Una pagina importante della nostra storia fu segnata dal Capitolo generale di cinquanta anni fa, dal quale uscì eletto come superiore generale il sesto successore di don Guanella, il valchiavennasco don Olimpio Giampedraglia, la cui memoria fra noi è in benedizione.
In tutta la nostra breve storia è stato l’unico superiore generale che non ha potuto terminare il suo mandato, a causa della malattia intercorsa e della morte.
Un numero considerevole dei Servi della Carità di oggi non hanno conosciuto don Olimpio e qualcuno, forse, non ne ha mai neppure sentito il nome, anche se ha segnato una tappa decisiva del nostro cammino di famiglia, sia per l’alto profilo personale, sia per gli avvenimenti che lo videro protagonista.
LA CHIESA CHIEDE DI RINNOVARE LE COSTITUZIONI
Mezzo secolo fa dai fermenti del Concilio Vaticano II venne toccata tutta la Chiesa e, ovviamente, anche la vita consacrata.
Il 28 Ottobre 1965 Papa Paolo VI promulgava il Decreto Perfectae Caritatis sul rinnovamento dei religiosi, indicando solo l’orizzonte del cambio: la norma fondamentale della vita religiosa è seguire Cristo come insegnato dal Vangelo, per cui questa norma è da considerarsi ‘la regola suprema’ da tutte le congregazioni.
Appena dieci mesi dopo, il Motu Proprio Ecclesiae Sanctae, promulgato il 6 Agosto 1966 dallo stesso Papa, indicava i criteri per l’applicazione di alcuni Decreti del Concilio, tra questi il Perfectae Caritatis, affidando ai Capitoli Generali di ogni Istituto il compito di realizzare il rinnovamento anzitutto attraverso il rifacimento delle Regole e delle Costituzioni. Una rivoluzione.
Subito dopo il Concilio, le reazioni interne a molti Istituti, e anche fra noi, furono di freno, per la preoccupazione che si generasse un disfattismo generale in cui buttare dalla finestra tutto il vecchio, senza avere ancora il nuovo a disposizione.
Don Armando Budino, superiore generale, nella lettera ai Confratelli per il Sacro Cuore di quell’anno aveva appena scritto sul bollettino del Charitas:
“Si è tanto parlato in questi tempi di riforma.
Ma noi singolarmente sentiamo il problema?
Io credo che questa non si manifesta in un corso di dottrina o in un canone disciplinare…
Le regole tanto buone di un tempo, hanno pieno vigore anche oggi, non sono abrogate. Osserviamole…”
In casa nostra, di fatto, vigeva ancora il testo delle Costituzioni che la Santa Sede ci aveva approvato il 16 Luglio 1935, dopo circa venti anni di tentativi falliti del Fondatore e altri venti anni di lavoro dei suoi successori.
Già nel precedente Capitolo generale del Luglio 1964 si era stabilita l’istituzione delle Commissioni di studio, nel numero di otto (governo, spirito, formazione, amministrazione e propaganda, edilizia, assistenza, educazione, parrocchie); ora la Santa Sede chiedeva che appunto attraverso delle Commissioni di approfondimento si riformulassero i testi legislativi, ma doveva essere un lavoro corale, non solo una produzione di pochi esperti.
Così, nel Novembre del 1966, il padre Generale don Armando Budino avviava la formazione delle Commissioni in tutte le zone della Congregazione attraverso una consultazione, in cui tutti avrebbero espresso il loro voto indicativo.
Nel panorama italiano, che fu quello che produsse poi le prime bozze ‘ad experimentum’ del nuovo testo, vennero coinvolti oltre quaranta confratelli nelle Commissioni di studio: di essi oggi restano in vita solo due, don Nino Minetti e don Carmelo Sgroi.
In diverse commissioni l’anima del rinnovamento fu sostenuta da don Attilio Beria e don Pierino Pellegrini, ma anche don Maurizio Bianchi, don Ezio Cova e don Olimpio Giampedraglia lavoravano in varie commissioni e si sottoposero a un lavoro immane di studio e di elaborazione.
Il 13 Dicembre del 1967, a Como, si tenne una riunione in cui tutti i Presidenti di Commissione dovevano consegnare la bozza di testo preparata, bozza che fu poi presentata all’assemblea di superiori ed economi di tutta Italia dal 17 al 19 Gennaio 1968, nei tre giorni di aggiornamento in preperazione al Capitolo generale speciale che si sarebbe voluto celebrare nel 1968. Un incidente doloroso e pericoloso impose un cambio di programma: la firma di cambiali di favore rilasciate da due nostri confratelli, allora superiori di comunità, nel Giugno 1968, ci portò in tribunale e mise a rischio il buon nome e l’innocenza della Congregazione, oltre a mettere in ginocchio la nostra economia a causa di coloro che pretendevano il saldo delle cambiali protestate.
