Como, 24 ottobre 1917: il ricordo di monsignor Aurelio
Bacciarini a due anni dalla morte di don Luigi Guanella

Due anni or sono, come oggi, stavamo intorno al letto dove don Luigi (lasciate che lo chiami con questo nome semplice e familiare, al quale le labbra di tutti si sono affettuosamente abituate) agonizzava come un crocifisso in uno schianto di sofferenze indicibili. La sua vita gagliarda si spegneva lentamente, amaramente sotto i colpi del male che su di lui imperversava come un turbine. Iddio, nei suoi disegni adorabili, volle così purificare il suo servo fedele e prepararlo alla grande corona nell’eternità. Don Luigi aveva detto che il suo programma era sempre stato: «Pregare e patire» e gli ultimi suoi giorni, le ultime sue ore furono sublime compendio di questo santo programma, poiché in quei giorni, in quelle ore altro non fece che patire e pregare, come vittima immolata a Dio per il bene di tutti.

Noi si stava accanto a lui piangenti e gementi: si contavano i suoi sospiri, i battiti affannosi del suo cuore, i suoi aneliti estremi. Avremmo voluto prolungare la sua vita, redimerla se possibile a prezzo della nostra. Invece nelle prime ore del pomeriggio la sua vita cessò, e colla sua parve cessare anche la nostra.

Noi abbiamo perduto padre, madre, fratelli, sorelle: i nostri cari sono scomparsi lasciandoci nell’esilio e nel dolore. Però nel nostro cuore non scese mai pena più acerba di quella provata quando vedemmo gli occhi di don Luigi chiudersi e la sua mano irrigidirsi per sempre. Era stato il Padre delle anime nostre e la paternità dello spirito ha radici più profonde che la paternità del sangue. Quando tal Padre si perde sembra davvero di non poter sopravvivere; si vorrebbe con lui morire e si dice piangendo: «O Padre, perché non conduci teco i figli affinché là dove tu sei, siano essi pure in eterno?». Ma noi non si poté morire; ci siamo guardati con strazio non mai provato, con una specie d’improvviso terrore: eravamo orfani.

Da quel giorno sono passati due anni; don Luigi riposa come i servi del Signore, in questa chiesa, in una semplice urna di sasso. Ai piedi di quella tomba vanno i suoi sacerdoti a pregare, vanno le sue suore, e i lontani scrivono: «Ricordateci presso la tomba di don Luigi e pregate». Dalla preghiera è sgorgato e sgorga il nostro conforto: noi non ci sentiamo più orfani. Don Luigi guarda a noi; sembra anzi vivere con noi e ci solleva nelle necessità, ci consola nelle afflizioni, ci sostiene nei nostri passi come nei giorni della sua vita e più ancora. E non siamo soli a confidare in lui: alla sua tomba vengono i suoi amici, viene il popolo buono che lo ha conosciuto e amato, e tutti partono da lui con un raggio di sicuro conforto.

Come è ammirabile la bontà di Dio, la quale davvero non ci priva mai di una consolazione senza prepararcene un’altra più grande e più sicura! È un conforto che cambia in letizia l’amarezza di questo giorno e dà a questo anniversario l’impronta gioconda di una festa che fa rivivere don Luigi in mezzo a noi e con noi.

Ma non è solo la preghiera che lo fa rivivere. Egli rivive nelle sue opere di carità, negli esempi che ha lasciato e che ognuno di noi non dovrebbe dimenticare mai. È per questo che dopo le parole del ricordo e del conforto, soggiungo la parola dell’esortazione, che anzitutto rivolgo a me stesso, poiché io per primo dovrei specchiarmi in così nobile e generoso modello. Anzi, per me userò una parola più forte ancora, quella del rimprovero, poiché a mia confusione permise Iddio che gli fossi successore.

Successore è colui che ne raccoglie e ne pratica le virtù: come mai io porto tal nome, mentre dalle sue virtù sono così lontano? Successore è colui che ne custodisce l’eredità di opere buone e sante: come mai io porto tal nome, mentre coi miei peccati altro non faccio che guastare eredità sì preziosa e grande? Ah, che Iddio mi spogli di questa qualifica e mi conceda di chiudere i miei giorni in penitenza nei ricoveri aperti ai miseri dalla carità di don Luigi!

A me dunque il rimprovero e la salutare umiliazione del pentimento. A voi, miei cari confratelli e Figlie di santa Maria della Provvidenza, l’esortazione a continuare l’opera santa di don Luigi ricopiando in voi ogni giorno di più la sua umiltà, la sua semplicità, il suo sacrificio, il suo amore a Dio e alle anime! Iddio vi conceda lo spirito di don Luigi, cosicché come lui possiate dire morendo: «Il nostro proposito fu questo: pregare e patire per la salvezza di tutti».

Pregare e patire! Grande parola e grande esortazione che io affido a voi pure, venerandi sacerdoti che oggi siete accorsi a fare corona alla tomba benedetta di don Luigi. Grande parola e grande esortazione che io rivolgo anche al popolo buono che qui si accalca.

Pregare e patire! Cosa c’è di più bello e di più cristiano e santo?

Pregare e patire! Cosa c’è di più opportuno, di più necessario nelle gravi circostanze presenti?

La guerra fa piangere il mondo e rovescia sui popoli sofferenze tali che mai la storia dell’umanità ha registrato. Ebbene: pregate e patite come don Luigi, perché la vostra preghiera e il vostro dolore rassegnato e paziente disarmino il braccio di Dio e richiamino sulla terra il suo perdono e la sua pace.

È questa la speranza che si sprigiona come raggio di luce da questa pietosa commemorazione: la preghiera e la penitenza ridoneranno al mondo la prosperità e la pace. Questa speranza la affidiamo a don Luigi perché la presenti a Dio misericordioso, lui che offrì i suoi dolori, le sue agonie, la sua vita e la sua morte perché fosse allontanato dai popoli il flagello orrendo che li affligge.

E al di sopra di questa speranza un’altra brilla più fulgida ancora e più bella: la speranza del paradiso. Gli anni della nostra povera vita passano come ombre fugaci: la morte viene, l’eternità si avanza: don Luigi è là e ci aspetta.