Riflessione di don Gabriele Cantaluppi

Da quando san Francesco a Greccio allestì il primo, famosissimo presepio nel 1223 (siamo ormai prossimi a commemorarne gli 800 anni), esso è presente nelle chiese e nelle case dei cristiani e con esso diventa familiare il messaggio di Betlemme, di semplicità, di povertà, di amore di Dio per gli uomini.

Don Guanella, che si sentiva francescano fino alle midolla, abbracciò la tradizione del  presepio e la volle diffondere nelle sue opere. La scena del presepio gli richiamava  lo spirito del Santo di Assisi; egli stesso era iscritto al Terz’Ordine francescano, come pure molti degli ospiti delle sue case; tra i santi protettori della sua opera annoverava san Francesco «dacché tutti nella Casa sono terziari francescani».

Fin da bambino allestiva a Fraciscio il presepio insieme ai suoi amici; lo ricordava nella sua autobiografia Le vie della Provvidenza, parlando di se stesso in terza persona: «I fanciulli del vicinato gli [al giovane Luigi Guanella] tenevano dietro alla chiesa e a qualche passeggiata con gioia infantile. Talvolta si faceva accompagnare su pel monte per raccogliere ciottoletti di varie qualità e colori che poi servivano per un presepio a tre archi di capanna».

Per lui il presepio era luogo dove si manifesta il Cuore di Gesù, la sua devozione principale: «O Cuore del mio Gesù, mostratevi anche a me. Apparitemi con la potenza della vostra grazia. Mostratevi col buon influsso delle vostre ispirazioni sante. Buon Gesù, voi per amore vi trasfiguraste nel presepio!». Nei pastori che si avvicinavano alla mangiatoia vedeva gli uomini obbedienti all’invito del Signore:
«I profeti ispirati dissero al mondo: In una stalla nascerà il Messia salvatore; verrete a questa e là troverete salute». Ma nel corso dei secoli gli uomini se ne erano scordati e allora Dio volle richiamarli con l’esempio di san Francesco, un’immagine viva di Cristo fin nel momento della sua nascita. Don Guanella raccoglieva in un suo scritto una tradizione francescana: «La madre di Francesco era sterile già da sei anni, e con molte preghiere ottenne di venir feconda. Mesi di poi provò un’ispirazione viva di recarsi entro una stalla. Non poté resistere a questo impulso. Si portò dunque presso una greppia del bue e dell’asinello e qui diede in luce un bambino che poi chiamò Francesco». 

Il nascondimento e la povertà di Betlemme gli richiamano l’annientamento di Gesù sotto le specie sacramentali dell’Eucaristia: «Lo so benissimo che per un prodigio di amore voi, mio Dio, nascondete nelle specie del gran Sacramento la vostra divinità santissima, come in Betlemme la nascondeste nel corpo dell’Infante divino che nacque dalla Vergine immacolata».

Quasi al termine della sua vita, l’amore per Betlemme gli suggerì il progetto di riprodurre nel santuario di Como, tra i luoghi santi della salvezza, anche la grotta della Natività. In una sua circolare ai guanelliani, subito dopo essere rientrato dal viaggio negli Stati Uniti nel 1913, scriveva: «Sapete che a Washington ho visitato per due giorni il santuario fac simile di Betlemme e del santo Sepolcro, per riprodurne l’esemplare nella nostra chiesa del Sacro Cuore in Como». L’architetto Aristide Leonori, suo grande amico, nell’ampliamento della chiesa del 1913, diede seguito al desiderio del fondatore, anche se in pratica furono realizzati solamente il Calvario, la Scala Santa e il Sepolcro, non le grotte di Nazareth e di Betlemme. Infatti solo due anni dopo, il 24 ottobre 1915, Don Guanella morì e ben presto sorsero difficoltà economiche di assestamento delle ancor giovani congregazioni guanelliane.

 In precedenza, in un suo opuscolo, Alle Figlie di Santa Maria della Provvidenza negli asili del medesimo 1913, aveva invitato le sue suore a recarsi al santuario del Sacro Cuore, presso la Casa di Como, per rivivere spiritualmente l’atmosfera di un pellegrinaggio in Terra Santa, perché vi avrebbero trovato riprodotti «i luoghi santi di Betlemme, di Nazareth, del Calvario e del santo Sepolcro». Infine la grotta di Betlemme voleva che diventasse modello di vita per i suoi religiosi, specialmente nella pratica esterna della povertà: «Finché le abitazioni e gli usi delle case religiose saranno poveri, avranno il fervore di Betlemme e di Nazareth, della grotta del Getsemani, del Calvario e del santo Sepolcro. Ma bisogna conservare perfetto modello di quei luoghi santi». 

È interessante, anzi diventa attuale per noi quanto egli ricordava della Francia, che cioè quella nazione riuscì a conservare la fede mentre imperversava l’illuminismo ateo e la rivoluzione anche grazie all’umile devozione del presepio, «accesasi, come in tante greppie benedette, nei casolari dei poveri figli al monte ed al campo. Avvenga così anche tra noi!».

La semplicità e l’innocenza del presepio di Betlemme le scorgeva anche nei tanti ragazzi poveri, ospiti delle sue Case: «L’infante Salvatore è prossimo a mostrarsi nella culla di Betlemme e noi lo scorgiamo testé nella persona dei giovinetti che, educati all’ombra del santuario, nel fervore degli oratori festivi, nella cura delle Compagnie devote dei Luigini, crescono docili ai parenti, con sentimenti di pietà in chiesa e di edificazione al paese. Ed ecco un’immagine cara del presepio del divin Salvatore».

Nel Natale successivo all’incendio che colpì il santuario di Como il 1 novembre 1895, anche se la situazione della Casa non era delle migliori, volle che in un salone attiguo alla chiesa fosse allestito un grande presepio e concludeva: «Fu scritto che tutto non vien per nuocere, e così non nuocerà questa buona provvidenza di un presepio artistico, atto a favorire la pietà verso Dio, e colla pietà a Dio la carità al prossimo».