Domenica, 22 marzo, alle ore 9.00 su RAI 2 va in onda la trasmissione: «Sulla via di Damasco».
San Giuseppe su quella via non c’era, ma la sua vita, la sua obbedienza e la sua fede ha fatto in modo che su quella via ci fosse Gesù ad aspettare Saul per essere spinto alla conversione e diventerà l’apostolo Paolo.
Nella trasmissione ci sarà un servizio su San Giuseppe con l’intervento di don Mario Carrera, direttore della Pia Unione di San Giuseppe.
Concessione di speciali Indulgenze ai fedeli nella attuale situazione di pandemia
Decreto della Penitenzieria Apostolica e Nota circa il Sacramento della Riconciliazione nell’attuale situazione di pandemia
PENITENZIERIA APOSTOLICA – DECRETO
Si concede il dono di speciali Indulgenze ai fedeli affetti dal morbo Covid-19, comunemente detto Coronavirus, nonché agli operatori sanitari, ai familiari e a tutti coloro che a qualsivoglia titolo, anche con la preghiera, si prendono cura di essi.
«Siate lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera» (Rm 12,12). Le parole scritte da San Paolo alla Chiesa di Roma risuonano lungo l’intera storia della Chiesa e orientano il giudizio dei fedeli di fronte ad ogni sofferenza, malattia e calamità. Il momento presente in cui versa l’intera umanità, minacciata da un morbo invisibile e insidioso, che ormai da tempo è entrato prepotentemente a far parte della vita di tutti, è scandito giorno dopo giorno da angosciose paure, nuove incertezze e soprattutto diffusa sofferenza fisica e morale.
La Chiesa, sull’esempio del suo Divino Maestro, ha avuto da sempre a cuore l’assistenza agli infermi. Come indicato da San Giovanni Paolo II, il valore della sofferenza umana è duplice: «È soprannaturale, perché si radica nel mistero divino della redenzione del mondo, ed è, altresì, profondamente umano, perché in esso l’uomo ritrova se stesso, la propria umanità, la propria dignità, la propria missione» (Lett. Ap. Salvifici doloris, 31).
Anche Papa Francesco, in questi ultimi giorni, ha manifestato la sua paterna vicinanza e ha rinnovato l’invito a pregare incessantemente per gli ammalati di Coronavirus. Affinché tutti coloro che soffrono a causa del Covid-19, proprio nel mistero di questo patire possano riscoprire «la stessa sofferenza redentrice di Cristo» (ibid., 30), questa Penitenzieria Apostolica, ex auctoritate Summi Pontificis, confidando nella parola di Cristo Signore e considerando con spirito di fede l’epidemia attualmente in corso, da vivere in chiave di conversione personale, concede il dono delle Indulgenze a tenore del seguente dispositivo.
Si concede l’Indulgenza plenaria ai fedeli affetti da Coronavirus, sottoposti a regime di quarantena per disposizione dell’autorità sanitaria negli ospedali o nelle proprie abitazioni se, con l’animo distaccato da qualsiasi peccato, si uniranno spiritualmente attraverso i mezzi di comunicazione alla celebrazione della Santa Messa, alla recita del Santo Rosario, alla pia pratica della Via Crucis o ad altre forme di devozione, o se almeno reciteranno il Credo, il Padre Nostro e una pia invocazione alla Beata Vergine Maria, offrendo questa prova in spirito di fede in Dio e di carità verso i fratelli, con la volontà di adempiere le solite condizioni (confessione sacramentale, comunione eucaristica e preghiera secondo le intenzioni del Santo Padre), non appena sarà loro possibile.
Gli operatori sanitari, i familiari e quanti, sull’esempio del Buon Samaritano, esponendosi al rischio di contagio, assistono i malati di Coronavirus secondo le parole del divino Redentore: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15,13), otterranno il medesimo dono dell’Indulgenza plenaria alle stesse condizioni.
Questa Penitenzieria Apostolica, inoltre, concede volentieri alle medesime condizioni l’Indulgenza plenaria in occasione dell’attuale epidemia mondiale, anche a quei fedeli che offrano la visita al Santissimo Sacramento, o l’adorazione eucaristica, o la lettura delle Sacre Scritture per almeno mezz’ora, o la recita del Santo Rosario, o il pio esercizio della Via Crucis, o la recita della Coroncina della Divina Misericordia, per implorare da Dio Onnipotente la cessazione dell’epidemia, il sollievo per coloro che ne sono afflitti e la salvezza eterna di quanti il Signore ha chiamato a sé.
