" ...Con gratitudine conserva memoria di coloro che il Padre ha già chiamato nella sua Casa: alla divina misericordia affida la loro vita ed eleva suffragi..." (Cost. n.23)
Nato a Varenna (CO) il 21 luglio 1926
Noviziato a Barza d’Ispra dal 12 settembre 1946
Prima Professione a Barza d’Ispra il 12 settembre 1949
Professione Perpetua a Chiavenna il 12 marzo 1955
Sacerdote a Milano il 26 maggio 1956
Morto a Castel S. Pietro (Ticino) il 28 febbraio 2019
Sepolto nel cimitero di Riva S. Vitale
Don Carlo Maglia è uno degli ultimi rappresentanti di quella generazione che ha conosciuto la guerra, che è cresciuto in un mondo contadino dove il lavoro e il sacrificio fanno naturalmente parte della vita e perciò diventano stile con cui viverla, e che ha portato questa esperienza anche nel modo di vivere la Vita Religiosa, fondandola su espressioni importanti ed essenziali, quali la preghiera e il lavoro. Don Carlo nacque a Varenna il 21 luglio 1926, da Ambrogio e Maglia Anna: ultimo figlio dopo tre sorelle. Fu battezzato 4 giorni dopo, a Varenna, nella chiesa di S. Maria Nascente; mentre ricevette la Cresima, sempre a Varenna, dal beato card. Schuster, il 26 maggio 1936. All’età di vent’anni, il 12 settembre 1946, dopo 6 mesi di postulandato, entrò nel noviziato guanelliano di Barza d’Ispra (VA); sempre a Barza emise la prima professione religiosa il 12 marzo 1949. Svolse il tirocinio di educatore dei ragazzi per due anni (1950-52), negli istituti guanelliani di Lecco e poi di Gatteo. Seguirono 4 anni di studi teologici: il 1o ad Anzano del Parco (CO), il 2o e 3o nella Casa don Guanella di Chiavenna, dove emise la professione perpetua il 12 marzo del 1955; il 4o anno di teologia lo trascorse presso l’Istituto S. Gaetano di Milano. A Milano ricevette il Diaconato (17 dicembre 1955) e quindi, con altri 5 confratelli guanelliani, fu ordinato sacerdote il 26 maggio 1956, per le mani di mons. G. B. Montini, che diverrà poi papa Paolo VI. Trascorse i primi due anni di sacerdote guanelliano (1956-58), come educatore, nella casa di Fasano in Puglia; quindi altri due di nuovo presso l’Istituto S. Gaetano di Milano (1958-60). Nel settembre 1960 don Carlo fu inviato dai superiori presso l’Istituto S. Pietro Canisio di Riva S. Vitale (Canton Ticino, Svizzera), qui di fatto trascorrerà i restanti 59 anni della sua lunga vita, dedicato alla cura del prossimo, da discepolo di don Guanella. Si inserì nel contesto ticinese con naturalezza ed entusiasmo, gli venne concessa la cittadinanza e, benché acquisito, si sentiva svizzero a tutti gli effetti. Diventando anziano, espresse chiaramente il desiderio di essere sepolto nel cimitero di Riva S. Vitale. Si prese cura del prossimo con uno stile sobrio, essenziale, solido, e perciò senza smancerie, senza protagonismi, ma con un cuore grande. Molto simile al Fondatore in questa rudezza di modi e grandezza di cuore. Un uomo di poche parole, di niente chiacchiere inutili e di molta sostanza, seppe mostrare saggezza, lucido realismo, prudenza, nelle valutazioni e nei consigli che esprimeva. Nei primi 13 anni a Riva (1960-1973) fu educatore e prefetto dei giovani disabili della Casa. In quegli anni, che videro come direttore don Ugo Sansi, l’Istituto S. Pietro Canisio subì una completa ristrutturazione con l’aggiunta di nuovi padiglioni residenziali e scolastici. Dopo che, nel 1973, don Ugo fu inviato a Nazareth, i superiori nominarono don Carlo direttore del Canisio, che tenne l’incarico per 9 anni (1973-1982). Nel 1982-83 fu per un anno a Pollegio con l’incarico di chiudere completamente la presenza guanelliana presso l’Istituto S. Maria, durata 54 anni.
