L’Udienza speciale dal Papa il 13 aprile 2023 all’ARIS.
Erano presenti alcuni ospiti della Casa San Giuseppe di Roma. A loro Francesco ha mostrato stima e affetto.

di don Fabio Lorenzetti

Andare in visita dal Papa è sempre un evento straordinario, carico di grazia, che ti fa sentire Chiesa viva e (perché no?) fragile e malata. L’udienza di papa Francesco all’Associazione Religiosa degli Istituti Socio-Sanitari (ARIS) per noi della Casa San Giuseppe in Roma è stata particolarmente ricca di emozioni.

Eravamo in primissima fila, a pochi metri dal Santo Padre, in rappresentanza di tutti i nostri amici e amiche, insieme alle rappresentanze di tanti altri centri sanitari d’Italia. Il gruppo di ragazzi del nostro centro di riabilitazione (anche un bambino dell’ambulatorio con la mamma), tutti ben vestiti, con qualche carrozzina e con la suora e il direttore al seguito, era pronto fin dal mattino all’ingresso del Vaticano. Entriamo salutati dalle Guardie svizzere e, dopo una serie di cortili e passaggi, arriviamo a posteggiare i pulmini nel maestoso cortile di San Damaso. Si sale in ascensore, poi attraversiamo la stupenda Sala Clementina e ci accomodiamo in prima fila nella Sala del Concistoro, proprio dove papa Benedetto XVI annunciò le sue dimissioni. Finalmente, un fragoroso applauso accoglie il grande sorriso di papa Francesco. 

Il presidente dell’ARIS, padre Virginio Bebber, presenta brevemente chi siamo: rappresentanze della sanità cattolica in Italia (ospedali, centri di riabilitazione, case per anziani, RSA, istituti di ricerca scientifica…) mettendo in evidenza le grandi difficoltà del momento, soprattutto dopo il periodo della pandemia, ma non manca di sottolineare il desiderio di continuare a servire l’umanità più fragile, come porzione di Chiesa italiana.

A questo punto, cala il silenzio nella grande aula per ascoltare la parola del Vescovo di Roma. Dopo aver salutato il presidente dell’ARIS e il Direttore dell’Ufficio della Pastorale della Salute della CEI, il Santo Padre ci paragona «alla locanda del buon samaritano, dove i malati possono ricevere l’olio della consolazione e il vino della speranza». E continua: «Esprimo il mio apprezzamento per il bene compiuto in tanti istituti a carattere sanitario presenti in Italia e incoraggio a portarli avanti con la perseveranza e la fantasia della carità, proprie di molti fondatori che a essi hanno dato vita». Il Papa prosegue ricordando la lunga storia del nostro servizio: «La sanità religiosa in Italia ha una storia bella e plurisecolare. La Chiesa ha fatto molto, attraverso la sanità, per dare ascolto e attenzione alle fasce povere, deboli e abbandonate della società. Non sono mancati, in questo ambito, testimoni autorevoli, che hanno saputo riconoscere e servire Cristo malato e sofferente fino al dono completo di sé, anche con il sacrificio della vita».

A noi della Casa San Giuseppe il pensiero è andato al nostro san Luigi Guanella che, nella Casa San  Giuseppe in Roma, da oltre cento anni accoglie persone con diverse disabilità, oggi anche bambini, ragazzi e ragazze, uomini e donne con fragilità psico-fisiche.

Il discorso di Francesco prende la direzione del presente e ci sprona ad avere coraggio e a guardare con fiducia al futuro, senza risparmiarci nel grande impegno che ci attende: «Qual è il compito delle Istituzioni sanitarie di ispirazione cristiana in un contesto, come quello italiano, dov’è presente un servizio sanitario nazionale per sua vocazione universalistico, e dunque chiamato a provvedere alla cura di tutti? Per rispondere a questa domanda, è necessario recuperare il carisma fondante della sanità cattolica per applicarlo in questa nuova situazione storica, consapevoli anche che oggi, per vari motivi, è sempre più difficile mantenere le strutture esistenti. Occorre intraprendere cammini di discernimento e fare scelte coraggiose, ricordandoci che la nostra vocazione è quella di stare sulla frontiera del bisogno; la vocazione nostra è quella: sulla frontiera del bisogno!».

Nelle parole di Francesco tutti comprendiamo come lui conosca bene la situazione del nostro Paese: «Il ritorno della “povertà di salute” sta assumendo in Italia proporzioni importanti, soprattutto nelle Regioni segnate da situazioni socio-economiche più difficili. Ci sono persone che per scarsità di mezzi non riescono a curarsi, per le quali anche il pagamento di un ticket è un problema; e ci sono persone che hanno difficoltà di accesso ai servizi sanitari a causa di lunghissime liste d’attesa, anche per visite urgenti e necessarie!».

Conclude il Papa: «Cari fratelli e sorelle, tenete vivo il carisma dei vostri Fondatori, non tanto per imitarne i gesti, quanto piuttosto per accoglierne lo spirito; non tanto per difendere il passato, quanto per costruire un presente e futuro in cui annunciare, con la vostra presenza, la vicinanza di Dio ai malati, soprattutto ai più svantaggiati ed emarginati dalla logica del profitto. La Madonna vi accompagni. Di cuore vi benedico e benedico il vostro lavoro. E vi raccomando, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie!».

Ecco, finalmente tocca a noi del Don Guanella, che siamo in prima fila, andare a salutare il Santo Padre, stringergli la mano e scambiare una parola. Sharefah (così l’abbiamo chiamata) è dovuta fuggire da Kabul senza un documento e senza un nome. Ora sorride al Papa, lei che non è neppure battezzata, e riceve come tutti noi la benedizione del Pontefice: «Verrai a trovarci in via Aurelia Antica?». 

Nel percorso di ritorno, a ritroso nelle grandi sale e cortili, uno dei nostri, da buon tifoso, grida ancora: «Evviva il Papa!». Le guardie svizzere e i gendarmi sorridono.