La Chiesa prega per chi si trovasse nell’impossibilità di ricevere il sacramento dell’Unzione degli infermi e del Viatico, affidando alla Misericordia divina tutti e ciascuno in forza della comunione dei santi e concede al fedele l’Indulgenza plenaria in punto di morte, purché sia debitamente disposto e abbia recitato abitualmente durante la vita qualche preghiera (in questo caso la Chiesa supplisce alle tre solite condizioni richieste). Per il conseguimento di tale indulgenza è raccomandabile l’uso del crocifisso o della croce (cf. Enchiridion indulgentiarum, n.12).
La Beata sempre Vergine Maria, Madre di Dio e della Chiesa, Salute degli infermi e Aiuto dei cristiani, Avvocata nostra, voglia soccorrere l’umanità sofferente, respingendo da noi il male di questa pandemia e ottenendoci ogni bene necessario alla nostra salvezza e santificazione.
Il presente Decreto è valido nonostante qualunque disposizione contraria.
Dato in Roma, dalla sede della Penitenzieria Apostolica, il 19 marzo 2020.
Mauro Card. Piacenza
Penitenziere Maggiore
Krzysztof Nykiel
Reggente
Nota della Penitenzieria Apostolica circa il Sacramento della Riconciliazione nell’attuale situazione di pandemia
«Io sono con voi tutti i giorni» (Mt 28,20) La gravità delle attuali circostanze impone una riflessione sull’urgenza e la centralità del sacramento della Riconciliazione, unitamente ad alcune necessarie precisazioni, sia per i fedeli laici, sia per i ministri chiamati a celebrare il sacramento. Anche in tempo di Covid-19, il sacramento della Riconciliazione viene amministrato a norma del diritto canonico universale e secondo quanto disposto nell’Ordo Paenitentiae. La confessione individuale rappresenta il modo ordinario per la celebrazione di questo sacramento (cf. can. 960 CIC), mentre l’assoluzione collettiva, senza la previa confessione individuale, non può essere impartita se non laddove ricorra l’imminente pericolo di morte, non bastando il tempo per ascoltare le confessioni dei singoli penitenti (cf. can. 961, § 1 CIC), oppure una grave necessità (cf. can. 961, § 1, 2° CIC), la cui considerazione spetta al Vescovo diocesano, tenuto conto dei criteri concordati con gli altri membri della Conferenza Episcopale (cf. can. 455, § 2 CIC) e ferma restando la necessità, per la valida assoluzione, del votum sacramenti da parte del singolo penitente, vale a dire il proposito di confessare a tempo debito i singoli peccati gravi, che al momento non era possibile confessare (cf. can. 962, § 1 CIC).
Questa Penitenzieria Apostolica ritiene che, soprattutto nei luoghi maggiormente interessati dal contagio pandemico e fino a quando il fenomeno non rientrerà, ricorrano i casi di grave necessità, di cui al summenzionato can. 961, § 2 CIC. Ogni ulteriore specificazione è demandata dal diritto ai Vescovi diocesani, tenuto sempre conto del supremo bene della salvezza delle anime (cf. can. 1752 CIC). Qualora si presentasse la necessità improvvisa di impartire l’assoluzione sacramentale a più fedeli insieme, il sacerdote è tenuto a preavvertire, entro i limiti del possibile, il Vescovo diocesano o, se non potesse, ad informarlo quanto prima (cf. Ordo Paenitentiae, n. 32). Nella presente emergenza pandemica, spetta pertanto al Vescovo diocesano indicare a sacerdoti e penitenti le prudenti attenzioni da adottare nella celebrazione individuale della riconciliazione sacramentale, quali la celebrazione in luogo areato esterno al confessionale, l’adozione di una distanza conveniente, il ricorso a mascherine protettive, ferma restando l’assoluta attenzione alla salvaguardia del sigillo sacramentale ed alla necessaria discrezione.