Don Carlo trascorse poi 5 anni (1983-1988) come cappellano della Casa di riposo S. Luigi Guanella di Maggia, avendo come riferimento la comunità del collegio S. Anna di Roveredo (Canton Grigioni). Nel settembre 1988, su invito dei superiori, tornò volentieri a Riva S. Vitale con l’incarico di economo dell’Istituto Canisio. Svolse questo compito sempre con dedizione, affiancandolo col ministero di aiuto pastorale nelle parrocchie di Riva S. Vitale, Capolago e Brusino Arsizio e presso alcune comunità di suore, a Chiasso e a Castel S. Pietro, alle quali garantiva la celebrazione della S. Messa feriale. Nell’ultima fase della sua vita, ha vissuto l’esperienza della dipendenza: è dipeso da una macchina per la dialisi, man mano la sua autonomia è venuta meno, ha dovuto dipendere dagli altri per esser accudito e assistito. Nonostante questo, don Carlo ha vissuto con nobiltà d’animo e molta dignità questa situazione, senza lamentarsi, senza recriminare, sapendo esprimere gratitudine a chi gli era attorno e accanto. In questa situazione di progressiva dipendenza, con il realismo che lo ha sempre distinto, ha capito il tempo e il momento in cui “tirarsi da parte”, in cui dire “non sono più in grado”. Seppe sempre da solo operare scelte senza mettere in difficoltà nessuno: rinunciò volontariamente alla patente di guida quando si accorse che i suoi riflessi si erano rallentati, ridusse gradualmente gli impegni pastorali, all’interno dell’Istituto assunse ruoli di supporto, sempre con la disponibilità, l’impegno e la precisione che lo caratterizzavano e lo ha fatto serenamente, senza tristezza o malumore o senso di inutilità. Quando lo stato di salute non gli permise più di poter vivere in Istituto, si trasferì volentieri alla Casa di Riposo Don Guanella di Castel S. Pietro, dove ospiti e suore poterono così riavere la celebrazione della S. Messa quotidiana. Come ci disse in occasione dell’ultima Messa che celebrò in Istituto, era quello ormai l’unico lavoro che poteva fare e il modo migliore che aveva per starci vicino. Nell’ultimo anno non riuscendo più a celebrare la Messa, si dedicò per tutto il tempo che poteva alla preghiera per le persone che conosceva e a cui voleva bene. Grato al Signore per la vita che ogni giorno ancora gli donava, ma cosciente dell’età e del suo stato di salute, si affidava sereno alla volontà del Signore e aspettava il passaggio, che è avvenuto nel sonno, nelle prime ore del 28 febbraio 2019.
(a cura di don COSTANTINO SALVATORE e don CESARE PEREGO)
La notte tra venerdì e sabato 18 marzo è venuto a mancare il nostro confratello don Alberto Pravettoni, cappellano delle nostre suore a Berbenno (SO) e appartenente alla nostra comunità Casa Madonna del Lavoro in Nuova Olonio (SO).
" ...Con gratitudine conserva memoria di coloro che il Padre ha già chiamato nella sua Casa: alla divina misericordia affida la loro vita ed eleva suffragi..." (Cost. n.23)
Nato a Lurate Caccicio (CO) il 2 febbraio 1947
Noviziato a Barza d’Ispra il 24 settembre 1963
Prima Professione a Barza d’Ispra il 24 settembre 1965
Professione Perpetua a Como il 24 settembre 1972
Sacerdote a Como il 14 aprile 1973
Morto a Genova il 16 ottobre 2020
Sepolto nel cimitero di Genova
Don Attilio Molteni nasce il 2 febbraio 1947 a Lurate Caccivio, provincia di Como e diocesi di Milano. I genitori, Ugo e Augusta Cattaneo, lo accolgono come l’ultimo di 3 figli e pochi giorni dopo la sua nascita, precisamente il 9 febbraio, lo portano al fonte battesimale della chiesa parrocchiale della SS. Annunciata di Caccivio, dove viene generato alla grazia e diventa figlio di Dio con il sacramento del Battesimo. Sempre lì, l’8 agosto 1953, riceverà il sacramento della Cresima per mano del Cardinal Schuster, Arcivescovo di Milano. Un suo breve scritto, redatto nella fase adulta della vita, quando con sguardo retrospettivo egli osserva lo svolgersi della propria esistenza, ci offre uno spaccato abbastanza profondo per comprendere il nascere e lo svolgersi della sua vocazione. Don Attilio scrive così: «Parlare della mia vocazione è raccontare una storia d’amore ed è soprattutto ringraziare. Ringraziare Dio per la fede. Via via che in me la fede è diventata più profonda, scelta e libera, consapevole e decisa ho compreso sempre più a fondo l’amore di Dio. È cresciuta in me spontaneamente la necessità di corrispondere a questo amore. Un amore che ti cambia, ti scuote e rinnova dentro, donando all’uomo l’autentica consapevolezza di quello che è chiamato ad essere. È aumentata l’esigenza di stare con Dio nella preghiera. Ho sperimentato che quanto più si sta con lui, tanto più lo si conosce e non si può fare a meno di testimoniarlo nella vita. Dio è diventato il fondamento della mia vita. Ringraziare dicevo... La mia famiglia, i miei genitori e i miei fratelli che nella quotidianità sono stati i primi testimoni del Signore. Quanto è importante la famiglia! Me ne rendo conto nel lavoro: quasi tutti ragazzi in difficoltà hanno la radice del loro disagio nella famiglia in crisi... Grazie Signore per la famiglia che mi hai donato, grazie per tutti coloro che ho incontrato per chi mi è di esempio, di sprone e di guida. Ci sono i sacerdoti, i religiosi e le religiose, gli amici tutti». Il clima di umanità ricca e di fede respirato in famiglia costituisce quindi il terreno fertile per la maturazione, in lui, della vocazione alla vita sacerdotale