Dopo la sua canonizzazione (23 ottobre 2011) l’amore e la devozione a San Luigi Guanella va estendendosi nel mondo intero, e così il suo spirito e carisma si attualizza e si rinnova rispondendo ai segni dei tempi.
Le novità su don Guanella possono riguardare il ritrovamento di documenti (sue nuove lettere o ricordi), ricerche, conferenze e studi che ne attualizzano la figura e il pensiero.
Da questo sito invitiamo tutti a collaborare in questa raccolta.
Don Guanella, missionario della carità
L’«incontro» e la «condivisione» con i poveri
è divenuto stile di vita per il nostro don Luigi.
Don Guanella per tutta la vita fu animato da una speciale attenzione per i poveri e i bisognosi unita ad un instancabile spirito missionario. Sottolineava lo storico guanelliano don Piero Pellegrini che «accanto ad una profonda imperiosa vocazione per i poveri e per ogni miseria, sentì sempre una forte vocazione missionaria che lo sollecitò per tutta la vita» e che gli rimase sempre nel cuore.
Dall’aspro e incombente giogo di montagne della sua nativa Valle Spluga che, come la siepe di leopardiana memoria «da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude», ha saputo dilatare l’orizzonte della sua mente e del suo cuore per abbracciare tutto il mondo, per «mostrare con il fatto al mondo che Dio è colui che provvede con sollecita cura di padre ai figli suoi» portando ai poveri «Pane e Signore».
1 L’infanzia e l’ambiente familiare
Don Luigi stesso ci guida ad individuare i semi della sua vocazione missionaria. Quando nel 1913-1914 detta le sue memorie autobiografiche Le vie della Provvidenza, non a caso quando parla delle sue opere «Nei Cantoni svizzeri Grigioni e Ticino», fa precedere alcuni particolari della sua infanzia e fanciullezza, quasi a scorgervi «un lontano concepimento di idee, primo passo che conduce naturalmente al secondo in discorso».
Alla «popolazione di Valle San Giacomo […] sobria, lavoratrice e sovrattutto religiosa», non poteva sfuggire la diversa religione professata dai vicini svizzeri, con i quali avevano molteplici rapporti di lavoro, con la conseguente sollecitudine missionaria, animata da semplici e concreti gesti. Quegli stessi gesti che don Luigi aveva potuto osservare nel suo ambiente familiare: «E quando in casa la buona mamma alloggiava qualche protestante che l’indomani avrebbe valicato le Alpi per recarsi al proprio villaggio di Cresta [...], ripeteva: «che pietà fanno quei luterani che sono partiti dalla vera Chiesa loro madre!». Una figura a lui vicina, vista con grande ammirazione, era quella del cugino di secondo grado don Gaudenzio Bianchi: «Quando fanciullo il giovinetto Luigi Guanella vedeva il proprio parente sacerdote Gaudenzio Bianchi, prevosto di Campodolcino, cercare aiuto per impiantare in Andeer una Stazione cattolica, allora pensava di lontano: «Che bella cosa!» .
2. Gli anni della formazione
La vocazione missionaria si delineò e si consolidò negli anni della formazione, soprattutto grazie alla vicinanza e all’amicizia di Giovanni Battista Scalabrini (poi vescovo di Piacenza e “apostolo dei migranti”). È noto che il primo desiderio di Scalabrini da novello sacerdote fu quello di entrare nelle Missioni Estere di Milano a S. Calocero, scelta di una dedizione totale che annunciava in nuce un carisma destinato a dispiegarsi compiutamente nel tempo. Il vescovo Marzorati però si guardò bene dal privarsi di un valido collaboratore e delle sue capacità formative, così dopo soli quattro mesi dall’ordinazione Scalabrini fu nominato vicerettore del seminario di S. Abbondio. L’ideale missionario aveva un’intensa circolazione nel seminario teologico comasco; anche il giovane Luigi Guanella, ne restò incuriosito e affascinato, fino a decidere anch’esso di chiedere il permesso di aggregarsi all’Istituto milanese, ottenendone però un rifiuto, probabilmente a causa della scarsezza del clero in Diocesi.
Di tale domanda, don Luigi ne farà cenno in una lettera da Savogno, nel 1870, al vicario capitolare mons. Ottavio Calcaterra: «Ella si ricorderà di leggeri e il desiderio e le istanze con cui negli scorsi anni io sottoscritto Le indirizzava per ottenere la sua benedizione per le Missioni Estere. Ella si pronunciava in contrario senso però quantunque io ne conservi tuttora vivo il desiderio non penso avanzarle nuova istanza».
A questa richiesta don Guanella si riferirà anche più tardi, nell’ottobre 1881, scrivendo al vescovo mons. Pietro Carsana: «Già nel Seminario teologico e finché partii per Torino nel 1875, per lo spazio di più che 10 anni, feci istanza a questo Ordinariato, perché mi benedicesse per le Missioni Estere».
3. Giovane sacerdote
Anche dopo la sua ordinazione sacerdotale, il 26 maggio 1866, in don Guanella persisteva fortemente il richiamo alla missione. Ricorda don Martino Cugnasca come don Luigi: «amò sempre le Missioni delle quali tanto si occupò sia nel ministero parrocchiale come nelle nostre Case» .
Negli anni in cui era economo spirituale di Savogno si interessò della Missione di Genoa City, negli Stati Uniti, dove erano emigrati alcuni suoi parenti e molti compaesani di Campodolcino: «Lo scrivente nel 1866 fu consacrato sacerdote e due anni dopo poté per mezzo del Ven. D. Giovanni Bosco inviare alla colonia - villaggio di Genoa - City un parroco nella persona di certo don Gabriele Momo sacerdote piemontese di Saluggia, il quale per oltre 25 anni assisté con cura e zelo i parenti di mia famiglia con altre famiglie congiunte e vicine di Campodolcino, i Zaboglio, i Gadola e più altri. In far questo, don Guanella preludeva al fatto dell’invio d’un drappello di suore missionarie nel 1913? Non oserebbe affermarlo; ma è certo che la D. Provvidenza dispone soavemente e fortemente ogni cosa».
4. Presso don Bosco
Proprio al suo arrivo a Torino, da don Bosco, nel gennaio 1875, don Guanella si sentì rivolgere un invito missionario. «Una sera del gennaio 1875 don Guanella s’inchinava per baciare la destra di don Bosco dopo aver terminato la conferenza nella quale coi suoi sacerdoti del Consiglio superiore aveva conchiuso di andare in America; mi salutò dunque dicendomi: «Andiamo in America?». Poco dopo comparve coi suoi sul palcoscenico e cominciò a dire: «Andiamo in America», ed espose diffusamente la cosa». Don Bosco stava infatti uscendo infatti da una riunione del consiglio in cui era stata decisa una spedizione in America, la prima dei missionari salesiani in Argentina, che avvenne verso la fine del 1875 con a capo don Giovanni Cagliero.
Lo stesso invito gli fu rinnovato alla fine del triennio di vita salesiana (1875-1878): «II S. Padre ha dato ordine che per quest’anno si faccia una spedizione di missionari a S. Domingo, dove si tratta di prendere la direzione del piccolo e del grande Seminario, della cattedrale e della Università. Si sentirebbe, caro don Luigi, di far parte di questa nuova spedizione e missione di nuovo genere? [...] Credo che questa sia per lei occasione provvidenziale. Io prego: Ella preghi eziandio per lo stesso scopo».
Ma anche questa volta «Monsignor Carsana vescovo di Como pressava al ritorno e don Guanella si sentiva di dover ubbidire».
Scriverà più tardi don Guanella: «E accompagno copia di lettera di d[on] Bosco in cui mi parla della missione progettata a Santo Domingo. Quella lettera mi fu e mi è tuttavia grave spina al cuore. Ma mi sentiva di potere e di dover fare anzitutto con qualche istituzione un bene alla mia diocesi, ed or mi convinco più davvicino che proprio io doveva ed era chiamato a ritornare».
5. A Traona e a Olmo
Don Guanella, rientrato in Diocesi nel settembre 1878, era destinato a Traona, dove avrebbe potuto realizzare la tanto agognata casa per i poveri che lo stesso Vescovo gli aveva prospettato per sollecitarlo al rientro. «Colassù, come ben sapete, avete case e conventi disusati per quelle fondazioni che sento dire avere voi fisse nell’anima, ma guardate poi che non siano fantasie di cervello caldo e illusioni funeste. Provate per vostro conto che io vi benedico». Don Luigi comunque non perse di vista la motivazione per cui era rientrato.