Così il Capitolo generale speciale dovette slittare e fu indetto l’anno successivo, nel giorno della Festa di San Giuseppe 1969.
IL CAPITOLO GENERALE SPECIALE
Il tema più importante sul tavolo del Capitolo sarebbe stato la revisione del testo delle nostre regole, sulle norme guida tracciate dal Concilio con il documento Perfectae Caritatis poi concretizzato da Paolo VI con il Motu proprio Ecclesiae Sanctae; ma il Capitolo speciale avrebbe avuto da esaminare anche altri due ambiti bisognosi di riforma secondo i dettami del Concilio: anzitutto la formazione dei candidati che era stata trattata dai due decreti Presbyterorum Ordinis e Optatam Totius e attualizzata per i religiosi dal decreto Renovationis Causam, in secondo luogo il tema dell’educazione, esposta nella dichiarazione Gravissimun Educationis. In qualche modo la nostra Congregazione anticipava il lavoro che, nel futuro, avrebbe prodotto la Ratio formationis e il Progetto Educativo Guanelliano.
Il Capitolo si sarebbe celebrato a partire dal 6 Ottobre 1969 nella Villa Cagnola, a Gazzada, in provincia di Varese, una casa di spiritualità allora gestita dai Vescovi lombardi.
Primo obiettivo era affrontare i temi indicati e, all’occorrenza anche servire come Capitolo elettivo per gli uffici di governo. Ovviamente il lavoro sulla prima parte assorbì un tempo talmente lungo da rendere impossibile la trattazione dei temi di governo, economia e riorganizzazione geografica della Congregazione, oltre naturalmente alle elezioni.
Questa fu la ragione per cui il Capitolo si svolse in due sessioni, la prima dal 6 Ottobre al 16 Dicembre 1969 a Gazzada, la seconda dal 19 Agosto al 17 Settembre 1970 a Roma, presso il Collegio spagnolo.
Alla prima sessione i membri sarebbero stati 34, 17 per ufficio e 17 per elezione; risultava un elenco di soli sacerdoti e, siccome il precedente Capitolo generale aveva sancito l’obbligo della presenza di almeno un fratello coadiutore ai Capitoli generali, si decise di estendere la partecipazione a 36 membri chiamando due fratelli coadiutori per privilegio, fratel Liberale De Filippo e fratel Serafino Morandi, che è l’unico vivente dei 36 di quel Capitolo insieme con padre Settimo Zanella, veneto, ancor oggi missionario in America Latina e padre Fortunato Turati, lombardo, oggi in servizio negli Stati Uniti d’America.
Il più giovane dei capitolari era proprio don Fortunato Turati, con 28 anni, mentre il più anziano don Luigi Manazza, con 74 anni.
Alla seconda sessione, perchè la rappresentanza dei confratelli fosse maggiore, si aggiunsero cinque confratelli, l’unico vivente dei quali è don Adelio Antonelli, oggi in servizio presso la comunità San Giuseppe di Roma, in Via Aurelia Antica.
I capitolari erano tutti italiani, anche se alcuni di loro lavoravano fuori dall’Italia
Ben 21 confratelli su 41 erano lombardi e 31 su 41 erano comunque originari del Nord Italia; mentre solo 10 erano del Centro sud.
Fu un lavoro incredibile, durato complessivamente 76 giorni e quattordici settimane, ma pose le basi della vita rinnovata della Congregazione.
Gli ambiti di trattazione erano sconfinati: scrittura, teologia, liturgia, diritto, storia, spiritualità, formazione, pastorale, pedagogia, psicologia, sociologia, vita del fondatore e della congregazione, comunicazione, missione. E poi: governo, legislazione civile, assistenza, sanità, economia. Oltre alle due Relazioni sullo stato della Congregazione previste dalla regola, presentate dal padre generale e dall’economo, vi furono trenta Relazioni tematiche, ventitre nella prima sessione e sette nella seconda. Il peso maggiore dell’eseposizione cadde su don Pierino Pellegrini, don Attilio Beria e don Pietro Pasquali, ma i contributi furono diversi e tutti di rilievo.
Finalmente il 7 Settembre fu eletto il superiore generale, nella persona di don Olimpio Giampedraglia, nativo della stessa Valle del Fondatore, con 55 anni di età.
