In don Guanella l'attenzione verso gli handicappati mentali non era sorta da riflessioni di studio o da ricerche su libri, ma dalla condizione di vita in cui andava svolgendo il suo ministero parrocchiale prima e la sua missione di assistenza ai più bisognosi poi. Nelle sue vallate e nel paesi alpini questi poveri erano abbastanza numerosi e sembravano anche di più quando, d'estate, i più abili se ne andavano in gran numero a lavorare sull'alpe o all'estero e questi rimanevano con i più anziani e i bambini nelle case quasi vuote. Giovane prete aveva imparato presto la via di Torino, per accompagnare al Cottolengo qualche giovane in condizioni particolarmente pietose. Poi ebbe modo di raccogliere lui stesso questi handicappati, nelle sue case di Como, Ardenno, Milano, Roveredo in Svizzera. Fratta Polesine, infine a Nuova Olonio. L'apertura della casa di Nuova Olonio, voluta appositamente per questi, segna una svolta importante per le sue opere dedicate agli handicappati. Matura in lui l'intuizione che l'aveva colto in modo un po' vago, vedendo questi giovani ad Ardenno e a Como muoversi tra gli orti, i prati o fra i piccoli allevamenti di animali; osservando le loro reazioni, il loro aprirsi graduale alla conoscenza, ai rapporti, agli interessi, lo sviluppo delle capacità lavorative, comprese di avere tra le mani un mezzo eccellente per influire sulla crescita generale di queste persone. Gli parve chiaro ciò che, in precedenza, per anni non aveva percepito che in modo confuso. Le discussioni avute per anni con amici ed esperti e che gli erano sembrate un po' troppo teoriche e approssimate furono riprese su basi sperimentali e confrontate con la realtà nuova che gli si presentava, trovando un riscontro incoraggiante nei risultati raggiunti. In un articolo importante del 1903 (dopo un paio di anni dall'apertura della Colonia S. Salvatore di Nuova Olonio) ha riassunto con molta semplicità la situazione come gli appariva, con le prospettive che si stavano aprendo.

Scrisse: « Non ci rimorde l'animo di aver trascurato per l'addietro di interpellare professori distinti in proposito; ma forse chi ha fatto per un tempo senza vero profitto, indagini e cure, può credersi dispensato di farne altre, quando i progressi scientifici progrediti d'assai, possono dare speranza di riuscire a migliorare anche di poco lo stato di quei poveri incoscenti? ».

In realtà non aveva evitato di approfondire il problema con esperti; qualche anno prima s'era posto in contatto con due professori (prof. A. Sala e prof. A. Gonnelli) che avevano aperto una istituzione per handicappati a Chiavari e poi si erano trasferiti a Vercurago; aveva avuto buone indicazioni e gli si erano anche offerti a seguire le sue istituzioni con competenza e carità. Aveva fatto un cenno sul suo bollettino e molti si mostrarono interessati e gli scrissero, dando e chiedendo pareri. Naturalmente furono numerosi anche gli incoraggiamenti e le esortazioni a un buon lavoro in questo settore. Non si chiedeva del resto molto, in quel tempo: per cominciare, una precisa distinzione teorica e pratica fra handicappati mentali e dementi, raccolti tutti assieme nei manicomi che in quel tempo andavano  organizzandosi in ogni provincia. Seconda cosa, ma già più difficile, che la famiglia restasse più vicina a questi figli che non erano per nulla pericolosi e che trovavano nella famiglia la collocazione e l'ambiente più opportuno e più giusto.

« A noi parve e pare ancora che il trattamento repressivo in uso nei manicomi, e un tantino anche nelle stesse famiglie in cui vi sono deficienti, sia poco opportuno e, ce lo si lasci dire,  poco umano. Purtroppo con questo metodo i cretini non facevano. — e non fanno — che diventar più cretini e la società assiste a uno spettacolo che se poteva tollerarsi nei secoli andati, non è più tollerabile nel nostro. Ci ha sempre rattristato l'animo [...] che molte famiglie, pur di sbarazzarsi di individui molesti, ricorrono con troppa facilità ai manicomi, ai pii ricoveri, ed alle stesse case di correzione, mancando  gravemente non solo contro la carità, ma perfino contro la giustizia, riguardo a persone che avrebbero tutto il diritto di crescere, vivere e morire dentro le pareti del domestico focolare ».