Nell’agosto 1879 scrisse al salesiano don Domenico Milanesio: «Or mi trovo qui per dirigere in Diocesi una istituzione cum intentione petendi Americam ad Societatem Sales. Si casu in patria institutio non obtineat».
Dopo l’esperienza fallimentare di Traona, nel 1881, dalla solitudine di Olmo, andava ripensando: «I miei confratelli [salesiani] e gli stessi miei scolari compiono imprese belle a gloria di Dio e delle anime in Europa e fuori, ed io qui?».
Il 5 settembre 1881 era tornato infatti a confidarsi con don Bosco rinnovandogli la sua completa disponibilità a tornare per essere destinato alle missioni oltreoceano: «Rev.mo D. Bosco [...] Ma io partendo da Torino nel 1878 ho detto a V.P. Rev.ma che mi sentiva in cuore una di queste due: una istituzione cioè in patria che in seguito sarebbesi affidata a D. Bosco, ovvero il ritorno nelle braccia dello stesso D. Bosco perché credendolo opportuno mi inviasse pure alle missioni americane. Le proposte che mi faceva allora per le Missioni di S. Domingo erano molto lusinghiere, ma in quel tempo vinse in me un desiderio di far prima un bene in patria. […] In questo stato di cose io mi permetto di inchinarle alcune domande e supplicarla a rispondermi [...] appena lo possa. [...] Potrò io curare maggior.te il ritorno a questa cara congregazione o attenermi ai consigli vescovili».
Sempre da Olmo, nell’ottobre 1881, scrivendo al vescovo mons. Pietro Carsana, gli rinnovava il desiderio di tornare da don Bosco: «Nel 1878 poi, invitandomi la E. S. a ritornare in Diocesi, mi permisi farle osservare che sarei venuto quando alla stessa E. S. fosse sembrato che io avessi potuto riuscire in una istituzione in Diocesi, ed Ella mi avesse posto a ciò il suo appoggio morale. Nel caso contrario Le esposi che certamente sarei partito per le missioni americane, alle quali mi invitava con tanta forza Don Bosco medesimo. In questa deliberazione non avrei creduto disubbidire a V.E. perché mi sarei associato alla Congregazione Salesiana, la quale per l'accettazione degli individui, gode dei privilegi concessi agli Ordini Regolari. La E. S. alle condizioni espresse credette di insistere per il mio ritorno, ed io venni e fui per tre anni a Traona con tanto stento quanto Ella sa. [...] Stando così le cose, a me non rimane che supplicare la E.S. perché mi permetta l'accesso alla Congregazione Salesiana alla quale so ancor di essere accetto. Questo divisamento non cessai di rappresentarglielo volta a volta ancora in questi anni, quando Ella facevami scorgere la difficoltà di riuscita a Traona. Se Ella mi benedice io gliene sarò poi sempre riconoscente, e non trascurerò tuttavia in favore della Diocesi di fare tutto quel bene che per avventura da me si possa ancora procurare. […] Intanto se Ella mi benedice per raggiungere la Società Salesiana D. Bosco. Ma se la E. S. non mi concede questa grazia, per alquanto tempo io starò ancora a’suoi comandi, ma sempre attendendo che la D. Provvidenza apra nuove vie per attendere all'opera di istituzione in discorso, ovvero ad accomiatarmi in caso contrario».
6. Da Pianello del Lario a Como
Nel novembre 1881 don Guanella fu inviato dal vescovo a Pianello del Lario come amministratore parrocchiale, dopo le dure esperienze di Traona e Olmo.
Vi arrivò «quasi un cavaliere balzato dal destriero, un poco confuso, umiliato e un poco anche indignato». «Io non sapeva che mi fare... La cura d’anime non bastava in una popolazione di scarsi 1000 abitanti ad esaurire la mia attività [...]. Un pensiero mi martellava: “Sei tu in strada o fuori?” [...] Aver retta intenzione e poi lasciarsi guidare in tutto e sempre dalla provvidenza, ecco il buon modo a riuscire nelle cose».
Ma finalmente anche per lui scoccò «l’ora della misericordia».
La sera 5 aprile1886 una barchetta si staccava dal pontile del piccolo paese alto lariano, alla volta di Como. A bordo c’erano due suore, alcune orfanelle con poche suppellettili. Iniziò così l’avventura missionaria. Qui, proprio nel cuore della città, fu aperta quella che oggi conosciamo come Casa “Divina Provvidenza”.
7. Nella Svizzera Grigione: piccole missioni
Ma il cuore missionario di don Guanella era troppo grande per restare nei confini italiani.
Egli pensava spesso alla Svizzera grigione: «Il pensiero che i Valtellinesi erano confinanti colle regioni del Canton Grigioni protestante e trafficanti sempre con lo stesso e che era pur conveniente che si innalzasse qualche baluardo di salvezza per sé, di aiuto per il popolo grigione residente, questo ha suggerito le diverse fondazioni nel Canton Grigioni».
Ricordava don Guanella nelle sue memorie autobiografiche: «Nell’anno 1897 l’amico e benefattore nostro il signor medico Luigi Fezzi esortò don Guanella a recarsi per un mesetto sulle alture di Montespluga a fine di consolidare la convalescenza per una pleurite patita». Vi si recò nel mese di luglio, come egli stesso ricordava «in castigo dei medici».
Narra don Guanella: «Un giorno [durante questo periodo] giunto solo sul valico delle Alpi [Passo dello Spluga] e viste giù le valli e i monti severi di Val di Reno, recitò da solo qualche Rosario e preghiere per la conversione di quei fratelli». Pochi giorni dopo, il 19 luglio, scese a Splügen e «conchiuse coi signori [Costante] Giuriani,[Giacomo] Tognoni, nostri di Val San Giacomo, Pallavicini di Milano, nonché col signor Trepp, assuntore dell’albergo Bodenhaus, la costruzione di una chiesa cattolica in Splügendorf, a terminarsi possibilmente nel medesimo giorno di san Vincenzo del venturo anno». All’inizio di maggio 1898 don Guanella e il capomastro Antonio Annoni erano a Splügen per l’inizio dei lavori di costruzione; il 6 maggio fu posta la prima pietra. L’inaugurazione avvenne il 10 settembre seguente. Inoltre, don Guanella, di una vicina «casa già osteria pensò farne acquisto […] e comperare poco terreno e stalla ivi, e così costituire una villetta nella quale si accomodarono poi una dozzina di letti allo scopo di asili climatici».
Don Guanella, infine, si premurò di assicurare il servizio religioso, già funzionante regolarmente dal luglio-settembre 1899, oltre che a Splügen anche ad Andeer, presso la cappella che don Gaudenzio Bianchi aveva fatto costruire una trentina d’anni prima e che lui stesso in seguito ristrutturò ed ampliò (1904).
Ma c’era una valle ancora più bisognosa, perché da oltre tre secoli non si praticava più il culto cattolico. Don Guanella agli inizi del secolo XX favorì la diffusione del culto cattolico nella val Bregaglia svizzera, con la fondazione di due stazioni cattoliche: a Promontogno e a Vicosoprano.
«Il vescovo di Coira monsignor [Giovanni Fedele] Battaglia fu assai benevolo con noi nelle opere che si intese aprire nei limiti della sua giurisdizione. Schietto e buono come sempre […] soggiunse: “Mi consola il pensiero che nei primi anni di mio vescovado quasi non era valle che possedesse chiese cattoliche, ed ora a provvedere non mi rimane che la Valle Bregaglia”. Al quale rispose semplicemente don Guanella: “Mi permetta a me stesso di farne le prove e mi benedica”. Ed il vescovo: “Vi benedico voi, e benedico ai 7 mila franchi che io vi darò per aprire una missione in valle Bregaglia”».
Avvalendosi dell’opera di Giuseppe Ghiggi di Villa di Chiavenna, don Guanella acquistò a Promontogno una casa per esercitare il culto ed il ministero cattolico, inaugurata l’8 settembre 1900. Accanto a questa casa, in posizione dominante sul pendio, al limitare del bosco, don Guanella nel 1903 costruì, con l’aiuto del conte Giovanni Battista Salis Soglio, una chiesa dedicata alla Beata Vergine Immacolata, inaugurata il 12 giugno 1904. Nel 1901 nella vicina Vicosoprano don Guanella in una baracca di legno allestì un piccolo oratorio, in seguito sostituito da un’ampia chiesa, edificata «con sforzo perseverante, o meglio con Provvidenza sensibile», dedicata a San Gaudenzio e inaugurata il 31 agosto1909. Nella primavera 1909 la baronessa Augusta de Thierry con il giovane ingegnere milanese Spirito Maria Chiappetta (poi diventato sacerdote) avviò le trattative con il comune di Vicosoprano per l’acquisto del terreno accanto alla chiesa. Qui venne realizzato un edificio, terminato nella primavera successiva, destinato all’abitazione del sacerdote e utilizzato anche come luogo di villeggiatura estiva.
