Lo spirito della missione
Personalmente don Guanella era austero, rigido, ma dolce verso gli umili e i poveri; energico e perfino autoritario, ardente e fatto per rompere gli indugi e dissipare le difficoltà, ma paziente e benevolo, accondiscendente verso chi capiva avere un andatura più lenta della sua; non solitario, ma reso convinto dalle sue tradizioni montanare del bene della solidarietà; era anzi amico cordiale e lieto; aperto a ogni persona e convinto che anche la più grezza o difficile nascondesse tesori preziosi e bellezze da valorizzare. La sua scoperta interiore fu la salda convinzione della paternità di Dio; il grande principio della teologia cristiana fu per lui una rivelazione personale e una esperienza di vita: un Padre buono che ama e che vuole salvare ogni uomo da ogni miseria morale, fisica e materiale.
Anzi, all'uomo è concesso di partecipare a questa paternità, come trasmissione di amore, di vita, di salvezza, non come favore o privilegio ma come dovere gioioso: padre e fratello di tutti come Gesù Cristo immagine del Padre fra noi e primo dei fratelli. Prese quindi come insegna una croce col cuore e il motto agostiniano: « in omnibus carìtas »: l'amore soprattutto! Il significato è evidente: donazione della vita per dare vita e speranza nuova di salvezza spirituale e materiale che giunga a tutti, senza dimenticare nessuno, anche e soprattutto l'handicappato, l'anziano, l'abbandonato, ricostruendo ognuno come persona e figlio di Dio. Posto tra il Padre e coi fratelli, don Guanella si sa collegare a Dio con una intensa motivazione di fede: « pregare », come un saper intendersi col Padre, colloquiare in lunghe udienze o inviargli un sorriso frequente di invocazione, e vivere fiducioso, abbandonato alla sua Provvidenza: « ama e sii beato! ». Ma poi è urgente rivolgersi subito ai fratelli, movendosi con la stessa vivacità di amore, la pietà verso Dio non deve essere un mantello per contrabbandare inerzia o egoismo, occorre riflettere l'amore del Padre, ricostruire una famiglia cordiale, dove a nessuno incolga male di sorta e ognuno, nel cammino della vita, approdi a meta felice. Ma senza illusioni: occorre saper gustare la bellezza della donazione, del sacrificio che genera la vita; con realismo concreto afferma la legge del « patire »; ogni opera buona nasce tra le difficoltà e i contrasti, « fame, fumo, freddo, fastidi », scandiva nel suo efficace parlare lombardo: quattro F, o, se si vuole, una V: vittima, vittima d'amore. Era l'alfabeto che insegnava ai suoi Servi della Carità. E a questi dava poi norme precise: anzitutto quella di impegnarsi direttamente e personalmente, di mano propria, con molta cordialità e semplicità: «martorelle» erano le sue suore, giocando sulla assonanza del termine lombardo (= uomo d'appoco) con il greco (= martire, testimone); « asinelli » erano i suoi preti ed egli, « padre degli asinelli », scriveva: « Ti mando due asinelli, prepara una buona stalla! ».
Tutto questo in un ambiente di povertà religiosa; aveva vissuto il tempo delle soppressioni degli ordini religiosi e dell'incameramento dei beni; specialmente aveva vissuto la povertà, comprendendo come questa debba essere condivisa seriamente col povero, per percorrere assieme un cammino di progresso. I fratelli, i poveri, entrano in questa famiglia con la speranza di ricostruirsi una vita, ma senza falsi salti in avanti o cambi gratuiti di condizioni o di stato; restano poveri a cui è offerto la possibilità, cioè i mezzi adatti per recuperare ritardi sociali, economici e anche psichici: entrano in un'azienda autonoma, fondata sul lavoro
personale e sulla solidarietà di molti amici, imparano come si costruisce una vita e ci si provano, se sono giovani. Se anziani, cercano la gioia di ritrovarsi fra gli amici che sanno preoccuparsi ancora di loro, di sentirsi ancora al centro di interessi personali, di dimenticare un poco l'amarezza per una società che tentava di scaricarli naufraghi, di riprovare forse ancora la sensazione di essere ancora utili a qualcosa e morire con una speranza. (da, "Gli 'Ultimi', i primi della sua missione" - Don Piero Pellegrini)