Inoltre, spetta sempre al Vescovo diocesano determinare, nel territorio della propria circoscrizione ecclesiastica e relativamente al livello di contagio pandemico, i casi di grave necessità nei quali sia lecito impartire l’assoluzione collettiva: ad esempio all’ingresso dei reparti ospedalieri, ove si trovino ricoverati i fedeli contagiati in pericolo di morte, adoperando nei limiti del possibile e con le opportune precauzioni i mezzi di amplificazione della voce, perché l’assoluzione sia udita. Si valuti la necessità e l’opportunità di costituire, laddove necessario, in accordo con le autorità sanitarie, gruppi di “cappellani ospedalieri straordinari”, anche su base volontaria e nel rispetto delle norme di tutela dal contagio, per garantire la necessaria assistenza spirituale ai malati e ai morenti.
Laddove i singoli fedeli si trovassero nella dolorosa impossibilità di ricevere l’assoluzione sacramentale, si ricorda che la contrizione perfetta, proveniente dall’amore di Dio amato sopra ogni cosa, espressa da una sincera richiesta di perdono (quella che al momento il penitente è in grado di esprimere) e accompagnata dal votum confessionis, vale a dire dalla ferma risoluzione di ricorrere, appena possibile, alla confessione sacramentale, ottiene il perdono dei peccati, anche mortali (cf. CCC, n. 1452). Mai come in questo tempo la Chiesa sperimenta la forza della comunione dei santi, innalza al suo Signore Crocifisso e Risorto voti e preghiere, in particolare il Sacrificio della Santa Messa, quotidianamente celebrato, anche senza popolo, dai sacerdoti.
Come buona madre, la Chiesa implora il Signore perché l’umanità sia liberata da un tale flagello, invocando l’intercessione della Beata Vergine Maria, Madre di Misericordia e Salute degli infermi, e del suo Sposo San Giuseppe, sotto il cui patrocinio la Chiesa da sempre cammina nel mondo. Ci ottengano Maria Santissima e San Giuseppe abbondanti grazie di riconciliazione e di salvezza, in attento ascolto della Parola del Signore, che ripete oggi all’umanità: «Fermatevi e sappiate che io sono Dio» (Sal 46,11), «Io sono con voi tutti i giorni» (Mt 28,20).
Dato in Roma, dalla sede della Penitenzieria Apostolica, il 19 marzo 2020,
Solennità di San Giuseppe, Sposo della B.V. Maria, Patrono della Chiesa Universale.
Mauro Card. Piacenza
Penitenziere Maggiore
Krzysztof Nykiel
Reggente
MARZO 20, 2020
Tutto cominciò proprio il 19 Marzo
Don Guanella e San Giuseppe: cenni di una devozione
Tutti i Guanelliani del mondo sanno che San Giuseppe è di casa fra noi.
La nostra storia e buona parte della letteratura guanelliana sono segnate dalla presenza dello Sposo di Maria, padre di Gesù secondo la legge.
Don Guanella era solidamente radicato e affascinato dall’idea della custodia premurosa di San Giuseppe nelle sue vicissitudini personali e ne promosse la devozione fin dagli inizi della fondazione.
Naturalmente la predominanza di San Giuseppe va letta in un contesto globale di vita e di pensiero, altrimenti rischia di apparire come un fungo nell’esperienza del fondatore e come un’appendice nella nostra.
Tutto parte, in don Luigi, dalla straordinaria forza che ha nella sua vita il mistero del Natale, l’Incarnazione del Signore, punto cardine della sua visione teologica eppure stranamente poco sviluppato nella nostra riflessione.
Le citazioni del Fondatore sul mistero di Betlemme e sull’icona della Sacra Famiglia sono innumerabili e giocano un ruolo ispirativo: Giuseppe è l’uomo che obbedisce a una parola, fidandosi più di quella che delle sue evidenze; con sollecitudine porta avanti il suo compito ed ha il privilegio di morire fra le braccia delle creature più amate, così che la morte non è la dura falce che tutto strappa, ma la sorella che accompagna e apre la porta del cielo.
Ne deriva un disegno stimolante per sé e per i suoi: abbracciare la propria missione nell’obbedienza alla voce del Padre, prendendosi cura di Gesù e delle sue cose per tutta la durata dei propri giorni, appoggiati a Maria, la migliore delle creature, che rende bella la nostra vita, fino a quando verrà la morte, per riportarci al Padre.