I frutti di questa semina non tardarono ad arrivare: «Prova dell’incremento consolante della missione cattolica fu la processione del Corpus Domini svoltasi Giovedì scorso a Vicosoprano, la quale assorge a grande importanza, se si considera che da ben quattrocento anni Gesù Sacramentato più non usciva in trionfo nella Val Bregaglia».
Queste stazioni cattoliche, per la concezione del suo tempo, erano considerate delle vere e proprie missioni: «Queste stazioni o piccole missioni sono assistite da uno o più sacerdoti dell’istituto, i quali generalmente fungono da parroci missionari».
8. Missionari in Europa
Scriveva don Guanella ripensando al suo pellegrinaggio a Lourdes del 1903: «La breve fermata a Marsiglia, città cosmopolita, dove le chiese sono poche, e quelle poche pressoché deserte, fa pensare che come si mandano Missionari nelle terre lontane, quivi pure sarebbero opportuni, in aiuto specialmente ai nostri italiani che ivi lavorano. Pur troppo la mancanza del Prete, la lontananza dalla patria e forse dalla famiglia, sono condizioni dissolventi, e la fede pericolante dapprima, poi nulla, lascia molti operai senza difesa contro le tentazioni e contro le sette».
9. Inviti per una presenza missionaria in Asia e in Africa
Nel 1902 «il Sacerdote Guanella per devozione ai Luoghi Santi, prese parte al devoto pellegrinaggio presieduto ed accompagnato dall'Em. Cardinale Ferrari. A Beyruth, a Damasco, a Gerusalemme, il Guanella si abboccava con Vescovi, Patriarchi e Consoli per vedere se sarebbe stata possibile ivi una fondazione. A Betlemme e alle Vasche di Salomone, nel luogo detto Hortus conclusus, pareva che l’idea potesse attecchire, ma poi tutto cadde».
Il desiderio di don Guanella si realizzerà circa settant’anni dopo, nel 1975 per opera del confratello don Ugo Sansi, con l’apertura di una scuola speciale per disabili a Nazareth.
Nel 1904 tre vescovi dall’Egitto (il Patriarca d’Alessandria d’Egitto, il vescovo di Tebe e un altro prelato) vennero a far visita alla Colonia agricola di Monte Mario a Roma e gli manifestarono il desiderio di avere un’opera simile nel loro Paese. «Ed egli sentì riaccendersi il desiderio di correre in aiuto di quei poveri Vescovi missionarii». Sappiamo inoltre dalla biografia del Santo scritta da don Leonardo Mazzucchi che ai molteplici inviti di mons. Ghaly, Vicario generale di Alessandria d’Egitto e di un colonnello di Londra ad aprire un’Opera in Egitto, don Guanella concludeva: «Ahimè! La messe è copiosa, ma gli operai sono pochi. Ci tenga conto il Signore dei buoni desideri: e intanto preghiamo e speriamo che altri facciano dopo di noi quello che a noi non fu concesso». Per questo desiderio dobbiamo invece ancora pregare la divina Provvidenza…
10. Negli Stati Uniti d’America
Nel novembre 1912 don Guanella confidava a mons. Attilio Bianchi «che egli aveva sempre avuto il desiderio di portarsi in America, ma stante la sua tarda età aveva deposto ogni pensiero».
Fu lo scalabriniano Padre Vittorio Gregori a incoraggiare don Guanella, che nel novembre 1912 si trovava a Roma in occasione del giubileo dell’approvazione dei Missionari di San Carlo (Scalabriniani): «Non abbia riguardo alla sua età... venga con me in America per i suoi progetti e propositi pii.... Io lo accompagnerò fedele».
Le motivazioni che portarono l’anziano sacerdote (aveva settantuno anni) a intraprendere un viaggio così faticoso e una missione così difficile verso gli Stati Uniti, dovevano essere ben radicate nel suo cuore: era consapevole della necessità di portare aiuto ai nostri connazionali emigrati.
Egli aveva conosciuto personalmente lo sconforto e il dolore lacerante dell’addio alla propria terra. Alcuni suoi parenti erano emigrati in America quando lui era ancora adolescente, ma nel suo cuore era rimasta sempre viva l’immagine della loro partenza. Partenze piene di lacrime, un viaggio incerto; poi, in terra straniera, difficoltà di ogni sorta e soprattutto pericoli morali e religiosi. «Quando nel 1854 emigrarono per l’America del Nord i miei cugini Levi e più tardi la famiglia tutta di mia zia Maria Orsola Guanella vedova Levi, fu un dolore acuto per tutti, come se l’ignoto dovesse inghiottirli».
Già si è ricordato come da Savogno nel 1868 riuscì a inviare, grazie all’interessamento di don Giovanni Bosco, un sacerdote piemontese, don Gabriele Momo a Genoa City (dove erano emigrati i suoi parenti e molti suoi compaesani). Inoltre non mancava di inviare loro qualche numero de La Divina Provvidenza: «Questo modesto periodico giunge fin là non lungi dal Mississipi ad avvicinarli alla patria lontana, e a mantenere in essi l’amore per il bel paese e per le opere nostre alle quali vogliono mandare aiuto».
Nel dicembre 1912 don Guanella intraprese da Le Havre il lungo viaggio verso gli Stati Uniti in compagnia di don Gregori. Voleva valutare in prima persona le occasioni che si presentavano per gettare anche in quel “mondo nuovo”, il seme di una fondazione. «Fiacchezza e timidità nostra non esser venuto qui almeno dieci anni prima. Il desiderio lo si aveva ancor prima di dieci anni fa, ma bisognò aspettare dall’alto la chiamata».
Sei mesi dopo, agli inizi di maggio 1913, dal porto di Napoli, dopo una preghiera al Santuario di Pompei e l’incontro con Bartolo Longo, salpavano sul vapore Ivernia, suor Rosa Bertolini, suor Sofia Iametti, suor Giacomina Ravasio, suor Claudina Bernasconi, suor Savina Andreotti e suor Maria del Co’ alla volta di Chicago. Suor Rosa Bertolini, di Campo Tartano, era alla guida del piccolo drappello di pioniere. Le accompagnava nel viaggio l’ingegner Aristide Leonori, che suor Rosa non esitò a definire “un vero angelo custode”.
Don Luigi non le lasciava sole. Per loro aveva scritto un “vademecum” di carattere missionario dal significativo titolo di Vieni meco per le suore missionarie americane in uso nella Congregazione delle Figlie di Santa Maria della Provvidenza in Como (1913), prezioso accompagnamento spirituale per suor Rosa Bertolini e le sue consorelle negli Stati Uniti d’America.
In queste pagine il suo carisma della carità trova la sua forma tipica di espressione intrecciata all’ideale missionario, nella prospettiva di aiutare le giovani chiese della missione a sviluppare il loro piano pastorale arricchendolo con la testimonianza della carità verso gli ultimi, spesso lasciati ai margini dalla cultura locale.
«La vita missionaria in largo senso è propria di tutte le persone che attendono a fare il bene dell’anima propria e delle anime altrui. In senso stretto la vita missionaria è propria di quelle persone che sentonsi di dire a Dio: “Eccomi, o Signore, sono qui, mandatemi dove volete”, e ascoltano chiara la voce di Dio che loro parla: «Andate, ammaestrate le genti tutte, battezzatele nel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo, ammaestrandole per seguire tutti quegli insegna menti che Gesù Cristo ne ha predicati». Don Guanella fa pure un paragone: «Or fanno due anni, moriva la nobildonna contessa Lapeyrière e legava alle opere di don Luigi Guanella quattro grandiosi ricami parietali, sui quali ella con lavoro perseverante di anni dodici e con valentia pari, sulla seta, coll’ago descrisse le quattro parti del mondo. La figlia missionaria della Casa della Divina Provvidenza deve saper ricamare nella mente, nel cuore e nel corpo medesimo la bellezza di ricamo delle quattro parti del mondo, perché ad ogni parte di esso può essere mandata o per lo meno può essere assegnata ad esercitare lavoro proprio con persone di ogni e qualsiasi parte del mondo». E continua: «Nella vigna del Signore tutte lavorate e tutte lavorate di gusto; il lavoro comune di preghiere e di opere otterrà senza dubbio il sospirato intento. Sotto tale riguardo tutte… possono essere missionarie, perché tutte ed ognuna fra esse direttamente od indirettamente vi concorrono. Questo spirito di missionarie deve invadere l’animo di tutte; questo spirito vi occupi tutte e sempre; ma badate che questo spirito, per essere spirito di Dio, deve essere fervido, ma insieme calmo, sereno, efficace, più nelle opere che nelle parole». E ancora: «avrete a trattare con persone di più lingue e nazioni. Voi stenterete a capire loro e loro dureranno fatica per intendere voi. Ma ben vi farete intendere col linguaggio della carità e con il calore dell'amore divino che vi strugge dentro».