e religiosa e così, nel 1958, entra nel seminario minore di Anzano del Parco, in provincia di Como, come aspirante. Il suo cammino appare lineare: intraprende il noviziato, a Barza d’Ispra, in provincia di Varese, il 24 settembre 1963 ed emette la prima professione esattamente 2 anni dopo, il 24 settembre 1965. Concluso il liceo, sempre a Barza, ed intrapresi gli studi teologici presso il seminario diocesano di Como, si consacra definitivamente al Signore nella congregazione guanelliana il 24 settembre 1972 con la professione perpetua. Questi anni di formazione il giovane Attilio li vive alternando la frequenza continuativa alle lezioni e lo studio delle materie teologiche con l’assistenza giornaliera ai ragazzi del collegio di Como, non tirandosi indietro di fronte ai sacrifici che una simile impostazione di vita comporta. A Como, nel Santuario del Sacro Cuore, diventa diacono il 24 ottobre 1972, festa del Fondatore, e successivamente, il 14 aprile 1973, viene ordinato sacerdote. Ambedue le celebrazioni vengono presiedute dal vescovo di Como di allora, monsignor Teresio Ferraroni. Inizia il suo ministero sacerdotale a Como come prefetto, sempre in quel contesto di collegio che gli era stato familiare già da studente di teologia, nel segno quindi della continuità. Gli vengono affidati i bambini delle elementari. È nominato vicepreside della scuola interna e questo gli consente di poter impostare il lavoro educativo, dando spazio ai valori della tradizione guanelliana. Del resto la stoffa di educatore non gli manca: spesso a don Attilio basta uno sguardo ed una parola chiara per farsi intendere, e tutto ciò si unisce ad un tratto di semplicità e soprattutto ad una bontà di cuore che lo rendono una persona amabile agli occhi dei bambini con cui vive, anche se a volte il suo comportamento tradisce una certa irruenza che gli è connaturale. Memorabili poi in quegli anni, a detta di tanti suoi ragazzi ora diventati uomini, i periodi di vacanza estivi trascorsi a Gualdera, all’epoca colonia alpina in gestione alla Casa di Como: sono per don Attilio occasioni nelle quali egli trasmette la sua passione per la montagna, come si vedrà anche più avanti. Nel 1978 passa all’Istituto San Gaetano di Milano. Questa sarà un’esperienza lunga, più che trentennale, che lo segna e segna inevitabilmente, in bene, le persone che lo accostano. All’inizio, come educatore ed assistente, segue i minori interni ed esterni di quel centro educativo, stabilendo relazioni significative e durature nel tempo con i ragazzi ed i loro genitori; sul finire della sua permanenza milanese sarà chiamato dai superiori a mettere da parte i ragazzi ed a dedicarsi di più a questioni legate all’economia ed all’amministrazione della Casa. Degna di nota è la passione che mette in atto, nelle uscite estive e invernali, per la casa di vacanza di Alagna, in provincia di Vercelli, ai piedi del Monte Rosa. Una dedizione, questa per Alagna, destinata a durare e a rafforzarsi nel tempo, soprattutto quando, dopo la ristrutturazione avvenuta all’inizio degli anni Novanta, ne diviene il responsabile, dapprima insieme ad un altro confratello, don Alfredo Rossetti, e poi, dopo il trasferimento di quest’ultimo, unico referente. Su Alagna don Attilio riverserà il meglio delle sue capacità, dedicandovi tempo e passione, e radunando attorno a sé amici e parenti che, a titolo di volontariato, lungo il corso degli anni, la seguono e la promuovono. Dopo 34 anni di permanenza a Milano, nel 2012, i superiori lo chiamano al compito di economo della nostra Casa di Barza d’Ispra, nel varesotto. Non è facile, per don Attilio, lasciare un posto nel quale è stato tanto e per il quale ha dato tanto, e questo è pienamente comprensibile, ma egli accetta di buon grado: lo attende un servizio a favore degli anziani di una RSA, di un centro di spiritualità e di varie altre attività che quella realtà porta avanti, e che svolgerà con la consueta dedizione e precisione. Passano solo 2 anni e nel 2014 “l’obbedienza” bussa ancora alla sua porta. Questa volta la destinazione è Genova e ad attenderlo vi è la missione di superiore della comunità per minori, il suo primo amore, presso la Casa dell’Angelo. Si inserisce con dedizione ed entusiasmo in questo contesto, in barba alla sua non più giovanissima età, ricevendo l’amicizia e la stima dei ragazzi, degli operatori e dei volontari di quella struttura. Si spende tantissimo per la sistemazione esterna della casa in occasione del centenario della morte di san Luigi Guanella e più recentemente per la realizzazione della nuova lavanderia e foresteria per i confratelli. Nel 2018 apprende di essere messo alla prova da una grave malattia. Già la patologia si era presentata negli anni Novanta, ben contrastata. Sulle prime anche stavolta don Attilio sembra riuscire a far fronte all’avanzata del male, ma successivi esami svolti sul finire dell’estate 2020 rilevano una situazione in aggravamento. Un forte desiderio di non pesare sugli altri lo porta ad occultare l’esito degli esami un po’ a tutti, nel settembre 2020; solo successivamente ha condiviso coi confratelli e i parenti la situazione. Malgrado le cure debilitanti, fino alla settimana precedente alla morte non ha mai smesso di trascorrere molte ore nel suo studio per seguire la Pia Opera, i rapporti coi benefattori e con la Chiesa locale. Lo scorso 7 ottobre ha ricevuto alla Casa