Suor Chiara Bosatta realizzò perfettamente l’ideale di don Guanella.
Ed egli la considerava esempio di vita e mediatrice
di don Alessandro Allegra, Superiore della Provincia San Luigi
Pensando a Chiara Bosatta, la prima tra le Figlie di Santa Maria della Provvidenza a essere proclamata beata, torna in mente ciò che san Luigi Guanella volle fosse scritto in un’epigrafe collocata sotto la sua immagine che la ritrae in preghiera davanti al Crocifisso;
fu poi trascritta anche all’inizio della biografia redatta da Maddalena Albini Crosta, Fiore di Cielo, nel 1910. Vi si legge: «Suor Chiara Bosatta percorse il cammino della perfezione cristiana nella pratica dell’innocenza e insieme della penitenza. Fu molto bene, anzi perfettamente fondata nell’umiltà, nell’umiltà vera, compenetrata da grande amore a nostro Signore e da fiducia nella bontà di lui. Iddio la condusse per la via delle anime forti, via aspra e per sé pericolosa, ma la guidò così che non ponesse piede in fallo. Ed essa non cadeva, perché si arrendeva con assoluta docilità alla mano che la guidava».
Il Breve apostolico della sua beatificazione – avvenuta il 21 aprile 1991 –, riprendendo quanto si diceva di lei, la definisce il «primo fiore della Famiglia religiosa» che san Luigi Guanella ha fondato. I fiori allietano il cuore dell’uomo, e spesso lo incantano. E allora possiamo pensare che non soltanto Dio si era rispecchiato in quella piccola ragazza, ma anche don Guanella era rimasto incantato.
Chiara, agli occhi di don Luigi Guanella, appariva come la realizzazione del suo progetto di donna consacrata a Dio e dedita ai poveri. Lo stile era quello della religiosa guanelliana, così come l’aveva sognata nei suoi lunghi colloqui con il Signore. Chissà quante volte, ammirando ciò che la grazia di Dio operava nel cuore di quella giovane consacrata, avrà trovato elementi di spiritualità a lui tanto cari, e magari si sarà detto: «La componente mistica della laboriosità cottolenghina c’è; la disinvolta e cordiale spontaneità salesiana c’è pure; non le manca neanche l’affascinante sobrietà francescana». Ma soprattutto in Chiara avrà colto – in una fisionomia del tutto originale e squisitamente guanelliana – l’immagine della consacrata tutta di Dio, che non fa troppi calcoli sulla propria vita per amare incondizionatamente il Crocifisso nei crocifissi, per essere obbediente perché grata, per restare lontana dal peccato, per saper vivere di quanto basta, e a volte anche meno. Gioiosa nella sua offerta, viva, libera, adulta, spigliata, docile all’azione dello Spirito.
Chiara, «perfettamente fondata nell’umiltà e compenetrata da grande amore a nostro Signore», ha raggiunto la “misura alta” della vita cristiana in un’esistenza che in soli 29 anni ha brillato per l’incandescenza dell’amore verso Dio, verso la gente, e specialmente verso i poveri. Il suo fu un amore sempre alimentato dalla fede, dall’umiltà e da quella “beata piccolezza”, delineata da Matteo nel suo Vangelo (11, 25-26).
Una vita, quella di Chiara, vissuta lontano dalla fama, dalla gente in vista, dagli avvenimenti straordinari della storia. Vita e morte senza risonanze particolari. Nell’omelia della beatificazione san Giovanni Paolo II notava che proprio «nella sua mitezza e fragilità, nella semplicità dei modi e nella delicatezza del tratto, Chiara nasconde la forza indescrivibile di una carità veramente evangelica. Davvero spiccato in lei è il senso degli altri, che cresce a dismisura fino all’immolazione, per via della sua capacità naturale di sentire le cose dentro, che le permette di mettersi realmente nei panni altrui andando verso le persone, ma anche di portare le stesse dentro di sé, nel proprio mondo. Tutto questo riesce a farlo perché nel Signore sa porre la propria gioia».
Testimonia madre Marcellina, sua sorella: «Non vidi mai che perdesse fra le pene la serenità dell’anima; nei bisogni suoi e della casa essa non si turbava, ma pregava e sperava sempre tranquilla e sorridente tra le sue pene». E con simili parole anche don Guanella conferma: «La speranza era l’angelo consolatore di suor Chiara; era il buon angelo della Casa che attutiva qualunque segno di malumore, ascoltava con amorevolezza e rispondeva con poche parole; chi da lei partiva si sentiva, senza sapere il perché, una gioia nel cuore».
Tutto in lei era ancorato in Dio, nella comunione più intima e lieta col Cristo vivente, nel confidente abbandono all’amore del Padre. Il suo modo di amare veniva da Dio, e per lui e con lui si sporgeva nelle vite altrui. È per questo amore che Chiara muore ripetendo l’unica parola che conta in ogni cammino cristiano: «Paradiso! Paradiso!». Paradiso era stata per lei l’Eucaristia, lo stare con Gesù, e non le importava se era capita e valorizzata, al centro, o ai margini. «Pane e Signore» fu infatti la sua missione tra le consorelle e tra i poveri.
Sarebbe bello riuscire a sentirla e a guardarla come faceva don Guanella: «Grazie alle preghiere e ai sacrifici della Serva di Dio suor Chiara – diceva – ho potuto con visibile aiuto della Provvidenza conseguire l’intento di veder costruita e consolidata la fondazione della Casa della Divina Provvidenza [in Como], e per questo la consideravo pietra fondamentale dell’Opera».