11. Sostegno ai missionari
Don Guanella ebbe inoltre sempre contatti con diversi missionari, favorendo le loro opere. «Posso dire - afferma don Martino Cugnasca - che amò sempre le Missioni delle quali tanto si occupò sia nel ministero parrocchiale come nelle nostre Case, facendo ascritti alle varie Associazioni missionarie, collette nelle sue chiese, mandando elemosine personali. […] per i Missionari faceva pregare di frequente e voleva che a mensa si leggessero i vari bollettini delle Missioni e che se ne parlasse di frequente anche ai fanciulli». Aggiunge don Leonardo Mazzucchi: «II Servo di Dio […] accoglieva nelle Case sue fornendoli di ogni aiuto i Missionari, ne raccomandava i bisogni, ne leggeva con interesse le relazioni; così nelle sue prediche e conversazioni ripeteva spesso le vicende del Card. Massaia, diceva con affetto del Card. Cagliero e dei Missionari Salesiani».
Il cardinale Guglielmo Massaia (1809-1889), era un frate cappuccino missionario in Etiopia, che nel 1846 fu nominato vicario apostolico per la popolazione etiopica dei Galla da papa Gregorio XVI. «Quali prodigi di fatti non raccontasi del sullodato Massaia a proposito di conquiste per la fede? Basti leggere il suo classico libro - I miei trentacinque anni di Apostolato nell’Etiopia! Grande ed utilissimo pensiero si fu quello della Propaganda romana, d’aver inviato i Cappuccini sotto il prefetto padre da Carbonara ad evangelizzare le genti etiopiche».
Don Guanella conosceva bene don Biagio Verri (1819-1884), l’“apostolo delle morette”, attivo in Egitto. «Ogni cuore di fede ammira quegli eroi che lasciata patria e parenti, si inoltrano entro terre lontanissime […] in cerca di anime a salvare. Il venerando Sacerdote Biagio Verri, della Diocesi di Milano e quasi nostro concittadino nella provincia di Como, in accompagnare il ven. servo di Dio Nicolò Olivieri e poi succedergli nell'apostoliche fatiche della redenzione delle Morette africane, si fece specialmente amare e riverire dai Milanesi e da’ Comaschi insieme. Il Direttore della Piccola Casa ebbe la fortuna di trovarsi in qualche relazione epistolare col Padre Verri». Suor Giuseppina, la compagna di missione di don Verri, nel maggio 1894 si era presentata a don Guanella, manifestandogli il desiderio che venisse scritta una vita del missionario. «Conchiudeva la pia Suora “Godo fiducia che la descrizione delle virtù e delle fatiche del Padre Verri, non poco conferirà alla causa benanco della sua beatificazione”». Don Guanella si rivolse a don Luigi d’Antuono, amico della casa, «tanto buono nella mente e nel cuore, si sarebbe di leggeri accollata ancor la fatica di illustrare la vita di un confratello cotanto benemerito […] ma con la condizione che la vita del Verri fosse inserita nelle colonne della Providenza […] Così l’anima grande del Verri, dal Cielo ne guardi pietosa, e ne continui la sua valida protezione». Don D’Antuono cominciò subito dal numero di agosto di La Providenza, il periodico delle Opere guanelliane con il primo di una serie di articoli, dal titolo “Il Redentore delle Morette ossia D. Biagio Verri Mis. Ap.. Un po’ di storia”. Egli antepose al suo articolo una lunga prefazione: «Queste pagine, scritte più col cuore che colla penna, ritraggono e fanno rivivere. fra noi quel D. Biagio Verri, che vita e sostanze sacrificò al riscatto, delle infelici Morette, che là in Africa formano l’industria di crudeli e barbari mercatanti di carne umana. La sua nobile e cara figura, levata dinanzi allo sguardo di questo secolo, che mena vanto di raffinata e perfetta civiltà, scuoterà, ne son certo, i petti dei delicati suoi figli e li piegherà, se non altro, all’ammirazione del grande apostolo ed alla compassione di quelle povere creature, trattate peggio che bestie dai loro crudelissimi e tirannici padroni». Don D’Antuono continuerà poi a scrivere la vita di Verri sul numero del dicembre 1994 con “Barni”, sul numero del gennaio 1895 “Continuazione del Verri” e “Proemio”, sul numero del marzo 1895 con “Nascita di D. Biagio Verri e sua fanciullezza”, sul numero dell’aprile 1995 con “Primi albori di sua santità”, poi per qualche motivo non conosciuto, si interruppe.
Don Guanella aveva una grande stima per mons. Daniele Comboni (1831-1881), l’“apostolo della Nigrizia”, canonizzato da Giovanni Paolo II il 5 ottobre 2003, e seguiva con interesse i suoi sacerdoti, i Missionari Comboniani Figli del Sacro Cuore di Gesù. Ne abbiamo traccia in una lettera da lui scritta al Padre Provinciale dei Gesuiti nel maggio 1905: «il M. R. P. Ansperti dimorando taluni anni tra i Figli del Sacro Cuore in Verona conformò allo spirito di sacrificio i valorosi missionari dell’Africa del Venerando Comboni».
Proprio uno dei Missionari Comboniani, il milanese padre Giuseppe Beduschi (1874-1924), missionario tra gli Scilluk del Sudan, che nel 1910 aveva dovuto rimpatriare dall’Africa per rimettersi in salute e ne aveva approfittato per raccogliere sussidi a favore delle sue missioni. A Como, con l’aiuto di don Aurelio Bacciarini, organizzò alcune conferenze pubbliche nel salone del Broletto, davanti a un folto pubblico
Don Guanella nel luglio 1910 scriverà una lettera al vescovo di Lugano, mons. Alfredo Peri Morosini, proprio per sollecitarlo ad un aiuto generoso per le missioni africane: «La E. V. che con me e col Ricovero di Roveredo dove sono centinaia di suoi diocesani poveri non è stata finora troppo generosa, lo sia almeno con i nostri più cari fratelli i figli di Cam nel centro dell'Africa, a perorare in favore dei quali vengono, e D. Aurelio Bacciarini, birichino a lei noto, e il M. R. D. Beduschi Missionario del Sacro Cuore di Verona. Date et dabitur vobis».
Prima di ripartire per l’Africa padre Beduschi volle assicurarsi da Como un aiuto continuativo, pertanto don Bacciarini interessò don Luigi Ramiro Lucca presso la Curia Vescovile e così, con il permesso del Vescovo, fu fondata a Como la “Pro Africa”, presieduta dal Vicario Generale, mons. Giuseppe Carughi.