Il giorno successivo venivano eletti il Vicario generale nella persona di don Vito Zollini e i consiglieri don Pietro Pasquali, don Tito Credaro e don Antonio Gozzo.
DON OLIMPIO GIAMPEDRAGLIA
Pochi, come lui, sono ricordati ancora oggi per il senso di paternità che emanava dalla sua persona; dato abbastanza curioso se si pensa che don Olimpio non aveva conosciuto nè il padre Bernardo, nè la madre Caterina, entrambi morti un anno dopo la sua nascita.
Era nativo di San Cassiano, una piccola frazione alle porte di Chiavenna, lungo la stradale dello Spluga, che collegava Milano appunto con il Passo dello Spluga e la Svizzera.
Don Antonio Zubiani, il giovane parroco valtellinese di San Cassiano, che lo aveva battezzato, su spinta della sua maestra Trussoni, lo indirizzò al seminario dei guanelliani all’età di dieci anni, aprendo per lui quella fase che sarebbe durata poi tutta la vita: al paese il piccolo Olimpio lasciava la zia, la nonna e suo fratello Lorenzo; forse anche per questo vuoto di partenza riuscì a considerare sempre la Congregazione come la sua vera famiglia, perchè era anche l’unica.
Iniziò a Fara Novarese, aperta pochi anni prima come seminario guanelliano, gli studi inferiori fino al ginnasio, vivendo sempre a Fara anche l’anno di Noviziato, dove fece la professione il 14 Settembre 1932; continuò al seminario Vescovile di Como il liceo e la filosofia, abitando in Casa Madre; poi iniziò la tappa romana della sua vita, a Roma, in Via Aurelia Antica, quando frequentò il triennio istituzionale di Teologia all’Urbaniana, culminato con l’ordinazione sacerdotale che ebbe luogo a Como, il 24 Settembre 1938, a soli ventitre anni; tornò a Roma e continuò gli studi, laureandosi in teologia sempre all’Urbaniana, nel 1940. Di seguito si iscrisse all’Università Gregoriana dei Gesuiti e in tre anni era laureato in Diritto Canonico. La fase degli studi fu brillante e aprì un solco nel suo animo perchè don Olimpio restò un uomo di studio per tutta la vita; non era solo intelligente e intuitivo, ma si applicava molto, un vero sgobbone. Visto che la Congregazione pagava per lui, non voleva deludere e poi non voleva essere mediocre.
Nei suoi appunti si trova spesso questo accenno alla mediocrità come un vero danno dell’anima, per cui la tensione fu sempre a dare il meglio, a essere il meglio…
Appena laureato, nel 1943, iniziarono gli incarichi di responsabilità anche se, negli otto anni romani da studente, aveva già lavorato molto, nei tempi consentiti dagli studi, a servizio dei nostri disabili della Casa San Giuseppe. Don Mazzucchi lo nominò prefetto degli Studi nel seminarietto di Via Aurelia, ma già due anni dopo diventava Rettore dello stesso seminario e vice-Postulatore per la causa del nostro Fondatore, aiutante del grande don Mauro Mastropasqua. Esplose qui la passione per approfondire tutto di don Guanella, col desiderio di promuoverne la santità. Ma durò appena un anno.
Nel 1946 lascia Roma per Barza. Ha solo trentun anni, ma il nuovo padre Generale, don Luigi Alippi, lo nomina superiore della più importante Casa di formazione, piena di novizi e chierici. Per i primi tre anni era suo vice don Armando Budino, maestro dei novizi, poi don Olimpio fu nominato anche maestro del noviziato, ma si dovette chiedere la dispensa alla Santa Sede perchè non aveva ancora l’età canonica. Furono sei anni di grande lavoro nel discernimento e nella guida delle future generazioni di guanelliani: godettero della sua guida molti dei confratelli che poi costituirono la dirigenza della nostra famiglia, ai vari livelli: tra gli altri don Vito Viti, don Carlo Bernareggi, don Pietro Pasquali, don Maurizio Bianchi, don Felice Bordoni, don Antonio Gozzo, don Pierino Pellegrini, don Tonino Gridelli, don Paolo Bonomo, don Domenico Saginario, don Sandro Crippa, don Alfredo Rossetti…e la presenza santa del buon fratel Giovanni Vaccari durante tutto il sessennio.