Fare da padre e fare da madre era ed è tutta la missione dei guanelliani, così che Maria e Giuseppe diventano prototipi di questo impegno di vita e si impongono non solo tra le nostre devozioni, ma soprattutto nel nostro progetto di vita. C’è l’idea di una custodia affidataria della quale rispondiamo, i poveri che non sono nostri e che ci diventano cari come se lo fossero, come se li avessimo partoriti. In un ‘Opera dove la preghiera e il lavoro sono gli strumenti cardine di santicazione e di apostolato, il riferimento al santo del raccoglimento e del lavoro domestico è scontato.
Vi è anche la sfumatura della purezza con cui Giuseppe entrò nella vita di Maria, ulteriore motivo ispirativo per dei consacrati. Come pure la nota della ‘vita semplice’ condotta da Giuseppe nella Sacra Famiglia e proposta anche a noi, una vita non troppo spettacolare, modesta, fuori dai riflettori, fatta di virtù comuni e umane, ma autentiche. Nella letteratura guanelliana va inquadrato l’elemento ‘semplicità’ con cui il Fondatore sintetizza la sua idea di vita religiosa di grande spessore, che ci chiede di essere ‘sacchi di preghiera’ e ‘asini da lavoro’, ma a tinte chiare, senza eccessivi protagonismi, senza squilli di tromba. Come Giuseppe.
Cerchiamo ora di dare un’idea di questa relazione tra don Guanella e San Giuseppe, per quanto possibile ordinata.
DAL BAMBINO LUIGI AL GIOVANE PRETE: DON GUANELLA E SAN GIUSEPPE
Nel presbiterio della chiesa di Fraciscio vi era dipinto un busto di San Giuseppe e papà Lorenzo soleva dire a don Guanella che si trattava del “volto di Carlo Gilardi”, un anziano del paese divenuto leggendario per aver battuto il record della longevità nella piccola parrocchia. Il registro dello stato d’anime di Fraciscio, infatti, lo cita nel 1742 con 108 anni; calcolando che l’atto di morte risulta nel 1749, il Gilardi raggiunse la veneranda età di 115 anni.
Era uno dei ricordi antichi del bambino Guanella relativi al Santo Patriarca: anziano, longevo, vita appartata, poche pretese, gioie semplici...tutto creava già nel mondo immaginario del piccolo l’idea che gli anni, gli incontri e le letture avrebbero poi rifinito col tempo.
Quando don Guanella inizia il catechismo, sempre nella sua Fraciscio, esistono già due giorni del calendario dedicati a San Giuseppe: anzitutto il 19 Marzo, festa del Santo, presente nei martirologi fin dal secolo IX, poi resa universale nel 1480 da papa Sisto IV e quindi di precetto nel 1621 da papa Gregorio XV; in secondo luogo la festa del Patrocinio del Santo, che si celebrava già in molte diocesi, confraternite, ordini religiosi, in date differenti. In molti luoghi esisteva persino una terza festa, quella dello Sposalizio della Vergine con San Giuseppe.
A partire da PIO IX vi era stato un crescendo straordinario di attenzione al Santo. Sotto il suo pontificato, nel 1847, si estese alla Chiesa universale la festa del Patrocinio, si cominciò a invocare San Giuseppe prima dei SS. Pietro e Paolo nelle Litanie, fatto mai accaduto nel passato, e nel 1870 lo si proclamava Patrono della Chiesa universale e lo riconosceva secondo solo a Maria nel potere di intercessione conferendogli il diritto a un culto superiore a quello degli altri Santi.
Tutte queste vicende si sviluppano proprio negli anni dell’infanzia del nostro e fino al suo primo sacerdozio. Già nel Seminario di Sant’Abbondio, lo racconta lui stesso nell’autobiografia, era abbonato a “Il Devoto di San Giuseppe”, una rivista nuova che si iniziò a pubblicare a Modena proprio nel 1863, mentre don Guanella è in seconda classe di filosofia. Il suo rettore di quegli anni, don Angelo Bolzani, era un apostolo entusiasta della devozione a San Giuseppe e questo lasciò certamente un’impronta nell’animo di don Luigi; si pensi che il Bolzani in quegli anni scrisse “Il culto di San Giuseppe nella città e diocesi di Como”, studio che poi venne pubblicato, alla sua morte, sull’altra rivista veronese, l’ “Eco cattolico delle glorie di San Giuseppe”, mentre don Guanella è a Savogno da dove pure inviava corrispondenza alla rivista.
