Don Guanella lasciò ai suoi figli l'impegno di sviluppare e perfezionare le sue opere, seguendo la linea tracciata. Le necessità non sono diminuite; anzi, i motivi e i casi che chiedono il nostro aiuto crescono sempre più; per molte famiglie, specialmente, è divenuto difficile o impossibile lasciare in casa l'invalido, il cronico, l'anziano, quando tutti i familiari devono esser assenti l'intera giornata per i propri impegni. Mille casi diversi battono alle nostre porte; e vorremmo non dire mai di no a tante miserie e a tanti dolori. Forse la nostra fede non è grande come i nostri desideri, se non ha saputo — questa fede che può muovere le montagne — innalzare tanti edifici per ciascun genere di dolori: per i cronici allettati e i minorati fisici, per i minorati psichici, per gli epilettici, per gli anziani di condizione più umile, più adatti e più inclinati a una forma più collegiale; per gli anziani soli, di condizione più distinta, con le esigenze che una professione svolta lungamente ha lasciato in loro e delle quali la carità deve preoccuparsi. Qualcuno ci chiede anche degli appartamentini per coniugi anziani, che pure hanno bisogno di cure e vigilanza e che sarebbe inumano dividere in quegli ultimi anni. Ci sentiamo ancora lontani dall'ideale proposto dal Fondatore: avere cuore e posto per tutti. Ne manteniamo tuttavia le limitazioni imposte fin dal principio: vengono escluse le persone di incorreggibile immoralità e gli alienati furiosi, per i pericoli che comportano; quelle colpite da malattie contagiose o da malattie acute, cui provvedono gli ospedali; normalmente non accogliamo neppure ammalati cronici ormai vicini alla morte: è dovere della famiglia assistere i propri cari, confortandoli in quegli ultimi momenti.
« Noi abbiamo un tesoro — ci ha detto il Fondatore — : i nostri vecchi. Lo sono religiosamente, poiché assomigliano di più a chi disse di sé: ego vermis et non homo. L'infermeria si può ben dire Casa od Ospizio di Dio, perché in essa si ricoverano i poveri infermi, che sono l'immagine più reale di Gesù Cristo. Attendete a confortare la miseria degli ammalati cronici e dei bisognosi con grande amore, perché essi ci manterranno le benedizioni celesti ».
Ma don Guanella ebbe ancor giovanissimo la persuasione di dover fare qualcosa per i poveri, specialmente invalidi o vecchi. Raccontò una « illusione o visione » avuta tra i cinque e sei anni, nella festa di S. Giovanni Battista, patrono della parrocchia. Stava per nascondere entro un fascio di legna un cartoccio di dolci per non doverli portare in chiesa, quando udì un batter secco di mani: e si vide davanti un vecchietto che gli tendeva le mani. Allungò il braccio per nascondere i dolci e rialzò gli occhi, pieno di timore: il vecchio non c'era più. Ne sentì gran pena e quasi rimorso; e non dimenticò più « quel vecchietto mingherlino; la pietà degli occhi e lo stender delle mani. Dite quello che volete, credete o non credete, questo è stato per me un segno della mia missione di beneficare i poveri, alla quale fin d'allora già mi sentivo chiamato ».
Divenuto chierico, saprà sacrificare interi mesi di vacanza per assistere vecchi e malati, studiando egli stesso certi rimedi vegetali su apprezzati testi di botanica medicinale. Lasciò le sue vallate alpine con l'animo pieno di predilezione per i miserabili, i disgraziati, gli invalidi, i vecchi, costretti a trascinare l'intera vita, o gli ultimi anni, in lacrimevole stato, come se non avessero in cuore anch'essi per soffrire, una missione da compiere, un'anima da rendere a Dio. Chiamarli « vecchi » non è bello e neppure esatto. Nel suo Regolamento, il Fondatore parla di « adulti bisognosi di ricovero » per motivi diversi: scarsità di mente, scarsità di forze fisiche e di salute corporale, incapacità di provvedersi il pane quotidiano, infine per età avanzata. Non dimenticava altre necessità più nascoste e spesso ugualmente dolorose: « Uomini decaduti da alta condizione, o di condizione semplice o professionale, nubili o vedovi senza famiglia, i quali si ritirano per bisogno, o per bisogno insieme ad amor di quiete, o per buono spirito di religione, o perché spinti da parenti o da circostanze imperiose ». Per tutti questi organizzò forma di assistenza più adatte e delicate, sotto il nome di pensionati. Per tutti lasciò norme educative, semplici ma preziose, e su alcune amò insistere: non allontanare queste persone dai luoghi di origine, ma raccoglierle e assisterle nei luoghi stessi cari al loro cuore e alla loro vita; fare attenzione ai difetti più comuni: sono persone permalose, schizzinose, incerte, malinconiche, facili ai lamenti, anche facili alle malignità se hanno avuto una vita corrotta; così elencava le loro buone virtù notate in tanti anni di esperienza; e insisteva perché fossero stimolati, anche con qualche ricompensa, a un lavoro proporzionato alle loro capacità: di giardinaggio o di colonia agricola, di facile costruzione di sedie e di canestri, e simili. Il suo scopo era di far sorgere in tutti i cuori la felicità, concedere un piccolo anticipo di paradiso. Si dice che i vecchi non sanno più ridere, occupati e preoccupati soltanto di sé. Don Guanella, quand'era coi suoi poveri, rideva di gusto e trovava facezie e buone parole per richiamare il riso anche sulle labbra dei più sofferenti. Giocava con loro, come si prestava con semplicità a render loro i più umili uffici di soccorso e di pulizia, con tanta cura che sembrava trattare nelle sue mani le carni sacrosante di Gesù Cristo; li chiamava « i nostri signori poveri ». Potè egli stesso osservare il risultato e farlo notare a qualche critico che riteneva impossibile tener unite tante persone senza ricorrere alla forza, a chissà quali costrizioni e violenze: « Nelle nostre case sono oltre cinquecento ricoverati; non sono legati che dal vincolo di carità: nessuno cerca di uscire, molti domandano di entrare, ed ognuno si trova a suo agio ».
Ma proprio qui nasceva l'obbiezione più facile: raccoglieva troppe miserie, la sua opera diventava un'arca di Noè, come scriveva un amico giornalista, da qui un certo disordine nella situazione. Ma vorremmo mormorare anche contro lo Spirito Santo che dava ai primi cristiani di Corinto tante grazie che essi non riuscivano neppure più a conservare un certo ordine? Don Guanella lasciava dilatare la carità che lo pressava; non sempre otteneva il meglio: «Ma l'ottimo è nemico del bene: importante è fare ».
E diceva con ironia a certi critici:« Uomini di buona volontà, non vi smarrite; date in abbondanza e in maggior abbondanza vi sarà la proprietà che desiderate » .
(da, "Gli 'Ultimi', i primi della sua missione" - Don Piero Pellegrini)