Don Guanella guardava con molta attenzione anche le missioni francescane in Libia, perché era amico personale di mons. Ludovico Antomelli (1863-1927), vescovo di Leptis Magna e primo Vicario apostolico della Libia. «Il Superiore don Luigi Guanella conobbe e stimò per lunga pratica d’anni da quando l’ora Vescovo scendeva ancor modesto studente dal Convento di Dongo nella casa ospitale dell’allora parroco di Pianello Lario». Scrive La Divina Provvidenza nel novembre 1913: «I figli di san Francesco hanno avuto la dolce e gloriosa missione di curare gli interessi religiosi e di reggere la Chiesa dell’Africa italiana, missione di alta civiltà e patriottismo. E nell’ottobre passato, pieni di santo entusiasmo, partivano da Milano quindici religiosi sotto la guida del novello Vicario Apostolico della Libia, mons. Lodovico Antomelli per portare laggiù nel continente nero, ora schiuso alla luce della civiltà cristiana, l’opera promettente del loro zelo e della loro energia. Noi, umili figli della Provvidenza, non potevamo rimaner indifferenti dinanzi ad un’impresa di così lieti e gloriosi auspicii, molto più per i rapporti intimi di simpatia che ci stringono con la grande famiglia Francescana, più ancora per i vivi sensi di stima e d’amicizia personale del nostro superiore con il degnissimo e illustre mons. Antomelli e con alcuno de’ suoi compagni. […] a modesta manifestazione esterna di questi nostri sentimenti, il nostro Superiore pensò di accompagnare da Milano a Roma con il fortunato drappello missionario un nostro confratello. E pregammo il buon viaggio e le benedizioni di Dio». Lo stesso mons. Antomelli scriverà a don Guanella subito dopo il suo arrivo in Libia una lettera molto significativa per dare luce al loro rapporto di stima e amicizia: «Mio ottimo D. Luigi, ometto di chiamarla Canonico, perché mi è più caro salutarla confidenzialmente coll’usuale D. Luigi, come ho imparato a Dongo fino dal 1886. Adunque, mio amato e venerato D. Luigi, io non ho potuto mantenere la mezza promessa che le aveva fatto, di venire cioè a Como prima di lasciare l’Italia. Non mi è mancata la buona volontà, ma il tempo disponibile. Ho però procurato di rimediare all’involontaria omissione, visitando con tutti i miei quindici missionari compagni di viaggio la di Lei casa di Roma. Non Le dirò le accoglienze fatteci dai di Lei figli: non potevano essere né più cordiali, né più fraterne... sento… il bisogno di farle le mie vive felicitazioni per il bene che operano a Roma, come altrove, i di Lei figlioli. […] Ella, mio buon. D. Luigi, mi aiuti colle sue preghiere, ed anche mi raccomandi a delle persone facoltose, poiché i bisogni sono immensi. Mi voglia sempre bene, e viva lunghi anni. La benedico cordialmente e con Lei tutte le sue case».
Il confratello citato nella cronaca, che aveva accompagnato il gruppo di missionari fino a Roma, era don Filippo Bonacina, a cui uno dei francescani «l’amico» padre Basilio Chiaroni di Dongo scrivendogli da Tripoli l’8 ottobre 1913 diceva: «Mi ricorderò sempre con affetto della tua compiacenza, e dei tuoi rev. mi Superiori». E in un’altra lettera dell’aprile seguente, sempre a don Bonacina, padre Chiaroni, dai monti Garian, scrive: «Aggradisci i miei più affettuosi saluti e gli ossequi da porgere al rev.mo Superiore a nome anche di S.E. e di tutti i confratelli». Don Guanella prende spunto da questa lettera, che pubblica volentieri «oltrecché in segno della nostra amicizia per lo zelante missionario e per il suo Ordine, per richiamare la pubblica attenzione sull’opera eminentemente sociale e patriottica che tanta provvidamente compiono laggiù nelle nuove terre d’Italia i buoni religiosi […] e per svegliare anche iniziative generose nel pubblico a vantaggio di quest’Opera sì bisognosa di aiuti materiali. In qualche città, come a Milano, l’apostolato missionario ha operato recentemente dei prodigi di carità […]. Non si potrebbe dar vita a simili edificanti gare di carità e ad altre iniziative per appoggiare l’Opera francescana in Libia e darle modo ad es. di poter erigere una cappella in ciascun distaccamento della vastissima Missione? Tale il voto che don Luigi Guanella e le Case della Divina Provvidenza augurano benedetto da Dio, fecondate dalla generosità delle anime buone e gradito come omaggio di ammirazione e di stima dall’Ordine glorioso di s. Francesco» .
Inoltre don Guanella nel 1915 raccomandò al pubblico da La Divina Provvidenza la Missione francescana di Libia condotta a Derna da padre Gabriele Redaelli, la cui richiesta di aiuto era stata rilanciata a don Guanella dal confratello padre Cristoforo Flocchini: «Per quella santa solidarietà che stringe tutte le opere di carità e di religione, oltre a vincoli particolari nostri con l'Ordine Francescano, certi di offrire così ampio campo alla generosità pubblica senza nessun danno alle nostre iniziative diamo volontieri posto al seguente appello per un’opera alta di religione e di patriottismo. (La Direzione del giornaletto). - D. Luigi Guanella, tutti lo sanno, è divenuto ormai uno dei campioni principali della Carità Cristiana; si direbbe come Egli ha trovato il modo di aprire una nuova fonte inesauribile alla Divina Provvidenza in favore degl’infelici cui non fu larga la fortuna o la civile società. Non ha limiti I'effusione del suo cuore, e si e stende con uguale interessamento a tutte le opere che hanno per iscopo il bene della umanità. L’Italia ha effettuato la conquista di Tripoli. D. Guanella subito si rende conto dei bisogni particolari della povera Missione Cattolica di Libia per poter espandere accanto al dominio materiale, e propone su questo suo medesimo periodico, suo abile coadiutore, una leggerissima privazione di tutti coloro che usano mandare i soldi in fumo per venire in aiuto della Missione. L’attuale circostanza domanda che si venga alla pratica, almeno dai più buoni, di una piccola privazione per un bisogno immediato, grave e santo, che dalla Libia sollecita i nostri soccorsi (P. Flocchini, ofm)».
Ricordiamo anche che don Luigi Guanella nel 1883 dedicò ai «Ai reverendi padri riformati nel convento di Dongo» la sua operetta Un figlio illustre del popolo cristiano. Cenni biografici intorno a fr. Eusebio Maria da Dongo Vescovo in Hu-Nan, breve biografia di mons. Eusebio Semprini (1823–1895), francescano nativo di Dongo e vescovo missionario in Cina. «Nella storia contemporanea, fra altri, Dongo si gloria di un figlio illustre nel popolo, Eusebio Semprini, vescovo di Tiberiopoli. Un figlio illustre nel popolo più che altri onora la patria». Con mons. Semprini don Guanella ebbe rapporti epistolari e, nella primavera del 1888, lo ebbe ospite nelle Case di Como e Pianello del Lario. Con i proventi della vendita di una biografia di Semprini - scritta dal sacerdote don Edoardo Torriani su interessamento dello stesso Guanella e con il concorso del clero della Pieve - promosse la dedica di un busto al medesimo, opera di Ampellio Ragazzoni.
Inoltre don Luigi fu padrino di Messa di padre Gabriele Dell’Era (1857-1898), del convento di Dongo, missionario in Albania. Questi, in una lettera indirizzata a don Luigi, scriveva: «Quando avesse l’occasione di andare a Dongo veda di far visita a mia sorella e consolarla da parte mia».
Don Luigi considerò un lutto domestico la morte di padre Rodolfo Fasola di Brunate (1891-1915), entrato nelle Missioni Estere di Milano e morto giovanissimo a 24 anni. «Amava spiccatamente la Casa nostra e fra noi s’indugiava, esitante anzi, un tempo, se stare con noi; per cui noi, a cominciare dal Superiore Don Luigi Guanella, amavamo lui come figlio e fratello, e ne accompagnavamo con interesse e con desiderio le sorti, e ne piangemmo nella morte un lutto domestico».
Don Guanella aveva accolto, commosso, in visita a Como, l'amicissimo don Luigi Lasagna Salesiano, (1850 - 1895) suo compagno a Torino e ad Alassio, scelto da don Bosco per la seconda spedizione missionaria salesiana in Uruguay. Nel 1893 veniva eletto secondo vescovo Salesiano, lo pianse come Martire della setta anticlericale due anni dopo (novembre 1895) nel Brasile, mentre poco prima gli recava gioia l'elevazione all'Episcopato del terzo vescovo Salesiano, lo zelantissimo mons. Giacomo Costamagna (1846 - 1921), carissimo egli pure per una reciproca affettuosa relazione.
12. «Tutto il mondo è patria vostra»
Ormai il cammino era tracciato e alla sua morte don Guanella lasciò un impegno morale alle sue Congregazioni: «Tutto il mondo è patria vostra». «Finirla non si può, finché vi sono poveri a ricoverare, bisogni a provvedervi».
I suoi successori raggiungeranno, oltre l’Italia, la Svizzera e gli Stati Uniti, la Polonia, la Romania, la Spagna, la Germania, il Canada, il Messico, il Brasile, il Guatemala, la Colombia, il Cile, il Paraguay, l’Argentina, le Filippine, il Vietnam, le Isole Salomone, l’India, Israele, la Nigeria, il Ghana, la Repubblica Democratica del Congo, la Tanzania.
Una presenza discreta, nei luoghi più disparati, per prendersi cura della vita umana più fragile ed indifesa e lavorare per la sua promozione integrale, confrontandosi quotidianamente con vecchie e nuove povertà con uno stile tipicamente guanelliano che, come ci ricorda il Progetto Educativo Guanelliano (PEG) «è via di evangelizzazione ed è il nostro contributo alla missione della Chiesa».