Venne il Capitolo generale del Luglio 1952, a Barza d’Ispra, e don Olimpio vi partecipava di diritto; non vi partecipò per malattia don Martino Cugnasca, da anni segretario generale. Così tocco a don Olimpio prenderne il posto nel nuovo consiglio, risultando il più giovane degli eletti, con trentasette anni: don Luigi Alippi, confermato superiore, aveva cinquant’anni; don Luigi Manazza, vicario, ne aveva cinquantasette, don Leonardo Mazzucchi, secondo consigliere, con sessantasette e don Remo Bacecchi cinquantuno. Quasi tutti erano stati suoi direttori o formatori.
Dovette lasciare Barza e recarsi a Como perchè l’incarico di Segretario generale allora, non esistendo le province, era di grande importanza e di lavoro smisurato. Don Olimpio lo portò avanti per dodici anni, nel sessennio di don Alippi e anche nel sessennio di don Carlo De Ambroggi, dedicandosi anche ad altri ambiti, come la responsabilità sulla formazione di tutta la Congregazione, la redazione del Charitas, il coordinamento dei gruppi degli ex allievi delle nostre case, l’accompagnamento spirituale delle nostre suore e di molte altre congregazioni, l’animazione e la predicazione di momenti formativi, la preparazione della Canonizzazione del Fondatore.
Proprio alla vigilia della Canonizzazione, nel Luglio 1964, si celebrò a Barza il Capitolo generale, dal quale uscì eletto superiore don Armando Budino. Dopo due mandati consecutivi come segretario generale, don Olimpio non venne confermato nel consiglio; l’assemblea, dopo aver votato tutti i consiglieri, lo designava come procuratore generale, ma egli rifiutò. In alcune lettere private scritte a confratelli che gli esprimevano la loro tristezza per il fatto di non essere rimasto nel Consiglio, don Olimpio, con la solita eleganza, rimetteva tutto nelle mani della Provvidenza, fur facendo emergere la sua preoccupazione per non essere stato all’altezza o per aver provocato il rifiuto altrui.
Fu un momento delicato per la sua coscienza sensibile.
Ma venne bene per un altro incarico importante, come il seminario minore di Anzano, del quale divenne rettore solo per un triennio, dal 1965 al 1967, avendo come alunni tanti dei nostri confratelli viventi. Nel triennio 1967-1970 fu inviato come superiore a Milano e fu qui che iniziò a lavorare nelle commissioni di studio che lo videro protagonista per la revisione delle Costituzioni, particolarmente nelle commissioni del governo e della formazione. Entrò preparato in Capitolo, il famoso Capitolo speciale per le Costituzioni, coscienzioso, come era suo solito, ma non prevedeva che ne sarebbe uscito eletto come Superiore. Nella sua prima lettera ai confratelli, il 1 Ottobre 1970, scriveva:
“…quando, il mattino del 7 Settembre scorso, i voti dei padri capitolari si sono orientati, nella maggioranza, verso la mia povera persona, ho dovuto fare appello unicamente a motivi di fede per accettare la croce. E il motivo più valido è stato che non si trattava di un onore, ma di un ministero…”
L’assemblea capitolare gli diede come vicario don Vito Zollini e come secondo consigliere don Pietro Pasquali che già erano consiglieri del precedente governo; entravano come nuovi consiglieri don Tito Credaro e don Antonio Gozzo.
Il Capitolo aveva preso delle decisioni di un certo rilievo, non senza tensioni:
- l’istituzione delle Province
- il trasferimento della Casa Generalizia a Roma
- il trasferimento a Roma del Seminario teologico
- l’approvazione del nuovo testo delle Costituzioni, ad experimentum
Toccò a don Olimpio adempiere al mandato capitolare, con tutti risvolti di dissenso e di contrasto che queste scelte portavano con sè, ma anche con la carica di entusiasmo e novità che introducevano.
Si celebrarono i primi Capitoli provinciali e si iniziò anche l’esperienza della Consulta generale a metà mandato, dopo i primi tre anni di governo generale.
A parte la gestione ordinaria fatta di magistero, di visite, di aperture, chiusure e trasformazioni di opere, di entrate e decessi in famiglia…tra le cose rilevanti vi furono certamente l’inizio della pubblicazione di Servire, come periodico dell’Opera don Guanella, l’avvio dell’opera di Nazareth in Terra Santa e lo sviluppo dato alle case di Spagna.
Il 1 Agosto del 1976, al termine dell’importante XII Capotolo generale che si svolse ad Ariccia, don Olimpio venne confermato superiore al primo scrutinio, all’unanimità, tra l’emozione sua e dei presenti. Gli vennero dati come vicario do Pietro Pasquali, poi don Nino Minetti, don Tonino Gridelli e ancora don Antonio Gozzo. Fu un Capitolo lungo e decisivo, sui temi nodali della vita guanelliana, con ancora dieci relazioni fondamentali che mettevano a fuoco i temi del Capitolo Speciale del 1969 e perfezionavano la visione nuova dei testi costituzionali.
