Anzitutto vincere la mediocrità spirituale. Come? La ricorrenza liturgica della Presentazione del Signore, che nell’Oriente cristiano è detta “festa dell’incontro”, ci ricorda la priorità della nostra vita: l’incontro con il Signore, specialmente nella preghiera personale, perché la relazione con Lui è il fondamento del nostro operare. Non dimentichiamo che il segreto di tutto è la preghiera, perché il ministero e l’apostolato non sono prima di tutto opera nostra e non dipendono solo dai mezzi umani.
E voi mi direte: sì, è vero, ma gli impegni, le urgenze pastorali, le fatiche apostoliche, la stanchezza e così via rischiano di non lasciare tempo ed energie sufficienti alla preghiera. Per questo vorrei condividere alcuni consigli: anzitutto, manteniamo fede a certi ritmi liturgici della preghiera che scandiscono la giornata, dalla Messa al breviario. La celebrazione eucaristica quotidiana è il cuore pulsante della vita sacerdotale e religiosa. La Liturgia delle Ore ci permette di pregare con la Chiesa e con regolarità: non trascuriamola mai! E non tralasciamo neanche la Confessione: abbiamo sempre bisogno di essere perdonati per poter donare misericordia. Un altro consiglio: come già sappiamo, non possiamo limitarci alla recita rituale delle preghiere, ma occorre riservare ogni giorno un tempo intenso di preghiera, per stare cuore a cuore con il Signore: un momento prolungato di adorazione, di meditazione della Parola, il santo Rosario; un incontro intimo con colui che amiamo sopra ogni cosa. Inoltre, quando siamo in piena attività, possiamo anche ricorrere alla preghiera del cuore, a brevi “giaculatorie” – sono un tesoro, le giaculatorie –, parole di lode, di ringraziamento e d’invocazione da ripetere al Signore ovunque ci troviamo. La preghiera ci decentra, ci apre a Dio, ci rimette in piedi perché ci pone nelle sue mani. Essa crea in noi lo spazio per sperimentare la vicinanza di Dio, perché la sua Parola diventi familiare a noi e, attraverso di noi, a quanti incontriamo. Senza preghiera non si va lontano. Infine, per superare la mediocrità spirituale, non stanchiamoci mai di invocare la Madonna – è nostra Madre – e di imparare da lei a contemplare e seguire Gesù.
La seconda sfida è vincere la tentazione della comodità mondana, di una vita comoda in cui sistemare più o meno tutte le cose e andare avanti per inerzia, ricercando il nostro comfort e trascinandoci senza entusiasmo. Ma in questo modo si perde il cuore della missione, che è uscire dai territori dell’io per andare verso i fratelli e le sorelle esercitando, in nome di Dio, l’arte della vicinanza. C’è un grande rischio legato alla mondanità, specialmente in un contesto di povertà e sofferenze: quello di approfittare del ruolo che abbiamo per soddisfare i nostri bisogni e le nostre comodità. È triste, molto triste quando ci si ripiega su sé stessi diventando freddi burocrati dello spirito. Allora, anziché di servire il Vangelo, ci preoccupiamo di gestire le finanze e di portare avanti qualche affare vantaggioso per noi. Fratelli e sorelle, è scandaloso quando ciò avviene nella vita di un prete o di un religioso, che invece dovrebbero essere modelli di sobrietà e di libertà interiore. Che bello invece mantenersi limpidi nelle intenzioni e affrancati da compromessi col denaro, abbracciando con gioia la povertà evangelica e lavorando accanto ai poveri! E che bello essere luminosi nel vivere il celibato come segno di disponibilità completa al Regno di Dio! Non accada invece che in noi si trovino, ben piantati, quei vizi che vorremmo sradicare negli altri e nella società. Per favore, vigiliamo sulla comodità mondana.
Infine, la terza sfida è vincere la tentazione della superficialità. Se il Popolo di Dio attende di essere raggiunto e consolato dalla Parola del Signore, c’è bisogno di preti e religiosi preparati, formati, appassionati al Vangelo. Ci è stato messo un dono tra le mani e, da parte nostra, sarebbe presuntuoso pensare di poter vivere la missione a cui Dio ci ha chiamati senza lavorare ogni giorno su noi stessi e senza formarci in modo adeguato, nella vita spirituale come nella preparazione teologica. La gente non ha bisogno di funzionari del sacro o di laureati distaccati dal popolo. Siamo tenuti a entrare nel cuore del mistero cristiano, ad approfondirne la dottrina, a studiare e meditare la Parola di Dio; e al tempo stesso a restare aperti alle inquietudini del nostro tempo, alle domande sempre più complesse della nostra epoca, per poter comprendere la vita e le esigenze delle persone, per capire come prenderle per mano e accompagnarle. Perciò, la formazione del clero non è un optional. Lo dico ai seminaristi, ma vale per tutti: la formazione è un cammino da portare avanti sempre e per tutta la vita. Si chiama formazione permanente: formazione sempre, per tutta la vita.
Queste sfide di cui vi ho parlato sono da affrontare se vogliamo servire il popolo come testimoni dell’amore di Dio, perché il servizio è efficace solo se passa attraverso la testimonianza. Non dimenticare questa parola: la testimonianza. Per essere buoni sacerdoti, diaconi, consacrate e consacrati non bastano le parole e le intenzioni: a parlare, prima di tutto, è la vita stessa, la propria vita. Cari fratelli e sorelle, guardando voi rendo grazie a Dio, perché siete segni della presenza di Gesù che passa lungo le strade di questo Paese e tocca la vita della gente, le ferite della loro carne. Ma c’è ancora bisogno di giovani che dicano “sì” al Signore, di altri sacerdoti e religiosi che con la loro vita lascino trasparire la sua bellezza.