dell’Angelo il Sindaco di Genova, dottor Marco Bucci, in visita per l’apertura dell’anno celebrativo del 70o anniversario della Casa. Un incontro nel quale il sindaco ha ringraziato l’Opera Don Guanella per la sua presenza in città fra i poveri e i minori in difficoltà. Esempio di tenacia, dedizione e passione, don Attilio ha desiderato con forza concludere la sua vita terrena tra i suoi ragazzi di Genova, anche quando i parenti e i superiori gli consigliavano – insistendo anche un poco – di avvicinarsi alla casa natale: lui a costoro diceva sempre la sua casa è a Genova. E così è stato! Nell’omelia funebre il Superiore provinciale, don Marco Grega, ha ricordato che don Attilio, soprattutto nell’ultimo mese di vita, ha sicuramente provato il turbamento dell’anima, soprattutto dopo la sospensione delle cure, quel turbamento che si prova quando si avvicina la fine e di cui anche Gesù ha fatto esperienza, così come è stato proclamato nel Vangelo «... ora l’anima mia è turbata...». È il turbamento che si prova di fronte alla morte, quel turbamento per cui si percepisce la paura, si teme la solitudine, spaventa la sofferenza. Don Attilio ha vissuto questo turbamento anzitutto con l’umiltà di mostrarlo e di non nasconderlo, cioè con la richiesta di non essere solo nel viverlo, chiedendo e donando vicinanza e affetto a chi gli era vicino. E poi con la forza di attraversarlo un poco alla volta, compiendo dei passi coraggiosi e che rivelano in lui la consapevolezza di quanto gli stava capitando, anche senza esprimerlo verbalmente. Ha voluto recarsi dai suoi familiari, pochi giorni prima della sua morte, pur in condizioni fisiche molto provate, per salutarli, li ha salutati ma non ha voluto essere di peso... ha chiesto di confessarsi il giorno prima della sua morte con un confratello amico... ha ricevuto da buon cristiano l’unzione degli infermi. Non ha fatto tanti discorsi compiendo questi passi, ma li ha fatti e li ha fatti con il suo stile a volte un po’ burbero ma sempre carico di umanità. Quando già la malattia si era manifestata, parlando della sua vocazione don Attilio ha scritto: «A Maria presento questa mia vocazione, la mia vita ed unisco il mio “fiat voluntas tua” al suo». Si può senza ombra di dubbio affermare che quanto san Paolo ha detto nella prima lettura a proposito della corruttibilità del nostro corpo (Si semina corruttibile e risorge incorruttibile... si semina debole e si risorge pieno di forza), don Attilio lo ha sperimentato direttamente nel suo percorso di infermità.
Si è spento venerdì 16 ottobre alle 8.30, nella sua camera della Casa dell’Angelo di Genova, circondato dall’affetto dei suoi confratelli, ragazzi e parenti. Sì, i parenti. A conclusione del funerale gli hanno dedicato una bellissima testimonianza, attraverso le parole lette da una nipote: Ciao don, è difficile salutarti, senza di te perdiamo un punto di riferimento. Sei stato sempre presente. Era importante celebrare insieme i sacramenti che scandivano le tappe importanti della vita di ciascuno. Hai saputo stare vicino a tuo fratello e a tua sorella nella loro malattia. Nelle diverse case in cui hai abitato, ti sei guardato intorno e hai sempre desiderato che l’ambiente fosse bello, curato e accogliente. E questo input era la scusa – o meglio l’occasione – per chiamare a rapporto tutta la famiglia perché qualsiasi lavoro necessitava di diverse competenze e molte braccia. E così noi abbiamo avuto l’occasione di passare molto tempo insieme e di spendere quel tempo a servizio degli altri, di chi avrebbe vissuto in quelle case. Dopo il lavoro non mancava la S. Messa in cui ritrovarci intono all’Eucarestia, ascoltando le tue veloci prediche fatte di parole essenziali.
Non potevano mai mancare i generi di conforto durante i lavori per sostenere lo spirito dei lavoratori! E non possiamo dimenticare le serate passate a giocare a carte! Non sono mancati i rimproveri, il tuo lato più burbero, ma sapevamo che nascondeva il tuo cuore buono.
Come don Guanella amavi la montagna e hai condiviso questa tua grande passione con i tuoi nipoti. Ci hai testimoniato che si può trovare Dio nella montagna, nella famiglia e nel servizio ai fratelli. Continueremo ad incontrarLo lì, continueremo ad incontrarci lì.
Che tu possa vivere eternamente nella gioia di Dio! Grazie don!
Don DAVIDE PATUELLI
Un pensiero del Superiore Generale Don Umberto Brugnoni:
"Caro don Attilio,
A nome anche del Consiglio generale ti rivolgo il saluto della tua Congregazione in questo giorno che per te segna l’inizio dello stare alla presenza di Dio e partecipare del Banchetto eterno preparato dal Padre per i suoi figli fedeli.
Grazie per quanto di bello e di grande hai saputo comunicarci con la tua vita di uomo e di religioso. Sono stati messaggi che il Buon Dio ci ha voluto far giungere attraverso di te. La tua serenità, il tuo desiderio di ordinare per importanza e valore le situazioni da affrontare, lasciando cadere le secondarie, il tuo sorriso che sapeva apparire sul tuo volto anche dopo momenti di tensione, la tua disponibilità a stare dove l’obbedienza di poneva impegnando particolare sforzo a orientare il tuo carattere e offrendo la ricchezza delle tue capacità per i confratelli, i nostri destinatari e le strutture dove sei stato, possono diventare anche per noi inviti ad una maggiore presa di coscienza del valore della nostra disponibilità al servizio.