Anche il secondo sessennio fu intenso. All’indomani della rielezione già veniva istituito il Centro Studi Guanelliani come frutto del lavoro avviato anni prima con le Commissioni e nel desiderio che il Fondatore e la Congregazione fossero studiati e tramandati nella fedeltà.
Si istituì nel 1977 la Vice provincia Usa, si fece la prima esperienza di incontro tra consiglio generale e superiori provinciali dal 23 al 25 Maggio 1978, in Casa Generalizia.
Visse la gioia del 22 Aprile 1979, quando un papa, per la prima volta, entrava in una casa guanelliana, a San Pio X presso San Pancrazio, dalle nostre suore.
E arrivò anche la seconda consulta generale, a Nemi, nel Luglio 1979.
Sotto il suo governo si realizzò il primo Convegno nazionale dei Cooperatori guanelliani 3-5 ottobre 1980, anche se don Olimpio era già minato dal male.L’11 Agosto 1980 il vicario generale, don Pasquali, scriveva una lettera alla Congregazione, dando notizie sull’interruzione della Visita canonica in corso in America Latina e sulla necessità di un imminente intervento chirurgico, chiedendo preghiere a tutti.
Entrava nella sua ultima fase portandosi nel cuore i volti di bellezza e di povertà dell’America Latina che tanto avevano scavato nella sua coscienza sensibile, tanto da condurlo a insistere più volte: “Il Signore ha troppa fame, ancora oggi: siate generosi con i poveri…abbiamo troppi soldi…date…date!”.
Finirà la sua corsa il 5 Dicembre 1980, in quella Casa di Via Aurelia Antica dove aveva mosso i primi passi da giovane sacerdote. Tre giorni di autentici pellegrinaggi nella stanza allestita per il commiato e il 9 Dicembre i solenni funerali in Roma, presideuti dal Cardinal Eduardo Pironio, amico dell’Opera e prefetto della Sacra Congregazione per i Religiosi.
Il giorno dopo si ripeteva il rito esequiale nel Santuario del Sacro Cuore, a Como, sotto la presidenza del Vescovo, mons. Teresio Ferraroni, e un’autentica folla di sacerdoti, religiosi e fedeli. Veniva poi sepolto nel cimitero di Como.
Dopo il Fondatore era il primo padre Generale a morire ‘durante munere’.
L’unanime testimonianza sul suo profilo gira, da sempre intorno a pochi nuclei noti.
Un’intelligenza profonda, non solo colta, ma intuitiva, capace di interpretare la realtà delle persone e delle situazioni sotto diversi punti di vista e quindi ‘naturaliter’ apera alla misericordia che è appunto grandezza d’animo.
L’esercizio di una paternità incomparabile. Dopo alcuni governi generali all’insegna della fermezza e di una certa rigidità, a volte poco sensibile al dialogo, egli aveva incarnato lo stile antico del Fondatore: deciso, stabile, ma cordiale, affettuoso, elegante. Sorridente.
Un magistero meno devozionale ed emotivo, ma più centrato sul mistero della vita religiosa e con maggiore fondamento teologico, bíblico, spirituale. Con un linguaggio semplice, non curiale e non artificiale, don Olimpio sapeva puntare al nucleo dell’esperienza cristiana e religiosa.
La libertà dell’animo che si esprimeva nella libertà del tratto.
Libertà dai giudizi, dai condizionamenti, dal ruolo, dalle visioni preconciliari della vita religiosa ed ecclesiale. Ma comunque fedele, tradizionale, nel senso più virtuoso di questo termine. Non era l’uomo delle fratture e delle rivoluzioni, cercava piuttosto di unire il mondo vecchio e quello nuovo attraverso la sua capacità di comprensione.
Don Olimpio è stato una pagina bella scritta nel libro della nostra storia.
Ce lo aveva regalato quel Capitolo Generale di 50 anni fa, il 7 Settembre come oggi, un Capitolo che fu la svolta della nostra vita guanelliana; eravamo nati col Fondatore, ma da quell’esperienza fu come rinascere.
Don Olimpio fu l’uomo di Dio per quella seconda generazione, lui che era stato formatore delle giovani leve e che aveva attinto alle radici dei primi compagni del Fondatore fu l’uomo del passaggio.
A lui la nostra memoria grata, a Dio la lode.
padre Fabio Pallotta, guanelliano
Arca, 7 Settembre 2020
50º dell’Elezione di don Olimpio a Padre Generale