La Scrittura ispirata rivela anzitutto l'assetto del modello patriarcale ebraico, contesto vivo in cui le tradizioni bibliche hanno attinto la loro origine e si sono sviluppate. Sul piano sociale scopriamo nelle tradizioni comuni ai popoli antichi che il padre è il capo incontestato del clan familiare, riconosciuto come «padrone» e signore della sua casa (Gen 18,12), a cui devono fare riferimento la moglie, i figli e l'intera famiglia, cellula determinante del popolo. «Padri» sono i patriarchi, di cui Abramo è capostipite «secondo la carne» (Rm 4,1). Tuttavia la paternità umana non è che la condizione storica per esprimere una «paternità spirituale e universale» (P. Ternani) di Jahwe, il quale «ha scelto» di fare alleanza con un popolo: Israele. 

 

 

Sì, si è fatta troppa poesia sul Natale. Si è trasformata l'Incarnazione in un'orgia di consumo. Ma la saturazione del profano, la condanna del pretestuoso, dell'inutile sta diventando una conquista. Anche questo forse è un segno di nuovi tempi. Non è il caso di essere pessimisti. C'è tutta una gioventù cristiana che non ama più commuoversi a Natale. E il povero non si lascia più sedurre dal pacco di Natale. Provate voi a preparare il famoso pranzo per i poveri: certo, il barbone è sempre pronto ad approfittarne; ma perfino il barbone sa che deve mangiare tutto l'anno e non solo a Natale. Anche l'uomo della strada ormai conosce le cifre della vergogna. Lo sanno tutti che ogni anno nel mondo muoiono per fame milioni di uomini.... 

Allora? Quanti Natali nella tua vita! 

Forse cinquanta, forse settanta, ottanta! Duemila Natali! Ma ai Suoi occhi mille anni sono come un giorno che è già passato.

L'importante è che ogni anno succeda qualcosa e tu possa dire: ecco, questo è un Natale nuovo.

 

(di David Maria Turoldo)

Non vi è dubbio che il termine «padre» rivesta un'importanza centrale nella persona e nella missione di Gesù di Nazareth (cf lo studio esegetico su «Abba» di J. Jeremias). 

 

Tu
che
ne dici
SIGNORE se
in questo Natale
faccio un bel albero
dentro il mio cuore, e ci
attacco, invece dei regali,
i nomi di tutti i miei amici: gli
amici lontani e gli amici vicini, quelli
vecchi e i nuovi, quelli che vedo ogni gior-
no e quelli che vedo di rado, quelli che ricordo
sempre e quelli a volte dimenticati, quelli costanti
e quelli alterni, quelli che, senza volerlo, ho fatto soffrire
e quelli che, senza volerlo, mi hanno fatto soffrire, quelli che
conosco profondamente e quelli che conosco appena, quelli che mi
devono poco e quelli ai quali devo molto, i miei amici semplici ed i miei
amici importanti, i nomi di tutti quanti sono passati nella mia vita.
Un albero con radici
molto profonde, perché
i loro nomi non escano
mai dal mio cuore; un
albero dai rami molto
grandi, perché i nuovi
nomi venuti da tutto il
mondo si uniscano ai già
esistenti, un albero con
un’ombra molto gradevole
affinché la nostra amicizia,
sia un momento di riposo
durante le lotte della vita

TU CHE NE DICI, SIGNORE?

(da Anonimo)

Abramo: la paternità alla prova (Gen 22,1-19)

Chiamato da Dio a lasciare la sua terra, Abramo si mette in cammino con la sua famiglia verso il «paese» di Canaan

 

Dio, Padre di Gesù Cristo

 

Dicevamo che Gesù porta a compimento la rivelazione della paternità di Dio: dopo la sua  venuta Dio è riconosciuto non più solo come Padre di Israele ma come "il Padre del Signore nostro Gesù Cristo" (Ef1, 3).  

Non è più solo una paternità generica verso tutte le creature  (come Creatore) o verso il popolo eletto, ma esprime l'essenza stessa di Dio che dall'eternità genera un Figlio uguale a lui e a lui perfettamente unito mediante lo Spirito-Amore, e che attraverso il suo Figlio vuole far diventare anche tutti noi suoi figli e figlie, e quindi fratelli e sorelle tra noi. 

