Nell’attesa di poter reincontrare, venerdi 25 novembre, papa Francesco in Vaticano, i superiori generali, riuniti nella loro assemblea semestrale da questa mattina al Salesianum di Roma, non potevano non ripartire da quanto il papa stesso aveva loro raccomandato ancora nel precedente incontro del 29 novembre 2013: «La Chiesa deve essere attraente. Svegliate il mondo! Siate testimoni di un modo diverso di fare, di agire, di vivere! È possibile vivere diversamente in questo mondo». Queste parole, come ha commentato il superiore generale dei domenicani, Bruno Cadoré, aprendo i lavori dell’assemblea, collocano i religiosi «al centro della missione evangelizzatrice della Chiesa». Ricollegandosi a quanto detto nella precedente assemblea USG, da subito il relatore ha in qualche modo anticipato quello che potrebbe essere il tema del nuovo incontro con papa Francesco: il contributo specifico che gli istituti di vita consacrata, alla luce della riflessione su radicalità e profezia, vorrebbero dare alla missione della Chiesa oggi, in questi tempi di rinnovo dell’evangelizzazione.
Nel suo articolato intervento con cui sono state aperte le prime due mezze giornate di lavori, padre Cadoré ha provato a indicare le tappe principali verso cui orientare il confronto e le riflessioni dei superiori generali. Ha parlato, anzitutto, di una fecondità della profezia “ad intra”, esplorando come, attraverso il ministero di governo, i superiori possono promuovere le condizioni più adeguate di questa interazione tra radicalità e profezia. Esiste, poi, una fecondità della profezia “ad extra” che stimola la vita consacrata a dare, attraverso modi particolari di vivere, di fare e di agire, una testimonianza dei valori del Regno, capaci di svegliare il mondo. Unificando, infine, questi due passaggi, ci si dovrebbe concentrare sul tema dei giovani, incominciando chiedersi seriamente «come avviene l’inserimento delle nuove generazioni nei nostri istituti». Rispondere seriamente a una domanda del genere, significa, ha detto in sintesi il superiore generale dei domenicani, rendersi conto del fatto che «le possibilità e i rischi, i successi e i fallimenti (interni alla vita consacrata) fanno probabilmente da eco a ciò che avviene nel mondo e nella Chiesa».
Sulla fecondità della profezia “ad intra” sono state portate in aula tre testimonianze dirette, la prima del superiore generale dell’ordine carmelitano, Fernando Millán Romeral, la seconda del ministro generale dell’ordine dei frati minori, Michael Perry, la terza di Emili Turù, superiore generale dei fratelli maristi. «Quando sono entrato nella vita religiosa, verso gli anni ’80, ha affermato Millán, la formazione permanente era un elemento fondamentale della nostra vita», un “vero boom”. E adesso? E’ sempre più difficile “liberare” persone che possano dedicare un tempo alla propria formazione, considerata spesso “un lusso”. E se ne vedono facilmente tutte le conseguenze negative, come «la perdita di qualità nella nostra offerta pastorale, la mancanza di riflessione interna sulla vita dell’istituto, la routine, cioè il fare le cose semplicemente perché si sono fatte sempre così, senza la capacità di discernere e di valutare le nostre presenze con criteri seri», rischiando «l’atrofia di certe facoltà intellettuali, spirituali e carismatiche».
E’ un’esperienza sempre più diffusa, ha aggiunto Millán, quella degli ordini religiosi che hanno cercato di creare attorno a sé famiglie “armoniche e sensate”, «condividendo un carisma, una spiritualità ed anche una missione, vissuti in modo diverso secondo la vocazione concreta di ciascuno: religioso, monaca, religiosa di vita attiva, laico». Non sono mancate, per la verità, «occasioni in cui è stato necessario vincere resistenze clericali, incomprensioni e difficoltà». Ad alcuni è stato difficile accettare che «non siamo proprietari del carisma, che questo è un dono che si condivide e non una proprietà privata, che non si tratta tanto di formare “i laici”, ma di formarci e crescere con i laici», ostinandosi a pensare che l’unica cosa che possono fare “le suorine” è «quella seguire le nostre direttive». Non si tratta «di stabilire limiti canonici, ma di mantenere questa specificità e, quindi, la forza profetica delle diverse vocazioni o, volendo usare un linguaggio più classico, i diversi stati di vita». In altre parole, «il laico deve essere laico e non un imitatore di frati, deve vivere la gioia della laicità. Il religioso deve essere religioso e vivere radicalmente la sua vocazione concreta». Un obiettivo del genere oggi deve inevitabilmente destreggiarsi tra due tendenze contrapposte: quella all’eurocentrismo da una parte, e quella dell’inculturazione del carisma dall’altro. Perché negare l’evidenza? «La demografia delle nostre congregazioni sta cambiando e, in non pochi casi, tra qualche anno, l’Europa non sarà la parte più numerosa dei nostri ordini e delle nostre congregazioni». «Quando una famiglia religiosa è incapace di tradurre il suo carisma e il suo vissuto in altre lingue, quando è incapace di “pensarsi” con stampi diversi, quando l’inculturazione si limita ad aspetti esterni (portare una stola multicolore o tradurre qualche canzone), allora qualcosa non va». Rischi e difficoltà non mancheranno di sicuro. Si tratta solo di muoversi «con prudenza, con intelligenza e assennatezza», consapevoli del fatto che questo è un compito “ineludibile”.
