ALESSANDRINO MAZZUCCHI nasce a Pianello il 26 aprile 1878 quando in paese era ancora parroco don Carlo Coppini, tre anni prima che vi arrivasse a prelevare l’opera e a continuarla, don Luigi Guanella. Era il secondo figlio di Natale e Domenica Mazzucchi; la prima figlia era una bimbetta di due anni, anche lei Alessandrina in omaggio al nonno paterno che abitava in casa col figlio e la nuora. Ma Alessandrina morrà poco dopo, a quattro anni, lasciando gran rimpianto come di bambina buona e intelligente.
Al piccolo Alessandro seguirà due anni dopo, il fratellino Salvatore che andrà con lui a Como a studiare, ma non perché avesse voglia di essere prete; divenne invece dottore e notaio stimatissimo a Como, Dongo e nel collegio notarile di Appiano Gentile. Nel 1883 arrivò il quarto figlio, Leonardo: a cinque anni gli partirono i fratelli maggiori, a sette morì il padre e Alessandrino restò con la madre buona e forte “martirella di amore di dolore”, come la chiamò don Guanella.
La famiglia del padre Natale era già stata segnata anche da altre difficoltà: benestanti, i Mazzucchi avevano passato momenti difficili per un’azione fiduciaria fallita ai loro danni.
Un parente approfittò della fiducia, speculando su tutto il denaro che gli veniva affidato in amministrazione; andò in fallimento e partì per l’America senza più dare notizie.
I Mazzucchi salvarono la terra rimasta in loro amministrazione, ma il giovane Natale dovette sospendere i suoi studi secondari iniziati a Milano per ricevere da uno zio e gestire in paese un negozio-osteria. Divenne anche nervoso e un poco irascibile, preoccupato e indebolito nella salute, così che al primo malanno un po’ consistente la sua fibra cedette quasi di colpo. Comunque per la famiglia di Alessandrino queste storie precedenti non vollero significare povertà, ma momenti di difficoltà e di tensione, che la bontà della moglie e dei figli non sempre riusciva a contenere.
In questo ambiente, così comune e un po’ triste, sbocciò la bontà lieta e serena di Alessandrino, di cui ci sono rimaste testimonianze diverse, ma concordanti, della mamma, del fratello minore, Leonardo, come del parroco don Guanella, dei maestri di Pianello e di Como, dei suoi educatori di Como, come pure di antichi compagni di scuola che, interrogati molti anni dopo, ancora ricordavano con freschezza il volto e l’esempio del condiscepolo alla scuola di S. Filippo.
L’ambiente di casa, negozio e osteria del paese, preoccupava la mamma che badava a tenerlo lontano dal locale e lo consigliava a starsene in casa tranquillo e raccolto; e il bambino si abituò a controllarsi e ad evitare pericoli.
Allora una certa severità di educazione religiosa, mentre tendeva a ritardare la Comunione, portava invece ad anticipare la Confessione. Alessandrino a cinque anni cominciò ad andare a scuola e la maestra lo preparò subito alla prima confessione che poi diventava mensile, la sensibilità religiosa e morale del bambino ebbe motivo per crescere intensamente.
A cinque anni era maturo per andare a scuola dalla brava maestra del paese Giuseppina Lombardini di Morbegno; a otto anni superò gli esami di compimento, ossia di terza elementare, con ammirazione del direttore didattico di Como, il signor Cattaneo. La mamma gli raccomandava di studiare ed egli, guardandola coi suoi occhi sereni e spalancati, rideva, rideva; perchè una lettura gli era bastata per apprendere benissimo la sua lezione. Imparò a scrivere, per gioco, correttamente tanto con la mano destra che con la sinistra; e ci rideva sopra. I compagni lo chiamavano “grembialone” perché portava sempre un largo grembiule; ma sapeva accettare gli scherzi senza adontarsi, così che presto la lasciavano in pace …
Amava disegnare; disegni semplici, puliti; case, giardini, monti, persone e spesso chiese e cappelle con chierichetti. E continuava con il suo contegno esemplare e sereno, stimolante anche per i piccoli, irrequieti compagni.
