Anticipiamo il primo di una serie di articoli, di Madre Anna Maria Cànopi, Badessa dell'Abbazia Mater Ecclesiae, che saranno pubblicati prossimamente sulla nostra rivista "La Santa Crociata" in onore di San Giuseppe

Nella Lettera ai consacrati per l’indizione dell’Anno dedicato alla Vita Consacrata, Papa Francesco ha espressamente rivolto l’invito ai religiosi di essere “creatori” di luoghi, dove si viva la logica evangelica del dono, della fraternità, dell’accoglienza, dell’amore reciproco. Così facendo, si è idealmente riallacciato al rinnovamento degli anni post-conciliari, quando l’approfondimento dell’ecclesiologia ha messo in rilievo la realtà della Chiesa come “mistero di comunione”, con tutti gli aspetti relativi alla vita comunitaria, in particolare a quella delle comunità religiose. Tale sottolineatura non è certo immotivata, perché oggi la parola “vita di comunione” fa sorgere in molti una domanda dietro la quale sta una penosa e persistente esperienza di tante difficoltà e anche di sconcertanti fallimenti. È possibile fare comunione? Si ha l’impressione che a questo riguardo circoli nella nostra società – e persino nell’ambito della vita ecclesiale – una vena di pessimismo… Ci può capitare di trovarci scettici quasi senza renderci conto dell’incoerenza di tale pensiero e sentimento con la fede che professiamo nel Dio Trino e Uno: Padre, Figlio e Spirito Santo.

Certo, la comunione non è opera umana, poiché il peccato ha introdotto nell’umanità la divisione, ma ciò che non era più possibile all’uomo, Dio lo ha reso di nuovo possibile con il perdono e sempre lo rende possibile con il dono del suo Amore. In forza di questo amore, pur con tutte le persistenti umane fragilità, può avere realmente inizio già qui sulla terra ciò che sarà completato in Cielo, nel regno dell’eterna vita. La comunione diventa possibile per il continuo superamento della natura umana in forza della divina grazia.

Oggi si è molto attenti all’aspetto culturale e psicologico della vita personale e comunitaria. Il trattamento psicologico si propone di aiutare a mettere in luce i complessi, le frustrazioni, le contraddizioni, le aggressività, in breve: le ferite e i grovigli in cui si dibattono le singole persone e le collettività. Ma tutti ormai dobbiamo onestamente ammettere che la radice del male di cui soffre l’umanità è più profonda e richiede un intervento sanatorio che va oltre le possibilità terapeutiche messe a disposizione dalle scienze umane.

Al di là dei meccanismi psicologici, nella vita delle comunità religiose è in atto il dinamismo dello Spirito Santo che – senza prescindere dalla sfera naturale – instaura una nuova legge per regolare le relazioni interpersonali: è la legge suprema dell’amore oblativo.

Nella vita consacrata, i membri sono convocati non solo per vivere gli uni accanto agli altri, ma gli uni “per” gli altri, gli uni negli altri, in Cristo che ci fa “uno”. La comunione si realizza nel dono totale di sé a Dio, in Cristo, per i fratelli. Nella comunità religiosa ogni singolo membro e tutti i membri insieme non possono sfuggire all’esigenza di entrare nel dinamismo del «più grande amore» (cf. Gv 15,13), fino a perdere se stessi per ritrovarsi accresciuti nella comunione con Dio e con gli altri:

L’ostacolo più grande alla vita di vera comunione è dunque la ricerca egoistica di sé che diventa inevitabilmente – in rapporto agli altri – contrapposizione e sopraffazione. Fino a quando non si arriva ad una sincera tensione verso l’amore oblativo – che è l’unico vero amore – non si è maturi per fare vita di comunione. Ma come poter maturare? Occorre un ambito comunitario formativo. Per acquisire il senso della comunione ci deve essere una comunità che genera alla vita di comunione.

Quando san Paolo presenta la Chiesa con la plastica immagine del corpo umano, afferma che la grazia – la linfa vitale – di ogni membro passa attraverso tutto il corpo. Le varie membra si servono a vicenda nella carità e nella pace (cf. 1 Cor 12,12-27). È quindi estremamente importante per chi aspira alla vita consacrata e ne inizia il cammino mettersi in seno alla comunità che lo accoglie in atteggiamento di figlio, con il cuore in ascolto e il piede pronto all’obbedienza, per aderire intimamente alla vita del «corpo di Cristo» che lo assume come proprio membro.

Generatrice di vita di comunione è la Parola di Dio accolta e assimilata sotto l’azione dello Spirito Santo. Se questo vale già per ogni cristiano per essere membro vivo della Chiesa, ma a maggior ragione per i consacrati si tratta di mettere l’ascolto – e la pratica – della Parola al primo posto nella vita quotidiana, considerandola davvero come alimento indispensabile per la crescita della vita comune, sentendosi – come scrive l’apostolo Pietro – «rigenerati non da un seme corruttibile, ma immortale, cioè dalla Parola di Dio viva ed eterna» (1Pt 1,22-23), che rende capaci di amarsi reciprocamente di vero cuore. 

Come una famiglia i cui membri si gestiscono in modo autonomo si trova in breve tempo disintegrata, così una comunità religiosa in cui non si vivano insieme almeno i momenti fondamentali della giornata perde inevitabilmente la sua forza di coesione e, anziché formare una vera comunione di vita, si riduce a un accostamento sporadico di individui – o di piccoli gruppi – che perseguono i loro propri intenti, fossero pure motivati da serie esigenze pastorali.

La vita comune, con la sua richiesta di abnegazione, di “uscita da se stessi” per fare comunione con gli altri, è una esigente, ma eccezionale “scuola di servizio divino” che, se frequentata con assiduità, con libertà di cuore e con generosità di impegno, produce i buoni frutti dello Spirito che non solo rafforza il vincolo della comunione fraterna tra i membri, ma ridonda anche di grazia verso l’esterno.

In questa luce la spiritualità della comunione è semplice e profonda, serena e austera. È una spiritualità pasquale, che trae dalla partecipazione alla croce di Cristo la più pura e inalienabile gioia. È semplicemente la spiritualità del Vangelo, in cui tutti i cristiani possono ritrovarsi.

Ogni comunità religiosa, infatti, va concepita come una famiglia – la famiglia di Dio che vive nella “casa di Dio” – i cui membri sono legati, in Cristo, da un vincolo indistruttibile per realizzare una comunione d’amore che sia segno e anticipo della Chiesa celeste, della beata visione di pace che è la comunione dei santi in Paradiso.