Con il suo stile di vita e con l'insegnamento Gesù rivela la sua identità di Figlio: "Il Padre conosce me e io conosco il Padre" (Gv 10, 15). Fuori di lui non si può scoprire la vera identità di Dio e riconoscerlo e incontrarlo come Padre: "Nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare" (Mt 11,27) - "Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me" (Gv 14, 6). Tanto che alla fine della vita Gesù potrà dire, rivolgendosi direttamente a Dio suo Padre, di aver compiuto fino in fondo la missione di rivelarne l'identità (il nome): "Padre ( ... ) ho fatto conoscere il tuo nome agli uomini ( ... ) Il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto ( ... ) E io ho fatto conoscere loro il tuo nome" (Gv 17, 1.6.25-26).  

Tutta la persona di Gesù - parole e gesti - svela compiutamente chi è il Padre. In polemica con i farisei, ad esempio dice: "Se conosceste me, conoscereste anche il Padre mio" (Gv 8, 19). A Filippo che, prima della passione e morte di Gesù, esprime l'eterno desiderio dell'umanità di conoscere Dio ("Signore, mostraci il Padre e ci basta"), risponde:  "Chi ha visto me ha visto il Padre ( ... ). lo sono nel Padre e il Padre è in me" (Gv 14, 8 ss.). 

Il rapporto di Gesù con il Padre è davvero speciale e unico, diverso da quello che possono avere i suoi discepoli, ai quali pure insegna di riconoscerlo come loro Padre. Mai Gesù parla di Dio o si rivolge a lui chiamandolo "Padre nostro" (eccetto quando insegna ai discepoli a invocarlo così), ma sempre "Padre" o "Padre mio" oppure "il Padre vostro celeste". Una volta sottolinea esplicitamente questa distinzione, parlando alla Maddalena dopo la resurrezione: "Va' dai miei fratelli e di' loro: lo salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro" (Gv 20, 17). 

Gesù ha chiara consapevolezza di questa relazione esclusiva con il Padre: "Chi non onora il Figlio, non onora il Padre che lo ha mandato" (Gv 5,23) - "So da dove vengo e dove vado"(Gv 8, 14) - "Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo, e vado al Padre" (Gv 16, 28) - "Sono uscito da te e hanno creduto che tu mi hai mandato" (Gv 17, 8). Addirittura Gesù arriva a indicare una loro reciproca  "inabitazione" e quasi identificazione: "Come tu, Padre, sei in me e io in te" (Gv 17, 21) - "lo sono nel Padre e il Padre è in me"(Gv 14, Il) - "lo e il Padre siamo una cosa sola" (Gv 10,20). 

In forza di questo rapporto unico, Gesù fa quello che il Padre vuole. Ancora dodicenne dimostra già di possedere questa coscienza filiale: a Maria e Giuseppe che lo cercavano credendolo perduto nella confusione di una festa a Gerusalemme, dice: "Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?" (Le 2, 49). E ai farisei: "Non cerco la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato" (Gv 5,30). E sa di essere sempre esaudito in ciò che chiede: "Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato. lo sapevo che sempre mi dai ascolto" (Gv Il,41-42) - "Tutto mi è stato dato dal Padre mio" (M! Il,27) - "Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa" (Gv 3,35). 

Oltre all'insegnamento, sono le opere prodigiose che Gesù compie a "certificare" la sua provenienza dal Padre. Ai discepoli del Battista che a suo nome gli chiedono: "Sei tu colui che deve venire?" (cioè il Messia che Dio ha promesso di inviare all'umanità), Gesù risponde operando della guarigioni e conclude: "Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto" (Lc 7, 9 ss.). E in un'altra occasione rivendica esplicitamente: "Le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato" (Gv 5,36). 

 

"Continuiamo la nostra riflessione, dopo il Tempo di Natale, sul tema della paternità di Dio, tema tanto caro a don Luigi Guanella e che, in questa rubrica, vogliamo sviluppare in questo anno centenario della sua morte." 

 

 

 

Un padre misericordioso «senza misura» (Lc 15,11-32) 

La nota parabola del «padre misericordioso» è contestualizzata nell'insegnamento di Gesù sulla misericordia di Dio verso i peccatori (Lc 15,1-3). 

Espressione culmine del rapporto specialissimo che lega Gesù al Padre