L'esperienza di Nuova Olonio venne dunque in buon punto: sulla linea delle prime esperienze e attività svolte in precedenza nelle altre case, essa si riassunse nell'antico « fede e lavoro », come ben comprese padre Gemelli, sintetizzando così l'intervento di don Guanella, sulla tradizione cristiana. Del desiderio e anzi della precisa intenzione di don Guanella, di dedicarsi alla bonifica radicale e finale del Pian di Spagna sopra Colico, si parlava da qualche tempo, con curiosità, con interesse e anche con qualche diffidenza: un'opera impegnativa che sembrava superiore alle forze e ai mezzi di don Guanella. Quando poi si vide come si organizzava l'avvio ci fu piuttosto delusione. Sul battello che portava da Como a Colico il gruppetto iniziale di giovani inviati da don Guanella, si disse chiaro e tondo al buon prete che li accompagnava: « Povera Colonia, se ti fondi su quei lavoratori! » e peggio fu fatto e detto quando sbarcarono a Colico e si avviarono su carretti verso la Casa Castella, la costruzione rustica dove si accamparono negli inizi. Erano stati invitati alcuni  robusti sterratori veneti per i lavori più pesanti e per organizzare l'opera di bonifica. Ma molto meno si poteva sperare dal gruppo di handicappati, «che lavorano come possono, quando possono e quanto possono... ». Invece dalla collaborazione fra questi tecnici, gli handicappati e qualche contadino del luogo maturò in breve tempo un rinnovamento impensato di tutta la zona. Quanto al gruppo di handicappati, « si vedono veri prodigi in quei poveretti cui natura ha dato in misura tanto scarsa il bene dell'intelletto ». « Nel vedersi utilizzati nei lavori campestri più materiali i poveri deficienti si sentono quasi riabilitati! Essi con vivissima compiacenza amano mostrare agli altri che valgono qualcosa e si guadagnano il loro pane. Taluni perfino si credono preferiti nella loro classe, appunto perché hanno imparato a smuovere il terreno o a trascinare un vagoncino di terra sui binati volanti ». La meraviglia e la gioia infantili di questi « piccoli » diventano stupore negli adulti che vedono questa trasformazione: si sentono coinvolti nell'attività creatrice della natura: i frutti di essa sono anche il loro frutto; si sentono immersi nella ricchezza della vita che trasforma terre improduttive e malariche, tutte le loro facoltà si sentono impegnate in modo non artificioso, spontaneo; nasce l'emulazione incoraggiante; si aprono ai rapporti verso gli altri con cui collaborano con un certo orgoglio; partecipano ai rischi, alla durezza, agli imprevisti del lavoro, specialmente del lavoro agricolo; cresce l'interesse verso un mondo che si rivela ai loro occhi e al loro rapporto in modo sempre nuovo; partecipano ai frutti, al guadagno; la mente si apre gradualmente alla realtà di tutto questo mondo di persone, di cose, di animali, senza la mediazione pesante e per essi inaccettabile dei libri e della scuola. Quello che aveva intuito, sentito, un po' anche previsto diventava nella realtà qualcosa di ben più vero. Incaricò il prof. Pietro Parise di stendere una serie di articoli; la realtà, tuttavia precedeva gli studi e le riflessioni. A Nuova Olonio era stato accentuato, per ragioni ambientali, il lavoro tipicamente agricolo. Don Guanella lo considerava tuttavia anche il più adatto, anche se non unico, per influire profondamente e più largamente sulla personalità di questi handicappati. Da quel contesto emersero anche varie difficoltà, alcune più generali, altre più tipiche rispetto alle scelte fatte di lavoro agricolo. Don Guanella per quanto potè le affrontò con i mezzi che i tempi, le persone o, infine, la fede gli suggerivano, con coraggio. Le difficoltà cominciavano da quella più banale, ma anche condizionante, della povertà dell'opera e della scarsità di aiuti: « Gli amici [...] ci raccomandano e ci spronano a completare la bonifica e lo sviluppo della Colonia, per il vantaggio morale di curare più largamente e maggior numero di deficienti. Ma... e i soldi dove si trovano? ». La risposta la attinge alle proprie esperienze precedenti e in fine alla fede: « Se ci fosse una forte donazione [...] ovvero se si potesse intavolare una lotteria [...]. Basta! La Provvidenza maturerà queste aspirazioni nostre ». Le difficoltà sanitarie igieniche a Nuova Olonio si rivelarono specialmente con il rischio della malaria; ed egli considera possibile combatterla per due vie: direttamente e indirettamente.

« Anche per questa, vale a dire per combattere i suoi maligni influssi, ci vogliono abnegazione, sforzi e denari, perché non si può veramente dire che la malaria del Pian di Spagna sia fra quelle ribelli ad ogni rimedio. Sì, i rimedi vi sono e il poco che già si è fatto, prosciugando il terreno circondante il caseggiato, vi ha sensibilmente migliorata l'aria. Del resto si potrà forse col tempo completare un'alpe, magari lungo lo stradale dello Spluga, e mandarvi alla buon'aria Preti, Suore, deficienti e il bestiame. Avremo raddoppiata, triplicata l'efficacia delle nostre cure verso i nostri deficienti, i quali ne avranno miglioramento nel fisico e nel morale »...