Appena San Giuseppe è proclamato Patrono della Chiesa universale, don Luigi vede bene che anche a Savogno se ne instauri il culto e, qualche mese dopo il solenne pronunciamento papale, nell’Aprile 1871, fa collocare un quadro di San Giuseppe nella ristrutturata chiesa parrocchiale chiedendo e ottenendo dalla Curia il permesso di benedirla lui stesso.
Vi è poi la parentesi piemontese in cui don Guanella entra in contatto con il mondo del Cottolengo e di don Bosco dove la devozione a San Giuseppe è radicata e diffusa. Il Cottolengo ne portava il nome e aveva dedicato a San Giuseppe la famiglia interna della casa che ospitava i Fratini, cioè i ragazzi della strada da proteggere, istruire e avviare a una professione. Don Bosco e l’Oratorio di Valdocco, nella ridda di devozioni offerte forse con una certa esagerazione, davano un posto di rilievo alle pratiche in onore di San Giuseppe, soprattutto fra artigiani e studenti. Senza parlare delle numerose pubblicazioni, tra le Letture Cattoliche, in onore al Santo.
Risalgono agli anni salesiani due lettere preziose nelle quali don Guanella si vota a San Giuseppe per tutta la vita, entrambe indirizzate al Vicario generale della Diocesi di Modena, direttore dell’Eco di San Giuseppe.
La prima la firmano in due, il 1° aprile 1875, un certo don Carlo Pezzotti e don Luigi Guanella, dall’Oratorio di Valdocco:
“I Sacerdoti Pezzotti Don Carlo e Guanella Don Luigi dimoranti nell'Oratorio di San Francesco di Sales in Torino, pieni di fiducia nella protezione di San Giuseppe, implorano dal glorioso Patrono, il primo la guarigione da una grave malattia, ed il secondo il buon esito d'un affare importantissimo di ordine morale.
Sperano poi i suddetti al compimento della grazia di fare a gloria del gran Protettore tutto che l'ingegno e la possibilità sarà per permettere affine di porgerne almeno segno di gratitudine imperitura, ed i favori ottenuti saranno specialmente registrati nel Periodico il Divoto di S. Giuseppe a comune edificazione ed incoraggiamento. Voglia anche la S.V. ajutarci colle sue orazioni e dire a S. Giuseppe che noi vogliamo essere figli suoi sempre divoti in vita e nella morte.”
Quale poi fosse l’accennato “buon esito d’un affare importantissimo di ordine morale” possiamo solo supporlo, ma lo scopriremo in cielo. Certo è che i due promettono “gratitudine imperitura e si professano “figli di San Giuseppe sempre devoti nella vita e nella morte”.
La seconda, ancora più forte e misteriosa, ma davvero allusiva al suo futuro e alla sua missione, fu scritta due mesi dopo, il 5 Giugno dello stesso anno 1875, ma questa volta è solo don Luigi che scrive:
“Scrivendo due righe nel periodico di San Giuseppe, mi par quasi d'impegnare di più il Santo a ottenermi le grazie di cui abbisogno rivolgendomi a lui qui pubblicamente come a colui che per mio protettore speciale ho eletto e in cui confido con tutto l'animo.
In questo momento ho tutto il bisogno che San Giuseppe mi aiuti in certe imprese avviate, dalle quali sarà per dipendere la destinazione della mia vita e la salvezza di molte anime. Mi avvalori il Santo Patrono ed io mi assumo di pubblicare per tutto le sue lodi. Oltrechè per le tante grazie particolari che riguardano il presente mio stato, io sono in gran dovere di pregare S. Giuseppe per la conversione di un gran personaggio il quale se sarà aiutato a dare ancora un passo nella via del ravvedimento arrecherà certamente viva consolazione alla Chiesa Santa.
I devoti del santo Patriarca uniscano le loro orazioni alle mie per conseguire questo gran bene.”
Straordinaria questa relazione personale che si va rafforzando con San Giuseppe eletto a speciale protettore della sua persona e l’accennato “bisogno che San Giuseppe mi aiuti in certe imprese avviate, dalle quali sarà per dipendere la destinazione della mia vita e la salvezza di molte anime.”