Insieme ai giovani della Casa dell’Angelo di Genova esprimo anch’io la gratitudine per quanto hai saputo testimoniare in questi ultimi tempi vivendo il dolore e la prova della malattia. Grazie don Attilio! Sei stato un bravo Servo della Carità che ora aspetta dal Padre celeste la ricompensa della vita eterna accanto a Lui.
Insieme ai tuoi parenti che già vivono l’eternità vorrei che oggi in Paradiso ti accogliesse anche Achillus, il nostro giovane chierico, che proprio nella sua esperienza di servizio ai fratelli nella casa dell’Angelo ha vissuto l’incontro con il Dio della vita.
Riposa in pace, don Attilio, e dal cielo aiuta anche noi a fare tutto il bene che è nelle nostre possibilità di fare e a parlare al mondo di Gesù Cristo più con la vita che con le parole.
Intercedi per noi!"
Carissimi,
alle ore 9 di ieri mattina, 10 febbraio, a Roma, in Casa San Giuseppe, si è spento don Enrico Carmine Giovanni Iannitto. Aveva 88 anni.
I funerali saranno nella Chiesa del Seminario teologico, Chiesa “Buon Pastore”, oggi 11 marzo alle ore 15.
Lo portiamo nella nostra preghiera ed assicuriamo vicinanza alla sua comunità e ai suoi familiari.
Era nato a Montagano (Campo Basso) il 14.07 1934 da papà Rocco Nicola e mamma Jacovino Maria Concetta.
Era stato battezzato nella sua Parrocchia il 22.07.1034 e nella stessa Parrocchia ha ricevuto il sacramento della Cresima il 15.07.1950.
Entrato nella Congregazione dei Servi della carità nell’ottobre del 1953 , ha frequentato gli studi delle medie nel nostro seminario di Anzano del Parco, quelle del liceo a Barza d’Ispra e quelli di sacra teologia d Albizzate (Va). E’ stato ammesso al sacro noviziato nella nostra Casa di Barza d’Ispra nell’anno 1955-’56 e ha emesso la prima professione religiosa sempre a Barza il 12.09.1957. Dopo il Tirocinio nella casa di Naro (AG) ha pronunciato i voti religiosi in perpetuo sempre a Barza d’Ispra il 24.09.1962. E’ stato ordinato sacerdote dal Vescovo di Como, mons. Felice Bonomini, nel Santuario Sacro Cuore il 28.06.1964.
Da questa tappa inizia la sua missione come prete guanelliano. Tre sono le comunità dove don Enrico è vissuto ed ha esercitato gli uffici di educatore, superiore di comunità, direttore o coordinatore di attività: Como Casa Madre con i ragazzi del collegio; Perugia Montebello in due riprese con i nostri disabili; Istituto Matteo Torriani con i ragazzi e poi come custode del Centro.
L’ultima tappa della sua vita, due anni, don Enrico, l’ha trascorsa in questa Casa di san Giuseppe in modo particolare per motivi di salute e riposo necessario.
Giovedì 11 marzo alle ore 9.00, sorella morte lo ha chiamato all’incontro ultimo con il Signore risorto.
Il suo corpo, in attesa della risurrezione finale, sarà sepolto nel cimitero di Campo Basso, suo paese natale.
" ...Con gratitudine conserva memoria di coloro che il Padre ha già chiamato nella sua Casa: alla divina misericordia affida la loro vita ed eleva suffragi..." (Cost. n.23)
Dal Superiore Generale:
"Cari amici mercoledì scorso, delle Ceneri, il Signore ha chiamato a vivere accanto a se il nostro confratello don Ezio Canzi, di anni 73.
Leggendo in questi giorni tutto il materiale presente nella sua cartella nell’archivio della Curia generalizia ho avuto una idea più completa e poliedrica della figura di don Ezio. Ho potuto seguire l’evolversi del suo percorso formativo dalle prime tappe del seminario minore di Anzano del Parco (CO) fino alla teologia a Roma. Attraverso il giudizio annuale dei vari formatori che lo hanno seguito ho toccato anch’io con mano l’azione dello Spirito che lo ha forgiato nella sua volontà e nel progetto della sequela di Cristo, facendogli superare scogli iniziali di permalosità, chiusura in se stesso, incapacità di mettere a frutto i bei doni del Signore. Piano piano, anno dopo anno, ho assistito anch’io al martellare dello scalpello sulla pietra grezza fino ad evidenziarne l’immagine che Dio già fin dall’inizio aveva posto in lui, ma che solo col tempo e l’azione umano-divina è stata portata a scoprimento. Benedetta formazione! Benedetto il tempo di cammino che la chiesa fa dedicare ad ogni giovane, come discernimento, accompagnamento, consolidamento e purificazione di una filigrana posta da Lui nel cuore di ogni essere creato, non visibile all’inizio del cammino, ma contemplabile nella sua bellezza, lucentezza, e preziosità alla fine, alla meta conclusiva del processo formativo. Tutto questo è visibile nel percorso formativo di don Ezio!
Ricco di queste prerogative scoperte, fatte proprie, nel 1977 con l’ordinazione sacerdotale, don Ezio affronta il ministero subito chiarendo a se stesso e agli altri che sarebbe stato un ministero vissuto a servizio dei più poveri, dei “Beniamini della Provvidenza” come li chiamava don Guanella.