Folonaro Adriano SdC
Non pochi periodici parlarono di questo geniale convegno, il quale, sebbene quasi improvvisato, riuscì graditissimo a tutti gli intervenuti, e sarà certo tra i cari ricordi delle Onoranze tributate al Galileo Comense. Noi crediamo nostro dovere tenerne ancora parola per contentare i nostri associati, e benefattori ed amici, i quali desiderano una particolareggiata relazione.
Bellamente parato a festa il Ricovero di S. Maria, nel 2 Giugno scorso presentava un graziosissimo spettacolo. Tappeti, arazzi, bandiere e da ogni parte una primavera di fiori. Lungo il vasto cortile pel quale s’accede all’Istituto, sorgevano tre archi trionfali adorni di mortella, e di alloro. Sul fronte del primo si leggeva la seguente iscrizione:
O AMATORI, O SEGUACI DEL GRANDE
CHE
LA FOLGORE AL CIELO RAPITA
RENDEVA OBBEDIENTE
AI CENNI DELLA SCIENZA AI SERVIGI DELL’UMANITÀ
INCOANDO UN’ERA NOVELLA
DI PROGRESSO.
ENTRATE
IN QUESTA PIA CASA
ALLE DERELITTE, ALLE ORFANELLE,
APERTA DALLA CARITÀ, DALLA FEDE,
VIRTÙ
SPLENDIDAMENTE PRIME
NELL’IMMORTALE
ALESSANDRO VOLTA
E la stessa in francese, e in inglese spiccava, sugli altri due archi.
Il ritrovo era fissato per le 10, e verso quell’ora si vedevano apparire, da una parte e dall’altra, a due a tre a quattro i nostri cari ospiti e fermarsi ogni istante a contemplare estatici l’immenso e stupendo panorama che dalla collina s’offre allo spettatore. Accolti dal Rettore della Casa D. Luigi Guanella e dal vicepresidente del Comitato Signor Ferdinando Geronimi, in mezzo ai canti soavi dell’orfanelle, e salutati dagli evviva e battimani, entrarono i telegrafisti nell’Ospizio. Dopo le consuete presentazioni, si diedero a visitare con diligente ed affettuosa curiosità l’Istituto, e vollero minutamente essere informati di tutto. Vedemmo alcuni di loro col taccuino in mano prendere continui appunti.
Venuto il momento della refezione si radunarono tutti nella sala a tal scopo apparecchiata. Che bella sorpresa! Pendevano dalle pareti gli stemmi di tutte le nazioni con motti e scritte relative a ciascuna di esse non che alle onoranze centenarie dell’immortale scienziato. Il vedere seduti a mensa i telegrafisti di tutto il mondo, il vederli tra loro affratellati come se da lungo tempo si conoscessero e l’allegria e la schietta giovialità che aleggiavano sincere in quel fraterno simposio, destavano in cuore sentimenti indescrivibili. Se volessimo enumerare ad uno ad uno i convitati, non ci basterebbero le intere otto pagine del nostro giornaletto. Si contentino adunque i nostri associati di quelli che qui notiamo. Erano rappresentati l’illustre famiglia Volta dal nipote Cav. Prof. Zanino; il Ministero dalla Guerra dal Maggior Cav. Colletti e da un capitano; Sua E.a il Vescovo di Como dal Canonico D. Tomaso Verga; il Comitato del Congresso dal presidente G. Cav. Spreafico e dal Cav. Donadio Direttore generale tecnico; la legazione francese dal Sig. Montpellier con 20 suoi compagni, la tedesca dall’Onorevole Deputato Kareis con 15 impiegati, c’erano lì rappresentanti della Baviera, Bulgaria, Romania, Ungheria, Argentina, Spagna, Inghilterra, Scozia, Irlanda, degli Stati Uniti di America, del Giappone e di tutt’Italia. Alla ilarità ed al brio del convegno, assai contribuì una eletta schiera di colte e gentili signore e signorine, le quali conversavano coi nostri ospiti, maestrevolmente parlando il tedesco, francese ed inglese.
Lunga la filza dei brindisi, tutti graziosi ed applauditissimi, parlò il Can. D. Tomaso Verga inneggiando al connubio della fede colla scienza. Parlò il Padre Giovanni Cappuccino da Milano, salutando il Volta, figlio del mondo e padre del suo pensiero, ringraziando i telegrafisti dell’onore fatto alla Casa della D. Providenza; belle parole diresse ai telegrafisti il vice presidente del Comitato Sig. Ferdinando Geronimi.
Il Capo della Rappresentanza francese brindò all’Italia e alla Francia e al grande ingegno del Volta rigeneratore della Scienza e della Civiltà. Dopo tanti altri brindisi si levò in piedi la signorina telegrafista Del Bon e con parole condite di squisita gentilezza, a nome delle compagne e suo ringraziava il Rettore del Ricovero. Prese per ultimo la parola il D. Guanella e rendendo cordiali grazie agli intervenuti, che in mezzo alle grandiose feste Voltiane non dimenticarono la Casa di Santa Maria e con calde parole toccò dell’erezione del Faro elettrico, che dovrà mandare i suoi raggi sulla culla e sul mausoleo del Volta. Una salva di applausi coronò le parole di D. Luigi, che fu portato trionfalmente per la sala.
Scoccava il mezzogiorno, ora fissata pel Congresso telegrafico, ma i Congressisti non sapevano come staccarsi dalla Binda. Bisognava vederli con quale affetto carezzavano le nostre orfanelle, domandando loro mille cose e invitandole a ripetere i loro canti. Il fatto sta che vennero le ore 14 ed allora si dovette partire, e la partenza fu un momento di vera commozione per tutti. Il prof. Zanino Volta avrebbe desiderato chiudere il trattenimento con un discorso, ma l’ora tarda glielo impedì.
Quali e quante buone impressioni i telegrafisti riportassero da questa visita, l’attestarono in quel giorno con assai dimostrazioni; l’attestarono nel banchetto all’Eden di Milano, prorompendo sovente in brindisi al D. Guanella, l’attestarono nel convitto apprestato loro in Bologna, nelle feste commemorative di Galvani dal rispettivo Comitato. Ecco il testuale telegramma:
«A voi apostolo della carità i congressisti, sempre memori della splendida accoglienza a S. Maria della Provvidenza a Como, inviano da S. Michele in Bosco unitamente ai rappresentanti della città e dell’ufficio di Bologna l’espressione del loro animo riconoscente e fanno voti per la floridezza delle vostre umanitarie istituzioni».
Noi siamo ben lieti d’aver proposto cotesto convegno, che a giudizio di quanti vi presero parte, non poteva riuscir meglio e mandiamo ai telegrafisti nuovi saluti e ringraziamenti pregandoli a non voler dimenticare la Casa di S. Maria che si tiene onorata della loro visita.
La Divina Provvidenza – Luglio 1899
ECO DELLE FESTE VOLTIANE
Con i tipi dello Stabilimento L. F. Cogliati, i fratelli Cav. Ferdinando ed Emilio Geronimi, hanno dato alla luce una splendida Cronaca illustrata del primo Congresso internazionale dei Telegrafisti del concorso professionale telegrafico e delle feste Voltiane in genere.
In essa, dopo una brillante prefazione francese fatta con brio dal Sig. Silvio Deponti, i fratelli Geronimi in 180 pagine intercalate da splendide fototipie di luoghi e di persone, danno la relazione delle feste dei Congressisti nelle loro visite a Como, a Milano, a Bologna, a Firenze ed a Roma.
Seguono quindi le relazioni scritte nella loro lingua dai Telegrafisti francesi, tedeschi ed inglesi, e noi dalla relazione del cospicuo delegato francese Signor Joseph Géraud stralciamo, col permesso gentile degli autori, il tratto che parla della visita alla Binda di cui è riportata nel volume a pagina 104 l’intera facciata e l’interno a pag. 107 e 108. Anche il ritratto di Don Guanella vi è riportato due volte, e certo la bontà colla quale nella Cronaca delle feste Voltiane sono trattati gli ospizi della Provvidenza e il loro Fondatore, meritano tutta la nostra gratitudine. Dice la Cronaca a pagina 216:
« La journée est radieuse et le paysage ravissant. Par bandes joyeuses, à travers de tout petits sentiers fleuris, foulant des gazons moelleux, cueillant des roses pour nos compagnes, nous arrivons vers midi à l’Asile de la Providence de La Binda où le vénérable abbé Guanella, directeur et fondateur, nous a conviés à un grand déjeuner.
