrica e con tempi di lavoro di dieci ore giornaliere, i ritmi della vita erano diversi; molti che volevano andar a Messa anche nei giorni feriali, prima del lavoro, dovevano alzarsi assai presto e la Messa seguiva il segnale dell’Ave Maria del mattino (d’estate era alle ore quattro) e Alessandrino scongiurava i genitori e la mamma soprattutto perché lo svegliassero e lo lasciassero andare alla Messa; recitava il suo latino quasi perfetto, anche nei salmi e alle letture, quando c’era l’ufficiatura dei defunti o i vespri domenicali.

Don Guanella lo osservava al catechismo, attento e sempre pronto a spiegare, a ripetere, a domandare; lo vedeva all’oratorio, allegro, vivace, simpatico: correva, rideva, saltellava, giocava alla palla con mirabile destrezza, in quell’ampio prato vicino alla chiesa parrocchiale. Andavano al lago, salivano sui monti, giocando, cantando; la gente commentava: “quel figliolo di Natale ha un’aria particolare così simpatica e cara: è proprio un figliolo che ha dello straordinario!” .  E anche don Guanella doveva convenirne: no, non era strano e anormale quel figliolo, era proprio straordinario.

Nella Piccola Casa della Provvidenza c’era l’usanza di fare un giorno ogni mese, l’esercizio della buona morte; ciascuno allora che si era in pochi, si sceglieva il giorno che voleva e Alessandrino si era scelto il 21 di ogni mese in onore del suo caro San Luigi. Era solito ripetere: “Oh, come mi piacerebbe morire come morì San Luigi: nel giorno di San Luigi!”.

In quel giorno - 21 giugno 1890 - festa di S. Luigi Gonzaga, si festeggiava l’onomastico di don Guanella. C’era anche la mamma che era venuta a trovarlo, ma  egli volle mangiare lo stesso tra i ricoverati.

“Venne l’ora del pranzo. Un pranzetto a parte era stato preparato per la signora Domenica e i suoi figli; ma Alessandrino tanto pregò la mamma, che ottenne di continuare la compagnia al buon Lino (Crosta) anche in quel dì. Rincresceva al suo cuore d’oro di lasciar solo e mesto il poveretto, proprio in quel giorno in cui tutti erano allegri e contenti. Con la promessa, dunque, di ritornare presto alla mamma  sua, volò il giovinetto presso il suo caro Lino e con lui incominciò a mangiare, benché provasse più difficoltà e ripugnanza del solito a mandar giù il cibo, pur tuttavia, sforzandosi e vincendosi, riuscì a inghiottire la sua parte. Ma alla fine, non potendone più dallo sconvolgimento fisico disse al compagno: ‘Sei contento, vado a giocare un po’ sull’altalena, per vedere di meglio digerire e poi torno alla mia mamma, che mi aspetta?’. Al che subito il compagno acconsentì”.

Gli amici lo invitarono a giocare insieme e poi a salire sull’altalena. “Egli si fece il segno della santa croce e vi montò, aggrappandosi bene alle corde; certo Bianchi di Spurano gli diede la spinta e lo sollevò in alto. Gravato nello stomaco e nella testa dal cibo appena ingerito e dal nauseabondo odore presso il Crosta, un capogiro improvviso lo assalì e fu visto abbandonar le corde, rovesciarsi indietro e precipitar dall’alto sul terreno, battendo forte sul medesimo il cervelletto. Fu uno spavento! Tosto raccolto, privo di sensi e insanguinato, fu, da un certo Domenico tipografo, portato in braccio in una saletta e deposto sopra un piccolo divano. Messogli sotto il guanciale, vi restò grossa macchia di sangue. Don Luigi, avvisato accorse presso il suo caro e prediletto figliuolo, diede l’assoluzione sacramentale condizionata al giovinetto e andò in cerca della madre, per prepararla, con ogni delicatezza e prudenza alla tristissima notizia. ‘Mi rincresce disturbarvi, Domenica: il nostro Alessandrino si sente poco bene!’. Rimase attonita la donna; poi, di colpo, esclamò: E’ morto, è morto!”. Alessandrino morì infatti la sera stessa, a poco più di 12 anni.

 “Don Guanella, che sofferse tanto nel vedersi tolto quel figlioletto caro, speranza per lui ben promettente, lo ricordava spesso e ne parlava con più vivo rimpianto, esclamando: ‘Ah, era proprio un fiorellino eletto ed il Signore se l’è voluto portare in Paradiso! Fiat voluntas Dei!’. E lo proponeva a modello a tutti, narrandone i tratti di virtù e di pietà singolari. Le Suore poi, ne tennero sempre viva in cuore la memoria e l’ammirazione”.

E fu ancora don Guanella che sulla lapide del cimitero di Pianello (in seguito sostituita da un'altra per  tutti i morti della famiglia), sotto l’epigrafe del padre Natale Mazzucchi, fece incidere la seguente: “Il figlio Alessandrino – nel sorriso dell’innocenza – ricco di particolaridoni – di natura e di grazia – in età di anni 12 volò al Cielo – il 21 giugno 1890 – in grembo al genitore diletto.”  Commenta il biografo:“in questa chiara, sobria ed eloquente epigrafe un santo sintetizza egregiamente la vita e le virtù di un altro piccolo santo”.