Ed è in questo ambito specifico che la sua vita ha scritto pagine di umanità, di condivisione, di passione e vera dedizione per gli ultimi. Anche le foto che abbiamo di lui sono tutte scattate con e tra i nostri Buoni Figli. Lui stesso nella sua domanda alla professione perpetua scrive al Superiore generale: “ Ringrazio don Guanella, che mi permette di vivere questa vita religiosa per i più poveri, e chiedo a Lui aiuto e forza per essere perseverante in questa scelta”(Domanda per la professione perpetua, 28/02/1977) .
La sua vita di sacerdote guanelliano lo porta a ricche e sofferte esperienze missionarie, lontano da sua madre, che comunque lo segue dovunque, lontano dalla sua Patria, dal suo Paese, Sovico, tanto amato fin da riprodurre il suo nome in tante esperienze di solidarietà realizzate lontano, nel mondo guanelliano che abbraccia i cinque continenti. E così un paese relativamente piccolo davanti al mondo e poco conosciuto, come Nazareth, diventa notizia bella, amato e ricordato in Africa, in America Latina e in tutte quelle tappe vissute e amate dalla missione di don Ezio.
I poveri non devono stare solo al centro delle nostre case, ma al centro del nostro cuore!
È la descrizione della sua pastorale: i poveri, gli ultimi, al centro, protagonisti principali, don Guanella aveva detto “padroni di casa” mentre noi siamo solo i loro servi.
Fin dagli anni della formazione li ha incontrati e serviti ad Aguilar de Campoo, in Spagna, dal 1972 al 1974 e poi, dopo l’ordinazione sacerdotale, li segue nel trasferimento a Palencia nella Villa San José dal 1977 al 1990. Quanta storia gustosa, serena, coinvolgente, edificante i suoi compagni di cammino raccontano di questi anni passati alla Villa San José.
“Tutto il mondo è Patria vostra e la vostra Patria è dove c’è Dio”. Questa frase di don Guanella è stata più volte coniugata da don Ezio nella sua disponibilità alla missione. Rientrato dalla Spagna dal 1991 al 1994 è in Africa, a Nnebukwu per iniziare l’avventura dell’Opera don Guanella nel continente africano. Senza conoscere bene l’inglese, ma con lo spirito del missionario che gli ardeva nel cuore va, sorregge don Giancarlo Frigerio nelle prime battute del discernimento del luogo e della modalità della nostra presenza in Africa. Quante fatiche, sofferenze, umiliazioni, fame, sì anche fame fratelli! E i suoi racconti di quegli anni, pur mettendo in evidenza anche questi aspetti di difficoltà, erano sempre spassosi, evidenziavano con pennellate più dense di colore ciò che nel loro cuore era coltivato come attesa, speranza di un futuro migliore, promettente, magari anche gestito da altri, come praticamente poi sarà. E la prima nostra Opera a Nnebukwu è stata un Centro per disabili.
La missione logora fisicamente e allora c’è un rientro in Italia nel 1994 per rifarsi un poco, ma non con le braccia incrociate, ma a Tirano, presso il santuario della Madonna, dove l’opera don Guanella aveva un Centro per disabili nel vecchio palazzo del San Michele. Vi rimane un anno solo e poi riparte. Questa volta per il Chapas in Guatemala nella Aldea Santa Rosa a 80 Km dalla Capitale. Qui la lingua spagnola lo sorregge di più. Fonda con don Enrico una nuova nostra presenza. Ho visto personalmente dove i confratelli vivevano nel tempo iniziale prima della costruzione della nostra casa guanelliana. Un retro sacrestia umido, poverissimo, abitato anche dai topi, ma comunque all’ombra della parrocchia dedicata alla Immacolata Concezione, Madre anche di quel popolo povero e bisognoso a cui erano stati mandati e dal quale erano stati accolti con tante premure e affetto, come fratelli. Dal Guatemala un salto di un anno in Colombia a Floridablanca. Anche qui Centro per disabili e Casa di orientamento vocazionale. Poi di nuovo in Italia. Dopo 21 anni di sacerdozio don Ezio viene mandato dai Superiori nel 1998 a Cassago Brianza come coordinatore delle attività socioeducative della Casa. L’Istituto Sant’Antonio che accoglie un Centro diurno per disabili, e alcuni gruppi-comunità sociosanitari. Nel settembre del 2003 il suo Provinciale lo invia come Direttore delle attività in un’altra comunità per disabili, quella di Lora Casa di Gino. Vi rimane 10 anni, intensi, animatore del settore disabili, entusiasta di stare con i suoi prediletti. Vi celebra il 25 di sacerdozio: indimenticabile tappa di riconoscimento da parte dei suoi ragazzi del suo valore di uomo e di fratello maggiore. Ma ad attenderlo in questa fase del suo ministero c’è anche la prova, la sofferenza soprattutto fisica. Come si dice tra noi, ne esce con le ossa rotte, meglio con i reni compromessi. Deve essere mandato nella nostra Casa di Nuova Olonio perché la preoccupazione per il suo stato di salute era molto alta, addirittura si temeva il peggio. Vederlo già camminare con il bastone era una vera tristezza. La tempra era stata provata dalle esperienze missionarie iniziali e le conseguenze si erano addensate nei suoi reni non più capaci di filtrare nel migliore dei modi.