Don Luigi Guanella est un grand philanthrope, en même temps qu’un digne ecclésiastique et un ami sincère de la science et du progrès. Son nom est honoré dans toute la Péninsule, particulièrement en Lombardie. C’est l’Apôtre de la Charité, nous disent nos collègues de Milan, qui tous lui prodiguent les témoignages du plus affectueux respect. Ses diverses maisons de refuge contiennent plus de 2000 déshérités de la vie: vieillards, infirmes, aveugles, orphelins.
La Binda est sise à mi-chemin de San Martino et la Cappelletta, en face de Camnago, dont la séparé le jon vallon ou nous venons de faire notre agréable école buissonnière. De vastes bâtiments blancs, aux longues rangées de fenêtres, occupent la crête d’un coteau verdoyant. Autour sont des jardins ombrages par d’énormes magnolias. Une sorte de campanile, une tourelle plutôt, se dresse sur la toiture et sert de piédestal à une haute statue du Christ, dont la main levée bénit le monde et dont la bouche ouverte semble prononcer ces belles paroles: «Aimez-vous les uns les autres».
N’est-ce pas de cette divine maxime que découlent nos formules modernes de Fraternité ou Charité, de Solidarité, ou simplement d’Humanité, toutes exprimant la sympathie réciproque qui devrait pénétrer nos cœurs?
A peine le seuil franchi, l’abbé Guanella, suivi de quelques personnes, vient a nous, les deux mains tendues. Son visage ridé, qu’éclairent deux yeux pétillants d’intelligence, reflète, dans un bienveillant sourire, la bonté d’âme de ce noble ami des pauvres et des malheureux.
Le digne émule de Saint Vincent de Paul a conçu un grand projet: il veut placer aux pieds du Christ qui domine la Binda un phare électrique, dont les feux guideront le voyageur perdu dans la nuit, en rayonnant sur le tombeau de Volta et sur la ville de Côme. Idée géniale dont nous, artisans de la Pile, avons le devoir de faciliter la réalisation dans la mesure de nos forces: modeste obole et propagande auprès de tous les admirateurs de l’Ancêtre.
La maison est en fête. Sur l’avenue qui précède la porte d’entrée, trois arcs de triomphe avec inscriptions. Dans la cour et la longue salle à manger, ce ne sont que festons et astragales de verdure parsemée de fleurs; des bannières et des drapeaux multicolores flottent partout. Autour d’un harmonium, en plein air, sont groupées en cercle des fillettes; quelques-unes aux yeux vitreux, ou clos, sont aveugles, comme le maestro qui les dirige en les accompagnant de son instrument. C’est l’Hymne des télégraphistes que chante ce chœur enfantin pour nous souhaiter la bienvenue.
Le banquet a lieu dans une immense salle de l’établissement, dont la simplicité a été rehaussée de guirlandes de feuillage et de chromolithographies représentant Volta, dans la chambre que nous venons de visiter, observant les phénomènes de sa pile a colonne. Trois longues rangées de tables étroites, avec une chaise de paille devant chaque couvert. Le service est fait par des pensionnaires de la Binda, jeunes garçons, ou hommes les moins invalides. Au centre de la table de droite, le vénérable chanoine Don Tommaso Verga, dont la soutane est ornée d’un liseré violet, préside, comme représentant de l’évêque de Come. A ses côtés, l’abbé Guanella, l’avocat Zanino Volta, représentant la famille de l’Ancêtre, le major Colletti et le capitaine Lega, du génie; une dame âgée très distinguée, et sa fille, très jolie; divers personnages, dont M. Spreafico, président du Comité d’organisation; les deux vice-présidents de la délégation française, MM. Trouhet et Montpellier; un docteur esbenes lettres, voisin au M. Rozet et du narrateur et ensuite les autres chefs de délégation.
Le menu ne comporte que des mets italiens et des vins du pays: vitello tonné (veau à la sauce de thon, Risotto alla Certosina (riz accommodé à une sauce verte), etc. Une grande animation joyeuse règne pendant tout ce frugal repas, surtout du côté de nos gentilles signorine.
Au dessert, la série des toasts commence. Un superbe capucin, jeune encore, figure énergique à longue barbe, yeux noirs très vifs, traverse la salle et s’installe dans une chaire très simple, adossée au mur de gauche, en face du président du banquet.
«Signori!» – clame-t-il, et dans cette belle langue italienne si sonore, avec de vibrants accents qu’accompagnent de grands gestes oratoires, il salue, lui, né dans le pays de Volta, au nom du Comité Pro-Faro les illustres représentants du plus puissant travail dynamique de la nature.
Cette attitude martiale, ces phrases éloquentes débitées avec feu, cette robe de bure elle-même, nous captivent vivement. Il est bien “dans le train”, ce moine, comme le sont, paraît-il, tous les jeunes prêtres et religieux italiens, depuis que Léon XIII a aiguillé franchement l’Eglise vers la science et le progrès.
Padre Giovanni nous donne l’impression de ces hardis compagnons de Pierre l’Ermite, prêchant la première Croisade au cri de: “Dieu le veut!” Il nous parle de fraternité des peuples, d’union des cœurs et des pensées; de sa patrie italienne, qui est orgueilleuse de la gloire qui auréole ses enfants; de l’ombre d’Alessandro Volta qui dans son immortalité triomphante, nous sourit et nous remercie. Il termine par un “brindisi” à notre santé et un autre au progrès resplendissant de l’électricité.
L’orateur, ai-je besoin de le dire? a vraiment électrisé tous les convives, qui applaudissent à tout rompre chacune de ses phrases, et lui font une belle ovation quand il descend de la chaire.
M. Ferdinand Geronimi lui succède et prononce, en italien, une chaude allocution; il parle des mérites et des vertus du grand homme de bien qu’est l’abbé Guanella, de son noble projet du phare; il le remercie de l’accueil inoubliable que les Congressistes de toutes les nations ont trouvé à la Binda, et termine en portant des “brindisi” à la famille de Volta, à Luigi Guanella, à Come, etc.
L’assistance applaudit, à chaque toast, en criant: «Viva Volta! Viva Guanella! Viva Como!...».
Don Guanella parla ensuite, d’une voix tout émue; il est confus de tant d’honneur et rend de cordiales grâces à ceux qui sont venus dans son asile de la Providence. En quelques mots chaleureux, il explique que le phare électrique qu’il veut ériger devra porter ses rayons puissants sur le tombeau de Volta, sur toute la vallée et le lac.
L’enthousiasme est indescriptible; c’est moins le discours de l’abbé Guanella, que la sympathie qu’il inspire, qui le provoque. On entoure le digne prêtre, en l’acclamant, et, tout à coup, des bras robustes le soulèvent de terre et le portent en triomphe autour de la salle en délire!
D’autres orateurs, dont la signorina Delbó, escaladent successivement la chaire. Naturellement, les nombreux “brindisi” portés se répètent souvent. M. Montpellier se fait l’interprète des Congressistes étrangers pour exprimer leur gratitude. M. Grignon propose que les dames, nos gentilles collègues, fassent une quête au profit de l’Asile de la Providence. On applaudit et, dans des assiettes à dessert, une belle collecte de lires est vite réunie. M. Trouhet remet en outre, au nom de la délégation française, une offrande supplémentaire.
Mais il est deux heures, et la séance du Congrès devait commencer à 1 h. ½! Nous prenons rapidement congé dé l’abbé Guanella et de nos éminents hôtes; on nous remet à chacun un rouleau contenant une belle chromolithographie, semblable à celles qui ornent les murs de la salle, et un numéro du journal «Pro Faro» le tout édité par la «Maison des Pauvres», de Milan, et nous descendons, en courant, la route de Come. Quelques minutes plus tard nous arrivions au Broletto”
La Divina Provvidenza – Giugno 1900
Sarebbe superfluo ricordare che la nostra comunicazione è oggi segnata dall’influenza pressante dei social network.
La facilità di utilizzo quasi intuitivo dei mezzi di comunicazione attuale mai sperimentati in passato, da l’illusione a tanti fruitori di essere attori sul pianeta digitale solo per il fatto di avere un mezzo e di lanciarsi alla produzione dei messaggi a caso.
Illusione, perché più del 95% degli utenti dei nuovi media sono semplici consumatori dei “prodotti culturali” facendo così la delizia dei proprietari oltre al fatto di sprecare il proprio tempo – una di quelle risorse rare. E’ interessante quello che dice Massimo Baldini per quanto riguarda le frontiere del linguaggio: non possiamo utilizzare parole a volontà e dire che stiamo parlando una lingua. Dire “questo non anche ma” non è impegnarsi in quello che definiamo parlare. Ognuna di queste quattro parole è perfettamente giusta ma non si combinano in questo modo. Di conseguenza, legarle così diventa un rumore senza senso.