Un giorno don Guanella, dopo una fervorosa predica sul sacerdozio, si incontrò con Alessandrino e i suoi compagni e fermandosi un momento, si tolse il cappello, lo pose sul capo di Alessandrino dicendo: “Ti piacerebbe così? Ti piacerebbe farti prete?”. Appena arrivò a casa, ancora emozionato, raccontò alla madre: “Il parroco ha voluto provarmi in capo il suo cappello, dicendo se volevo farmi prete! Oh, se potessi!”. E quella volta pianse.
Si decise dunque di mandarlo presso la Piccola Casa della Provvidenza di don Guanella, dove avrebbe potuto studiare. Il 26 agosto 1888 Alessandrino Mazzucchi, con la mamma e il fratello minore Salvatore, giunse da Pianello a Como, nella Piccola Casa della Provvidenza. Era il primo ragazzo che, come seminarista, inaugurava il piccolo seminario che don Guanella aveva già sperato di istituire prima a Chiavenna o a Campodolcino, quindici anni prima, e che poi aveva in qualche maniera avviato a Traona nel 1880-81, subito fatto chiudere dal prefetto di Sondrio.
Da questo giorno e per quasi due anni, le storie di Alessandrino e della Piccola Casa si uniscono, perché questa diventa ormai la casa e la famiglia definitiva del ragazzo. Egli vi rimase facendosi stimare e benvolere per l’allegria, l’amabilità, l’amore per l’Eucarestia e per la delicata carità verso i sofferenti ospitati nella Casa. E proprio un atto di generosità verso un compagno malato, fu all’origine della sua morte improvvisa e prematura avvenuta il 21 giugno 1890 nella festa di San Luigi Gonzaga.
L'eredità spirituale di Alessandrino Mazzucchi
- Un ragazzo innamorato della vita, del bello, delle cose semplici; apprezzato e ricercato come compagno nei giochi e negli impegni sia in casa che nella parrocchia.
- Un ragazzo maturo che ha saputo dare lo spazio giusto a Dio nella sua vita: fedele alla preghiera e alla Messa quotidiana. Era maestro ai suoi fratelli ed amici nella preghiera del rosario e nella partecipazione al mattino presto, tutti i giorni dell’anno, alla Santa Messa dalla quale attingeva la gioia e la forza per essere felice e disponibile verso tutti.
- Un ragazzo entusiasta e pronto a servire gli altri fino all’eroismo. La sua morte nel giorno di San Luigi poteva forse essere evitata se fosse rimasto con la mamma venuta apposta per stare con lui e non avesse prevalso il “senso del dovere” nel servizio di carità verso i ricoverati della Piccola Casa della Divina Provvidenza di Como. Un ragazzo che ha saputo fare una simile scelta, posticipando anche i vincoli di affetto della madre per stare con un ammalato non può che essere in sintonia profonda con il Buon samaritano per eccellenza, Cristo Signore. Il Beato Cardinal Ferrari amava raccomandare Alessandrino come modello ai ragazzi della casa di Como: “Voi della Casa della Divina Provvidenza abbiatelo caro come un tesoro”.
Il cammino di santità di Alessandrino Mazzucchi
La sua vita, si potrebbe definire, è la storia, quasi il ritratto con aureola di un ragazzetto che seppe unire, quasi tutti i tratti di bontà precoce senza sbavature, in un quadro di qualità naturali e di grazia che stupirono tutti quelli che gli furono vicini e ne sentirono parlare dai testimoni diretti. Una luce senza ombre, si direbbe, se non si avesse il timore di esagerare o di stravedere. Ma anche nulla di eccezionale o di strano, se non quell’accumularsi insieme in una personcina snella e regolare di tante qualità, più spesso negli altri suddivise fra più persone.
