di don Bruno Capparoni, Postulatore generale

A un secolo e mezzo dalla nascita
Aurelio Bacciarini è testimone di fede e immolazione.
La sua prima scuola fu la famiglia, povera e avvezza al
patire, e il popolo montanaro della Val Verzasca.

L’8 e il 9, ricorderemo centocinquant’anni dalla nascita e dal battesimo del venerabile Aurelio Bacciarini, successore di don Guanella e vescovo di Lugano. La Chiesa ufficiale ha promosso il suo Processo di Canonizzazione e papa Benedetto XVI il 15 marzo 2008 gli ha dato il titolo di venerabile. 


Richiamandoci alla sua nascita, a Lavertezzo l’8 novembre 1873, dobbiamo ricordare la sua educazione infantile, per scoprire le dinamiche che hanno favorito lo sviluppo delle sue doti naturali e della Grazia divina. La natura e la Grazia santificante furono certamente un buon seme, ma trovarono terreno fertile e buona coltivazione.

Aurelio Bacciarini nacque in una buona famiglia e i suoi genitori erano ottimi come cristiani e come genitori. Il padre Lodovico e la madre Maria Teresa Sciarini, sposatisi il 24 maggio 1862, ebbero otto figli; Aurelio era il settimo e Maria, ultima nata nel 1875, morì infante. I fratelli maggiori erano Filomena (1863), Maria Teodolinda (1865), Rosa (1867), Martino (1868), Michele (1870) e Teresa (1872). Maria Teodolinda diventò religiosa a Torino con il nome di suor Tersilla; Rosa, sposatasi a Riazzino (Ticino), fu madre del guanelliano don Michele Bacciarini; gli altri quattro emigrarono in California.

Di questa numerosa nidiata fu nutrice ed educatrice la mamma Maria Teresa, perché il padre morì prematuramente il 6 settembre 1876, vittima di un attacco apoplettico. Questo avvenimento luttuoso ridusse la famiglia a una condizione economica confinante con la miseria, eppure Maria Teresa Sciarini, come la donna forte della pagina biblica, oltre a condurre avanti arduamente il ménage familiare, trasmise ai suoi figli una valida educazione. 

Il piccolo Aurelio, dotato di bella intelligenza e di grande sensibilità, assorbiva gli insegnamenti della mamma. In famiglia si recitava quotidianamente il rosario e la mamma diceva: «Inginocchiatevi per il santo Rosario, perché il vostro povero padre vi ha lasciato questo esempio».  Oppure conduceva i figli al santuario della Madonna del Sasso a Locarno e, davanti al busto del cappuccino Lodovico Covoni affermava: «Questo padre è un santo. Oh il bene che ha fatto!». E il giovane Aurelio si nutriva di questo “cibo”. Sono molte le informazioni sull’educazione materna che il biografo Emilio Cattori ha raccolto nella monumentale opera Il vescovo Aurelio Bacciarini (Lugano 1946).

Oltre alla mamma, Aurelio ebbe un ottimo formatore nel parroco don Pietro Vaghetti (1841-1912). Era il padre e il pastore della parrocchia di Lavertezzo, dove rimase dal 1869 al 1902. Aveva percorso la strada del sacerdozio nei seminari comaschi (in quell’epoca il territorio del Canton Ticino era in buona parte diocesi di Como) insieme a san Luigi Guanella e aveva ricevuto l’ordinazione sacerdotale con lui il 26 maggio 1866. Don Vaghetti coltivò in Aurelio la vocazione sacerdotale, gli procurò la borsa di studio per frequentare il Seminario San Pietro martire a Seveso (Milano) e gli diede l’abito clericale il 3 novembre 1888. Soprattutto introdusse il suo giovane parrocchiano alla conoscenza del compagno di studi don Guanella. Nel necrologio su La Divina Provvidenza, Bacciarini così lo ricordava: «Fu il buon pastore, che passa beneficando, null’altro cercando che la gloria di Dio, la salvezza delle anime, il bene di tutti».

Anche la comunità parrocchiale di Lavertezzo offriva ai suoi giovani un ambiente esemplare di fede cristiana. Così ne parla mons. Cattori nella deposizione al Processo: «Al tempo della fanciullezza del Servo di Dio [Aurelio Bacciarini] tutto il popolo del suo paese, durante la Messa festiva, si vedeva adunato nella chiesa come una sola famiglia. Egli rievocava durante la vita le impressioni salutari riportate da questo spettacolo di fede». In una sua Pastorale del 1919 lo avrebbe così descritto: «Io ricordo ancora, con una nostalgia infinita,  dai miei primi anni  la chiesa affollata come un accampamento cristiano, ricordo la schiera degli uomini cantanti le lodi del Signore con il più giulivo entusiasmo, ricordo la falange dei giovani circondante, come bosco d’ulivi, l’altare della Messa». Erano impressioni che lasciarono un’orma indelebile in un ragazzo attento e sensibile.

Ma a Lavertezzo il giovane Aurelio fece un’altra esperienza importante per la sua fisionomia futura, quella del lavoro faticoso quale segno ed esercizio di povertà. La famiglia era bisognosa e così il piccolo Aurelio affrontò il lavoro di pastore sui monti della Val Verzasca. I ricordi dei compagni sono unanimi nel testimoniare la sua coscienziosità e il suo impegno nella fatica. Inoltre anche su quei monti non mancavano le occasioni di assorbire la fede, testimoniata da quei montanari. Nel 1882 (Aurelio aveva nove anni) fu eretta una croce sull’alpeggio, con la benedizione del parroco Vaghetti; da allora ogni domenica gli alpigiani, in coincidenza con la Messa parrocchiale a Lavertezzo, si riunivano per recitare il Rosario e Aurelio era tra i più assidui.

Queste memorie, mentre conservano il ricordo dell’infanzia di mons. Bacciarini a Lavertezzo, sono una bella testimonianza dell’apporto educativo, da lui ricevuto in famiglia e nel paese, e ci confermano nella convinzione, se ce ne fosse bisogno, che i frutti di santità trovano sì origine nella Grazia di Dio, ma essa suscita anche le mediazioni umane  necessarie al suo sviluppo.