Oggi, con le disponibilità tecnologiche, assistiamo spesso all’assurdo. Fare una foto e postarla, non significa impegnarsi a una comunicazione responsabile, capace di educare l’immaginario dell’uomo del nostro tempo.
Questo significa che dobbiamo ignorare i nuovi media? La risposta è No. Infatti, Papa Francesco parla dei media come dono di Dio. Tuttavia, è importante sottolineare la natura strumentale dei media senza alcun valore in sè. Per il Santo Padre. “non è la tecnologia che decide se la comunicazione è autentica o meno, ma il cuore dell’uomo e la sua capacità di usarla in modo corretto.” La scommessa è quella di diventare attori e produttori sul pianeta digitale. In altre parole, diventare fruitori maturi che traggono vantaggio dai doni che Dio mette a nostra disposizione. Attori che comunicano fede, speranza e carità. Infatti, in questa 51ma giornata mondiale delle Comunicazioni Sociali, il Papa invita tutti a “comunicare speranza e fiducia nel nostro tempo.”
Abbiamo modelli da seguire per una tale impresa?Basta fare un clic su don Guanella! L’interesse per i media è all’interno del DNA guanelliano. Il Santo Fondatore ha avuto un’attenzione particolare ai media del suo tempo diventando un vero attore. In effetti, una tra le sue prime attività a Como, fondando la casa Divina Provvidenza, figura la stampa, e qualche anno più tardi fonderà un mensile per informare e promuovere l’attenzione verso i bisognosi, vale a dire, promuovere la carità. L’attenzione ai media ha accompagnato la vita di Don Guanella. Già in seminario, si è interessato al mondo della stampa. Durante i suoi primi anni da prete, vediamo il suo interesse per il mondo editoriale al servizio della verità svegliando il suo gregge di campagna contro le false dottrine, sostenendo l’esperienza del mondo contadino e alimentando la fiamma del bene. Più tardi utilizzerà abbondantemente degli opuscoli al servizio della fede, ecc. Il Santo Fondatore era convinto della relazione tra i media e costruzione dell’immaginario collettivo, e sentiva l’esigenza di impegnarsi nel rafforzamento dell’immaginario cristiano e cattolico. Aveva con determinazione scelto il suo campo tra essere attore o telespettatore, attivo o passivo, produttore o consumatore dei prodotti mediatici. E tu da che parte sei?
Padre François Luvunu Lowu
Una delle cure maggiori di Don Guanella fu sempre la ricerca di vocazioni, di religiosi disposti a proseguire e ampliare la sua impresa sobbarcandosi del problema delle quattro " effe ", come lui diceva. Infatti, nelle prime Case della Provvidenza regnavano sovrani quattro ospiti non molto graditi il cui nome cominciava per "effe": Fame, Freddo, Fumo e Fastidi. Anche se non furono sempre ospiti fissi, furono comunque nemici con i quali si dovette combattere quotidianamente.
La Lombardia e altre terre furono sempre generose di vocazioni per l'Opera di Don Guanella, il quale aveva un modo assai semplice ed efficace per invitare chi si sentisse portato a seguirlo... Spesso usciva con sei, otto dei suoi ricoverati che chiamava " buoni figli ": erano quelli che accoglieva con particolare amore, dato che non avevano intelligenza sufficiente per vivere con gli altri. Avevano in genere nomignoli significativi, come se fosse stata una squadra sui generis di bravi: Pelapatàt, Leccapiàtt, Pallanin, Pestalàc...
Era una scena divenuta familiare in quel di Como e altrove vedere Don Guanella che portava a spasso i suoi " bravi "; ormai vedendoli, si diceva:
- Ecco Don Guanella che porta a spasso i suoi poveri figlioli!
Così, ad esempio, andavano fino a Lurate Caccivio e al gruppetto si univano spesso le persone che incontravano per strada, in modo tale che intorno a Don Guanella e ai suoi figli si formava una piccola processione.
Arrivati presso la chiesa, salutavano il parroco e poi andavano tutti a dire una preghiera, dopo la quale Don Guanella faceva un breve discorsetto:
- Miei buoni amici di Lurate Caccivio, ho portato qui tra voi i miei buoni figli che possiedono una ricchezza che molti intelligenti non hanno, perché hanno l'innocenza, la Grazia di Dio. Siamo venuti da voi per prendere un po' d'aria, perché questi buoni figli hanno bisogno di svagarsi, di vedere questo mondo. Ma hanno soprattutto bisogno di sentirsi amati e se lo meritano; se lo meritano, credete a me, non tanto perché sono simpatici, e lo sono davvero, ma perché sono buoni e innocenti, anche se sventurati perché non sanno provvedere a se stessi. E quando si sentono amati, diventano anche più buoni e pregano alla loro maniera il buon Dio.
Non ci sarà dunque in mezzo a voi qualche anima che si sente d'abbracciare la vita religiosa per poter assistere e amare queste creature del Signore?
Poi ricomponeva il suo gruppo di " innocenti ", accompagnati da una piccola e curiosa folla di ragazzi del paese e si incamminava tra il verde dei prati per ridiscendere verso la riva del lago di Como soddisfatto d’aver lasciato il seme dell'inquietudine col pensiero che non si può essere felici da soli.
DON GUANELLA E LE LINGUE STRANIERE
Durante gli studi nel Collegio Gallio don Guanella studiò il tedesco (allora obbligatorio poiché la Lombardia era sotto il dominio dell’impero asburgico) e dall’anno scolastico 1855-1856 (II classe di grammatica) fino al 1857-1858 (IV grammatica) la sua valutazione è sempre di Eminente, con l’ultimo giudizio espresso in questi termini: «Conosce assai bene la grammatica, è corretto pronto e felice nelle traduzioni».
Si dedicò poi allo studio del francese, probabilmente nel periodo salesiano 1875- 1878, tanto che nel 1880 tradusse un breve opuscolo di meditazione. Ma poi, preso da altri interessi e occupazioni, fu costretto ad abbandonare gli studi linguistici, che più di altri richiedevano una applicazione regolare. Lo riconoscerà con dispiacere, ma anche con realismo ed ironia, ripensando al periodo della sua formazione quando nel 1913-1914 dettava l’autobiografia: «[...] ma poi mancando l’esercizio fu tempo perduto, come nello studio del tedesco ed anche del francese. Se cresciuti adulti si ripassassero le materie studiate se ne avrebbe profitto e soddisfazione non poca. Ma quis est hic et laudabimus eum? [Chi è costui? Lo proclameremo beato (Sir 31,9)]».
Da persona intelligente e istruita, comprendeva l’importanza di conoscere una lingua straniera e già nel 1907 indicava ai novizi dei Servi della Carità di applicarsi a questo studio. Inoltre mandava volentieri i chierici nel seminario di Coira, dove si preparavano al sacerdozio anche con lo studio del tedesco, necessario per l’apostolato nelle valli svizzere riformate.
Durante il viaggio negli Stati Uniti, osservando le condizioni degli italiani e delle altre popolazioni emigrate, riconobbe nell’ignoranza dell’inglese uno tra i principali motivi delle loro difficili condizioni e giunse ad una chiarissima conclusione: «Chi non sa la lingua del paese sarà sempre poco apprezzato». Chiese alle sorelle Leonori di insegnare un po’ di inglese alle suore destinate agli Stati Uniti; a queste prime missionarie dedicò un utile vademecum nel quale un intero capitolo è dedicato alla necessità di apprendere la lingua: «Chi ripudia lo studio della lingua [...] si prepari a non poche umiliazioni e ad essere e dirsi persona a metà. Vero è che le suore italiane si introducono per avere cura speciale degli italiani; ma non datevi a conoscere che voi volete limitarvi alla cura e quindi alla lingua degli italiani, perché questo vi farebbe meno accette alle autorità civili ed anche alle autorità ecclesiastiche e non potreste aspirare ad essere credute religiose internazionali e tanto meno suore cosmopolite, se non vi dedicate allo studio ed alla pratica della lingua inglese».
Don Guanella pensava in grande per le sue congregazioni e desiderava che si sviluppassero su prospettive «internazionali» e «cosmopolite», incarnate da persone capaci di superare i confini della propria originaria appartenenza culturale e linguistica per divenire cittadini del mondo, capaci di rapportarsi a tutti i popoli innanzitutto con il linguaggio universale della carità evangelica.