"Era di fisionomia aperta, di costituzione piuttosto gracilina; il bel viso candido e oblungo; gli occhi grandi, ridenti e sereni, che ti guardavano con attenta ingenuità; vi traspariva la sua innocenza e intelligenza non comune, l’affettuosità tenera e calda…
Non era uno di quegli insipidi bambini, che stan lì, rinsaccati e àpati, e son detti buoni, perché non hanno né vita, né spirito e non si muovon mai; egli era, anzi, di spirito vivace; d’intelligenza perspicace e pronta già in evidenza dai primi anni di infanzia”.
Precoce era pure la sua virtù: una virtù sbocciata e portata sempre più innanzi dalla grazia, ma anche riflessa e matura in un comportamento ordinato nella sua spontanea schiettezza e semplicità, da colpire chiunque l’osservasse.
E nel paese, si diceva, indicandolo nel passare: “L’è ‘l Sandrin di Mazucch!”. Colpiva la sua gioia e il suo ridere aperto e pulito.
Aveva un senso profondo di Dio, lo sentiva vicino, come un amico a cui poteva rivolgersi e parlargli, pregarlo a lungo; diventò maestro di preghiera per i suoi fratellini e pa’ Natale a volte ironizzava su questo “pretino” di sei o sette anni.
Si sentiva in compagnia degli angeli e dei santi e gli sembrava che questi pregassero con lui. Il bambino viveva già in Paradiso….allora insegnava anche ai fratelli minori a pregare. Leonardo ricordava come un giorno gli avesse insegnato la Salve Regina in latino: lui quattro - cinque anni e Alessandrino nove o dieci, maestro di latino. Arrivati quasi alla fine, alle parole “post hoc exilium”: “io mi fermai: post hoc … post hoc …: non volevo credere che nella Salve Regina ci fossero quelle parole così strane. Ed egli infaticabile: post hoc! post hoc!, e insisteva a dirmi di andare avanti e di ripetere, che era giusto così. Non fui persuaso, se non dopo aver aperto la finestra e averne interrogata la mamma, che stava abbasso in cucina. Alla risposta che era giusto, mi persuasi”.
Naturalmente un ragazzo così era finito nel gruppo dei chierichetti della parrocchia di don Guanella ed era fedele al suo compito e ai suoi turni anche nei giorni feriali. In quell’epoca senza televisione serale, senza luce elettrica e con tempi di lavoro di dieci ore giornaliere, i ritmi della vita erano diversi; molti che volevano andar a Messa anche nei giorni feriali, prima del lavoro, dovevano alzarsi assai presto e la Messa seguiva il segnale dell’Ave Maria del mattino (d’estate era alle ore quattro) e Alessandrino scongiurava i genitori e la mamma soprattutto perché lo svegliassero e lo lasciassero andare alla Messa; recitava il suo latino quasi perfetto, anche nei salmi e alle letture, quando c’era l’ufficiatura dei defunti o i vespri domenicali.
Don Guanella lo osservava al catechismo, attento e sempre pronto a spiegare, a ripetere, a domandare; lo vedeva all’oratorio, allegro, vivace, simpatico: correva, rideva, saltellava, giocava alla palla con mirabile destrezza, in quell’ampio prato vicino alla chiesa parrocchiale. Andavano al lago, salivano sui monti, giocando, cantando; la gente commentava: “quel figliolo di Natale ha un’aria particolare così simpatica e cara: è proprio un figliolo che ha dello straordinario!” . E anche don Guanella doveva convenirne: no, non era strano e anormale quel figliolo, era proprio straordinario.
Nella Piccola Casa della Provvidenza c’era l’usanza di fare un giorno ogni mese, l’esercizio della buona morte; ciascuno allora che si era in pochi, si sceglieva il giorno che voleva e Alessandrino si era scelto il 21 di ogni mese in onore del suo caro San Luigi. Era solito ripetere: “Oh, come mi piacerebbe morire come morì San Luigi: nel giorno di San Luigi!”.