Introducendo la sua riflessione molto concreta sulla fecondità della profezia ad intra, Perry ha declinato, in breve, le generalità della sua famiglia religiosa: una tradizione lunga più di 800 anni, circa 13.000 membri, presenti in 116 Paesi. Il suo intervento si è focalizzato sostanzialmente su una delle maggiori sfide che la leadership della Chiesa deve affrontare oggi, anche nell’ambito della vita religiosa, quella del “fallimento istituzionale”. Poco tempo dopo la sua elezione, ha detto, si è venuto a trovare di fronte a “gravi scorrettezze” nella gestione economica dei beni, a livello di curia generale, con non pochi milioni di euro impiegati in una strategia speculativa fuori controllo. La tentazione del “protezionismo istituzionale” con la copertura delle malefatte, sacrificando «la propria dignità, identità e autenticità, come pure la chiamata ad essere una voce profetica di fronte al mondo», era forte. Ma da subito, alla logica del protezionismo è stata contrapposta un’altra logica, quella radicata «nella convinzione che la verità racchiude un potere intrinseco, forse nascosto, e che solo ricercando la verità possiamo rivendicare la natura autenticamente carismatica e profetica della nostra vocazione». Dopo lunga preghiera e dopo ampie riflessioni in consiglio (definitorio) generale, si è giunti alla decisione di rivolgersi alle autorità italiane (al Pubblico Ministero) per far partire un’indagine accurata. Due le preoccupazioni emerse da questa vicenda. Anzitutto, quali effetti potenzialmente negativi avrebbe potuto avere sulla vita dei frati questo scandalo economico? E poi, quale possibile calo, se non addirittura la perdita di rispetto e stima da parte dei fedeli si sarebbero potuti verificare in Italia, in Europa e nel resto del mondo? «Il fatto di aver reso pubblico lo scandalo, ha detto Perry, in realtà, ci ha resi ancora più cari ai nostri benefattori e alle persone in generale». Paradossalmente, quindi, dal punto di vista dell’animazione, una vicenda dolorosa come questa ha offerto l’occasione per una verifica più approfondita dei valori fondamentali del carisma. La semplicità di vita e la vicinanza ai poveri e agli emarginati, sono ritornati ad essere i temi essenziali dell’identità carismatica francescana. La rilevanza delle difficoltà economiche dell’ordine, «ci ha costretti a venire a patti con il fatto che possiamo vivere con meno e possiamo anche vivere meglio e di più quando ci atteniamo alla nostra professione religiosa». Non è un caso, ha concluso Perry, se un po’ ovunque, all’interno e all’esterno dell’ordine, «stanno cominciando a germogliare segni promettenti della logica della semplicità profetica di vita e dell’impegno verso i poveri e gli emarginati».
Tra le iniziative messe in campo recentemente dai fratelli maristi, ha affermato il loro superiore generale, al primo posto c’è il progetto Lavalla200>, dal luogo dove nacque la prima comunità marista (La Valla, Francia) il 2 gennaio del 1817. Con questo nuovo progetto si vorrebbe imprimere una nuova accelerazione ad alcuni punti fermi già messi in cantiere da tempo. E’ il caso, ad esempio, della creazione di un minimo di 2 comunità internazionali (composte da almeno 4 membri, di cui almeno 3 fratelli) in ciascuna delle 6 regioni dell'istituto. La cornice di riferimento nell’elaborazione di queste nuove comunità è concretizzata nello slogan: “Mistici e profeti: un nuovo inizio”. «Più che un piano strategico sviluppato da noi per il futuro, l'iniziativa LaValla200> vuole essere una risposta profetica all'inatteso, un'azione dinamica dello Spirito che è portatrice di speranza, di riconciliazione e di pienezza». I maristi credono fermamente che lo Spirito li stia chiamando ad iniziare «una nuova forma di vita cristiana nella Chiesa, vivendo la comunione senza distinzioni rigide tra laici e religiosi, nel rispetto mutuo verso le diverse vocazioni, in un arricchimento reciproco, tutti corresponsabili della vita in comunità, chiamati ad una missione condivisa espressa dallo stesso carisma in modo rinnovato». Creare una nuova forma di vita cristiana nella Chiesa, non sarà facile sicuramente. Ma proprio in vista di questo obiettivo i maristi sentono particolarmente rivolto a loro l’invito di papa Francesco a fare in modo da «porre tutti i mezzi necessari per avanzare nel cammino di una conversione pastorale e missionaria, che non può lasciare le cose come stanno» (EG 25). «Credo, ha concluso Turù, che abbiamo bisogno di più coraggio e di una maggiore audacia per muoverci tra provvisorietà, sperimentazione e autenticità». Don Ciotti non si stanca di ripetere che si può morire “per eccesso di prudenza” e che perciò “bisogna rischiare”. Senza volerlo, forse, ha aperto la strada anche ai maristi impegnati, con il loro progetto Lavalla200> nella rivitalizzazione della loro presenza nel mondo e nella Chiesa.
(Fonte: Angelo Arrighini - USG)