Giovani, fede e discernimento. Ne stanno discutendo i superiori generali nella loro assemblea semestrale, aperta oggi, 21 novembre, presso la Casa Divin Maestro, ad Ariccia. Già nell’assemblea del maggio di quest’anno, prima di scegliere i loro dieci rappresentanti al Sinodo, avevano iniziato una riflessione a tutto tondo sulle tematiche giovanili in vista del sinodo di ottobre. A distanza di un mese della sua conclusione, alla luce del documento finale, hanno ripreso il confronto in due tavole rotonde della mattinata e del pomeriggio coordinate da uno dei due segretari speciali del sinodo, il gesuita p. Giacomo Costa. Dopo una sua breve introduzione del moderatore, hanno preso la parola al mattino il p.  Mauro Lepori (cistercensi) e il p. Arturo Sosa (gesuiti) e il pomeriggio il p. Pedro Aguado (scolopi) e fr. Barba Ernesto Sanchez (maristi). I superiori generali hanno così potuto ascoltare in diretta, alcune significative testimonianze del vissuto sinodale. Precisando il senso dello “stile sinodale” collaudato nell’ottobre scorso, p. Costa ha parlato dell’importanza di imparare a lavorare insieme nella prospettiva di proiettare nel futuro quanto si è appreso e vissuto durante i lavori sinodali. Per p. Lepori, l’autore primo e principale del sinodo è stato lo Spirito Santo; senza l’ascolto della sua voce è impossibile programmare in maniera convinta il futuro. La testimonianza concreta e sofferta dei giovani, le risonanze delle chiese ancora oggi perseguitate, la stessa canonizzazione di Paolo VI, sono solo alcuni degli elementi che hanno aiutato i sinodali ad approfondire il mistero della Chiesa. Anche attingendo alla tradizione sinodale benedettina, dovrebbe essere più facile coniugare giovani e chiesa in termini molto più costruttivi. Il sinodo, in un certo senso, ha aiutato anche a riscoprire quell’urgenza missionaria che, in fondo, come in quello di Benedetto, è già presente in ogni carisma.

Anche solo dalla lettura del documento finale del sinodo, ha affermato p. Sosa, è facile rendersi conto della straordinarietà di questo evento ecclesiale. E’ stata, si è chiesto, anche una reale esperienza di discernimento? Non sarebbe in grado di rispondere con la stessa sicurezza, ha detto, anche se, in tutto il percorso sinodale, si è percepita con chiarezza “l’azione dello Spirito Santo”. Forse, ha precisato, è mancata, nel corso dei lavori sinodali, una preghiera più condivisa senza la quale diventa più problematica qualsiasi forma di discernimento.

Nel corso del sinodo, ha aggiunto, è stato facile cogliere una serie molto ampia di “segni dei tempi”: dal contesto vitale dei giovani come luogo teologico, al segno dei poveri, alla sfida lanciata alla chiesa dalla società secolare, alla trasformazione antropologica dell’ambiente digitale, all’emigrazione come fenomeno globale e molto complesso, alla tensione fra omogeneità culturale e interculturalità, al riconoscimento dei giovani e delle donne come soggetti delle comunità ecclesiali, alla chiesa intesa come comunità di comunità aperta alle differenze, al riconoscimento e alla condanna degli abusi non solo nell’ambito del sesso ma anche in quello non meno preoccupante di ogni forma di potere.

Non sono mancate nel sinodo concrete sollecitazioni nei confronti della vita consacrata, come l’invito a non considerare i giovani solo come destinatari del nostro apostolato, ma anche come protagonisti, a convertirci giorno dopo giorno e ad essere realmente vicini ai poveri, a snellire tutte le nostre strutture, a sviluppare più convintamente la teologia della vita consacrata, a saper mostrare il volto multiculturale della chiesa, a concepire la vita consacrata come stile di vita cristiana. Quante volte, ha osservato p. Sosa, i religiosi sono maestri nell’arte del discernimento degli altri, ma assolutamente incapaci a fare opera di discernimento su se stessi. Senza una costante conversione spirituale personale è difficile poi essere reamente di aiuto a sé stessi, ma anche agli altri.

Anche per p. Aguado è importante cambiare il modo con cui nella chiesa si opera con i giovani assimilando da loro soprattutto la disponibilità al cambiamento. I giovani si aspettano dai sacerdoti parole capaci di intercettare la loro realtà. Anche se nel sinodo non si è parlato molto delle scuole cattoliche, queste dovrebbero essere una piattaforma di riferimento per cattolici e non, puntando su una educazione integrale, favorendo soprattutto l’accompagnamento e l’ascolto, non dimenticando mai che fra tutte le vocazioni, la più importante è quella della chiamata alla santità.

Fr. Sanchez è stato particolarmente sorpreso dalla costante presenza di papa Francesco ai lavori sinodali, sempre disposto a parlare con tutti, nella massima disponibilità. Ha apprezzato soprattutto il suo invito a fare tre minuti di silenzio dopo ogni cinque interventi in aula, rivelandosi in questo un vero modello da seguire nell’ambito dell’ascolto. I momenti in cui i sinodali hanno particolarmente percepito l’importanza dei giovani sono stati quelli dei lavori di gruppo, dove tutti potevano più facilmente esprimersi.

E’ significativo il fatto, ha aggiunto, che dall’episodio evangelico dei discepoli di Emmaus siano stati ricavati i tre verbi “riconoscere, integrare, scegliere” che, di fatto, hanno poi segnato i tre momenti dello stesso documento finale del sinodo. Riaffermando l’urgenza di una presenza dei giovani a tutti i livelli nella vita della chiesa e rifacendosi a un evento ben conosciuto nella vita degli ordini e istituti religiosi, a suo dire non sarebbe forse fuor di luogo vedere nel sinodo una specie di “capitolo generale della chiesa”.

(Articolo di p. Angelo Arrighini - Vidimus Dominum)