In quel giorno - 21 giugno 1890 - festa di S. Luigi Gonzaga, si festeggiava l’onomastico di don Guanella. C’era anche la mamma che era venuta a trovarlo, ma egli volle mangiare lo stesso tra i ricoverati.
“Venne l’ora del pranzo. Un pranzetto a parte era stato preparato per la signora Domenica e i suoi figli; ma Alessandrino tanto pregò la mamma, che ottenne di continuare la compagnia al buon Lino (Crosta) anche in quel dì. Rincresceva al suo cuore d’oro di lasciar solo e mesto il poveretto, proprio in quel giorno in cui tutti erano allegri e contenti. Con la promessa, dunque, di ritornare presto alla mamma sua, volò il giovinetto presso il suo caro Lino e con lui incominciò a mangiare, benché provasse più difficoltà e ripugnanza del solito a mandar giù il cibo, pur tuttavia, sforzandosi e vincendosi, riuscì a inghiottire la sua parte. Ma alla fine, non potendone più dallo sconvolgimento fisico disse al compagno: ‘Sei contento, vado a giocare un po’ sull’altalena, per vedere di meglio digerire e poi torno alla mia mamma, che mi aspetta?’. Al che subito il compagno acconsentì”.
Gli amici lo invitarono a giocare insieme e poi a salire sull’altalena. “Egli si fece il segno della santa croce e vi montò, aggrappandosi bene alle corde; certo Bianchi di Spurano gli diede la spinta e lo sollevò in alto. Gravato nello stomaco e nella testa dal cibo appena ingerito e dal nauseabondo odore presso il Crosta, un capogiro improvviso lo assalì e fu visto abbandonar le corde, rovesciarsi indietro e precipitar dall’alto sul terreno, battendo forte sul medesimo il cervelletto. Fu uno spavento! Tosto raccolto, privo di sensi e insanguinato, fu, da un certo Domenico tipografo, portato in braccio in una saletta e deposto sopra un piccolo divano. Messogli sotto il guanciale, vi restò grossa macchia di sangue. Don Luigi, avvisato accorse presso il suo caro e prediletto figliuolo, diede l’assoluzione sacramentale condizionata al giovinetto e andò in cerca della madre, per prepararla, con ogni delicatezza e prudenza alla tristissima notizia. ‘Mi rincresce disturbarvi, Domenica: il nostro Alessandrino si sente poco bene!’. Rimase attonita la donna; poi, di colpo, esclamò: E’ morto, è morto!”. Alessandrino morì infatti la sera stessa, a poco più di 12 anni.
“Don Guanella, che sofferse tanto nel vedersi tolto quel figlioletto caro, speranza per lui ben promettente, lo ricordava spesso e ne parlava con più vivo rimpianto, esclamando: ‘Ah, era proprio un fiorellino eletto ed il Signore se l’è voluto portare in Paradiso! Fiat voluntas Dei!’. E lo proponeva a modello a tutti, narrandone i tratti di virtù e di pietà singolari. Le Suore poi, ne tennero sempre viva in cuore la memoria e l’ammirazione”.
E fu ancora don Guanella che sulla lapide del cimitero di Pianello (in seguito sostituita da un'altra per tutti i morti della famiglia), sotto l’epigrafe del padre Natale Mazzucchi, fece incidere la seguente: “Il figlio Alessandrino – nel sorriso dell’innocenza – ricco di particolaridoni – di natura e di grazia – in età di anni 12 volò al Cielo – il 21 giugno 1890 – in grembo al genitore diletto.” Commenta il biografo:“in questa chiara, sobria ed eloquente epigrafe un santo sintetizza egregiamente la vita e le virtù di un altro piccolo santo”.