Si può aggiungere che l'anno seguente l'alpe di Montespluga era già in pieno funzionamento con soggiorno estivo e attrezzature occorrenti, tra cui una latteria funzionale a vantaggio anche degli altri pastori della zona. La famiglia poteva costituire pure difficoltà talvolta perché troppo desiderosa di liberarsi in ogni modo del figlio handicappato, ricorrendo a pii ricoveri, ma anche a manicomi o case di correzione, dove « non vi entreranno anche poveri incoscienti, che non hanno perduto un'intelligenza che mai ebbero? ». Oppure la famiglia poteva cercare, egoisticamente, di sfruttare la situazione cercando qualche beneficio economico: « Poi gli stessi parenti che si lagnano cogli uomini e con Dio del peso di dover mantenere questi propri cretini, invece di contribuire per il ritiro, vorrebbero esser pagati da chi ricovera quei poveri esseri ». Anche gli enti, specialmente i Comuni, negano gli aiuti; evidentemente questo tipo di assistenza non è ancora entrato nella mentalità degli amministratori e trova scarsi appigli nelle leggi: bisogna esser considerati soggetti pericolosi per la comunità, per esser presi in considerazione sia pure in qualche modo! Non solo negano gli aiuti, ma negano anche i soggetti; così che, osserva don Guanella con disappunto, « per avviare le due case di Ardenno, si dovettero inviare lassù i deficienti delle case nostre di Como e di Milano ». Conseguenze strane di atteggiamenti incomprensibili. Infine, crea difficoltà da parte degli stessi handicappati, l'amore innato a sottrarsi a ogni disciplina, l'amore della libertà; si apre tutto un discorso di rispetto per la persona e di equilibrio tra le esigenze profonde dell'uomo e quelle concrete e immediate di un intervento certamente vantaggioso. Esperienze, difficoltà e riflessioni portarono a determinare alcune linee di assistenza e di educazione di queste persone, che per don Guanella sono da ritenere fondamentali. Anzitutto conta la motivazione di fondo: anche questi handicappati, pur con tutti i limiti e le difficoltà che comportano, sono persone e, per don Guanella, sono figli di Dio. « Si nutre verso di loro vera stima come a creature di Dio, vero amore come a membra di Gesù Cristo; essi sono buoni e cari a Dio ». Una motivazione cosi fondata dovrebbe essere in grado di reggere all'usura delle difficoltà anche gravi. È pure principio fondamentale che « sono deficienti, ma il più delle volte sono capaci di qualche miglioramento ». È quindi necessario un adattamento e un aggiornamento continui. Per costituire un ambiente adatto, occorrono metodo preventivo e un notevole spazio di libertà. L'uso del metodo preventivo esclude coercizioni e repressioni, non conosce castighi; ma suppone relazioni e condivisione come si stabiliscono in una famiglia. E il metodo preventivo deve essere adattato alla particolare situazione. Spesso succedeva che, venendo a mancare la famiglia, la casa di don Guanella rimaneva l'unica casa e famiglia per l'handicappato.

E, quanto alla libertà, ripeteva don Guanella: « Sono già tanto sofferenti, non si tormentino con restringere troppo gli atti della loro libertà, con il pretesto dell'ordine disciplinare ». Case e sezioni vivevano con porte e cancelli aperti, come piccoli paesi ordinati, ma aperti all'interno e verso l'esterno. Alla base del metodo educativo stava il lavoro, preferibilmente agricolo, trattandosi spesso di adulti abbastanza gravi e provenienti da ambienti agricoli; anche in questi casi, per quanto possibile, si trattava di un dovere, non di un passatempo. E, agendo con misura e discrezione, utilizzando immagini e segni sensibili, diventava possibile portare avanti la mente e il cuore verso qualche conoscenza religiosa. Così don Guanella apriva una strada che avrebbe portato molto lontano la scienza, la tecnica e l'esperienza nello sviluppo, nella crescita e nella maturazione della persona dell'handicappato mentale. La meta poteva apparirgli abbastanza lontana e difficile; era tuttavia notevole l'avviarsi lungo il cammino. Al momento sembrava sufficiente avere aperto una via di speranza. « Se, com'è certo, molti resteranno ribelli a ogni cura, l'avere tentato di migliorarli e il dar loro pane e ricovero, sarà opera vana? ». (da, "Gli 'Ultimi', i primi della sua missione" - Don Piero Pellegrini)