Ma può un carattere così forte ed esigente arrendersi davanti ad un problema sì grave, ma certamente non tale da impedirgli altra attività ed esperienza pastorale?
La proposta di un suo amico, don Fabio Pallotta, che stava iniziando una nuova esperienza pastorale in Galizia, ad Arca, sul cammino di Santiago di Compostela, è la scintilla che lo rimette in piedi. Superate le difficoltà iniziali di salute affronta la nuova missione, ancora una volta in Spagna, ma come pellegrino sulle strade che portano al Signor Santiago, a San Giacomo. Era l’ottobre del 2010 quando l’Opera don Guanella inaugurava la nostra presenza ad Arca nella parrocchia di Santa Eulalia. Ero vicario generale in quel momento e a me il Superiore aveva dato l’incarico di seguire questa comunità nascente. Ricordo molto bene che presentando al Vescovo di Santiago, Mons. Julian Barrio Barrio i nostri confratelli, avevo detto scherzosamente che la Congregazione offrire all’Arcivescovo un confratello e mezzo, alludendo alla salute precaria di don Ezio. Ma San Giacomo ha fatto il miracolo. Dieci anni di servizio pastorale nelle comunità affidate alla nostra Congregazione, pur con tante attenzioni e premure di don Fabio e della gente del luogo, ma con serenità, gioia di vivere ed essere utile al popolo di Dio. La gente lo ha accolto, conosciuto, amato, stimato come un padre, un amico, un fratello maggiore che sapeva ridere ed essere severo quando occorreva. Sempre disponibile per il ministero, per la visita agli ammalati, per la catechesi. So che nel suo cuore c’era un desiderio: aprire anche qui una Casa per i suoi prediletti, i disabili e forse sognava proprio di chiudere gli occhi, da buon nonno, tra questi figli che lui ha sempre amato e difeso e loro lo aveva sempre contraccambiato con l’affetto che rigenera la stanchezza e i dolori in chi vive loro accanto. Chissà che un domani qualcun altro potrà realizzare questo suo sogno e a lui dedicarlo!
Il titolo dell’articolo suona “il vescovo dei poveri”; glielo avevano dato loro, i suoi ragazzi, quando al suo 25 di sacerdozio gli avevano regalato come segno del loro amore: una croce pettorale, un anello e una veste rossa. Gli volevano un mondo di bene e cosa potevano coltivare nel loro cuore questi suoi figli e amici se non che anche il loro “don” arrivasse alla pienezza del sacerdozio, l’episcopato? Don Ezio era avulso da questi riconoscimenti, stava alla larga, avrà fatto delle fragorose risate davanti a questa trovata, ma poi pensando che erano i loro auguri, scherzosi sì, ma sinceri li ha accettati e li ha commentati con gioia nel suo discorso proprio del 25 anniversario di sacerdozio. “La mia carriera è stata quella di vivere e stare con le più alte autorità della chiesa e soprattutto del Vangelo: i poveri, le persone che sono portatori di capacità differenti e che chiamiamo disabili psichici….Ho veramente goduto in questi anni di stare con loro!......Ho avuto dei riconoscimenti: ho sul petto una croce d’oro con dei diamanti che sono tante piccole e tenere testoline di questi portatori di qualità differenti che si sono appoggiate sul mio petto e sul mio cuore….Ho anche un anello al dito che col tempo non riesco più a togliere ed è diventato un segno di continuità per le tante mani che hanno trovato le mie, per il sostegno al loro difficoltoso camminare, per dispensare alimenti a chi doveva essere imboccato e per la preziosità dei corpi che ho lavato, curato, vestito…….Mi dimenticavo della veste rossa che posso portare! Il rosso è il colore del sangue, della vita, dell’amore. Quanta vita e quanto amore ho ricevuto da queste persone che chiamiamo deboli mentali e che sono invece forti. Forti nel volere vivere pienamente la vita, capaci di non perdere nessuna sfumatura e forti per la profonda conoscenza dell’amore, della relazione, della comunione…Mi sono pienamente appagato, realizzato come sacerdote religioso guanelliano e grazie alla carriera ecclesiastica ora anche come “vescovo dei disabili”. Ringrazio il Signore per tutto e per avermi chiamato a servire loro i migliori dell’umanità” (Lettera di don Ezio Canzi per il 25° di sacerdozio, 2002).
Grazie don Ezio per il tuo passaggio rapido, ma sostanzioso, nella nostra storia di uomini e di guanelliani. Raccogliamo la tua eredità di premura e vicinanza agli ultimi che, poi, sono “i primi” del Vangelo. Don Guanella è fiero di te e saprà, nell’incontro eterno, rivestirti della veste nuziale adatta per partecipare al Banchetto che Dio ha preparato fin dalla eternità per chi lo ha amato e servito nei più poveri."
P. Umberto
" ...Con gratitudine conserva memoria di coloro che il Padre ha già chiamato nella sua Casa: alla divina misericordia affida la loro vita ed eleva suffragi..." (Cost. n.23)
Nato a Grumello del Monte (BG), il 6 febbraio1923
Entrato a Fara Novarese, il 21 gennaio 1935
Noviziato a Barza d’Ispra, dal 12 settembre 1940
Prima Professione a Barza d’Ispra, il 12 settembre 1942
Professione Perpetua a Cassago, il 12 settembre 1945
Sacerdote a Milano, il 22 maggio 1948
Morto a Coyhaique, il 5 ottobre 2016
Sepolto nella Cripta della Cattedrale di Coyhaique, Cile
El miércoles 5 de octubre de 2016 regresó a la Casa del Padre del Cielo nuestro querido Padre Francisco Belotti, pero no nos abandona. Porque amó tanto a esta región del Aysén y a su gente, se queda y sigue caminando con su pueblo. Nació el 6 de febrero de 1923 en Grumello del Monte (Bérgamo). Emitió la Primera Profesión el 12 de setiembre de 1942. Fue ordenado sacerdote por el Beato Cardenal Ildefonso Schuster, arzobispo de Milán, el 22 de mayo de 1948. Comenzó su misión en Chile, en Estación Colina, en el año 1949 hasta 1965. Luego fue a Puerto Cisnes y posteriormente estuvo en Batuco, Renca, Rancagua y Coyhaique; su última obediencia fue en esta Obra desde 1992. Sirvió a la Congregación como Consejero provincial, Delegado de Nación, superior y ecónomo. Tantos años transitando por estos caminos donde acaricia el viento patagónico, consolando y enseñando, regalando a manos llenas la misericordia de Dios, la Palabra y el Pan de Vida. Cuánto esmero y celo apostólico para que su gente tenga un hermoso Santuario dedicado a Jesús Nazareno. Todo un amor de Buen Pastor con estilo guanelliano que lo convertían en Buen Samaritano para con los niños, jóvenes y adultos; una gran entrega a la Iglesia en Coyhaique, dedicación exquisita a las Hermanas y guanellianos Cooperadores, fiel discípulo de don Guanella, con un fuerte sentido de pertenencia a la Congregación de los Siervos de la Caridad (Obra Don Guanella). Muchos años atrás, llegando de Italia como joven sacerdote a Santiago de Chile, se había encontrado con un santo sacerdote, el P. Alberto Hurtado: un comienzo tan auspicioso para su misión en América Latina, dedicándose a servir a los más pobres. Lo recordamos como el típico curita italiano que, habiendo dejado su tierra natal y su familia, entregaba toda su vida a Dios y a los hermanos en su patria por adopción, la nación chilena, incansable trabajador con espíritu de pobreza y sacrificio, con sencillez de corazón y generosidad, adaptándose a un nuevo idioma, clima, alimentación y cultura. Siguió los pasos de P. Antonio Ronchi, otro gran misionero de la Patagonia guanelliana, y como él, dio la vida por su pueblo hasta las últimas consecuencias, es decir hasta el último respiro. El buen Siervo de la Caridad, Padre Francisco, ahora es recibido por sus pobres, por sus amigos, sus cohermanos de Congregación, por toda una Familia guanelliana que ya dejó este suelo, y es llevado a la Patria Celestial. Y Jesús le dice: ven bendito de mi Padre, porque me diste de comer, me diste de beber, me enseñaste, me evangelizaste, e hiciste para conmigo todas las Obras de Misericordia. ¡Qué gran ejemplo de Pastor guanelliano para este año de la Misericordia! Es un regalo de Dios que hemos disfrutado, lo hemos tenido entre nosotros y seguiremos gozando de su presencia espiritual, como intercesor ante el Padre. Celebramos la Pascua del Padre Francisco y nos sentimos protegidos por su cariño paternal que no se acaba, sino que se intensifica y se hace presente misteriosamente todos nuestros días, porque recibe en premio la Vida eterna que ya tiene su germen en el peregrinar en esta tierra. Gracias Padre Francisco por tu valentía y coraje, tu sencillez y pobreza, tu corazón paterno y cercanía a los necesitados, tu testimonio hasta el fin. Te reciben los ángeles de Cielo y entras en el gozo de tu Señor. Gracias al Padre Obispo Luis, al Padre Ramón, a las Hermanas y Cooperadores, a todos los amigos y fieles que acompañaron al P. Francisco en sus días de enfermedad. Unidos todos por la oración y la caridad.
P. CARLOS BLANCHOUD
Don Piero Giovanni Viganò, che tutti noi familiarmente chiamavamo don Giampiero, nasce il 5 novembre 1933 a Milano dal matrimonio tra Andrea e Maria Cattaneo.
Il Superiore provinciale, don Marco Grega, ha comunicato la triste notizia della morte del carissimo confratello Don Giuseppe Chieregato.
Il confratello si è spento alle ore 23 del 10 dicembre nella nostra casa di Barza d'aspra, all'età di 86 anni.
La Santa Messa esequiale si terrà martedì 14 dicembre 2021, a Barza d'aspra, alle ore 10.
La salma partirà poi per Fiesso Ubertiano (RO) dove, giovedì 16 dicembre, alle ore 9,30, verranno celebrati nuovamente i funerali nella parrocchia della Natività di Maria.
La cara salma verrà tumulata nel cimitero locale.
Lo ricordiamo con tanto affetto e nella preghiera, grati del suo esempio di semplicità, di preghiera e di fede.
Per un messaggio di condoglianze alla Comunità di appartenenza del confratello don Giuseppe Chieregato potete scrivere a: domenico@guanelliani.it
Il Superiore generale gli ha indirizzato una commossa Lettera di benemerenza (Leggi)