Anche negli anni in cui il nostro torna dall’esperienza salesiana, la chiesa continua ad intervenire frequentemente sul tema, sotto il papa Leone XIII.
Nella sua prima allocuzione al collegio dei Cardinali, era il 1878, pone il suo pontificato sotto “la potentissima protezione di san Giuseppe, celeste Patrono della Chiesa”; nel 1881 affida a san Giuseppe il Giubileo straordinario da iniziarsi il giorno della sua festa; nell’enciclica Quamquam pluries del 1889 espone tutta la dottrina su san Giuseppe, dai fondamenti della sua dignità fino alla ragione singolare per cui merita di essere proclamato patrono di tutta la Chiesa, modello e avvocato di tutte le famiglie cristiane...
A don Guanella era arrivata, lungo gli anni, tutta la tradizione devozionale sul santo patriarca, sviluppatasi a partire dagli ambienti monastici, benedettini, francescani, serviti, carmelitani e sotto la spinta di santi dalla vasta eco come Santa Brigida di Svezia e San Bernardino di Siena: le pratiche dei Sette dolori e allegrezze di San Giuseppe, il Mese di Marzo con la devozione al suo Cingolo, la dedicazione allo Sposo di Maria di tutti i Mercoledí...
Tra le sue letture don Luigi aveva incontrato San Giuseppe soprattutto negli scritti di Santa Teresa, del Gerson, e nei manuali di spiritualità o di predicazione che riportavano il pensiero di Bernardo di Chiaravalle, Ruperto di Liegi, Bonaventura da Bagnoregio, Dusn Scoto e vari altri pensatori cristiani.
Nelle sue operette spirituali e nei testi per le sue congregazioni San Giuseppe è presente ad ogni passo; conosce anche le tradizioni relative alle sue reliquie venerate qua e là per la penisola, come il bastone fiorito del santo...
DON GUANELLA FONDATORE
Dagli anni di Pianello, col Coppini, nel gruppo iniziale che poi costituirà la Congregazione femminile, non emerge una spiccata devozione al Santo mentre possiamo affermare che la nostra avventura definitiva come Opera don Guanella comincia davvero con San Giuseppe.
Era proprio il 19 Marzo 1885, da Pianello, il giorno in cui don Guanella scrive una delle lettere forse più importanti da noi conservate, che si conclude precisamente con il riferimento al Santo: “Io prego Dio e mi soscrivo poi in questo giorno di S. Giuseppe 1885, ossequentissimo servo, Luigi Sacerdote Guanella”. Fra di noi la lettera è nota col nome di “Resoconto-Programma” ed è un’attenta ricostruzione di tutto il suo cammino fatta al vescovo di Como mons. Pietro Carsana. Cosa era successo?
Don Luigi era a Pianello già da oltre tre anni. Erano abbastanza superate le noie e le relative chiacchiere che giravano per il famoso libro scritto negli anni di Savogno, per la partenza dalla Diocesi e per le vicende del convitto di Traona. Le autorità civili tacevano perchè la Curia, prudentemente, aveva destinato don Guanella fuori della provincia di Sondrio, mettendolo in quella di Como, per cui carabinieri diversi, prefetto diverso, altro pretore, uffici di riferimento totalmente nuovi.
Nel frattempo, altre consorelle si erano aggiunte al gruppo iniziale delle orsoline del Coppini e molte postulanti bussavano per entrare. La Casa di Camlago cominciava ad essere piccola, per cui si faceva spazio in tutti il desiderio di crescere e sviluppare l’opera.
Don Guanella ha molte idee e ne parla coi suoi amici preti, specie col parroco di Traona, don Silvestri, suo compagno di seminario che gli scrive agli inizi di Marzo 1885, placando gli entusiasmi del nostro e ridimensionandoli. Probabilmente vi era anche l’idea di tornare a Traona, nel famoso convento di San Francesco, che era ancora proprietà di don Guanella, sebbene in affitto al Comune; tra l’altro don Silvestri fremeva dal desiderio di lasciare la parrocchia, come poi avvenne l’anno successivo, quando fu destinato a Rovellasca, a oltre 100 km di distanza da Traona.
Su suggerimento del Silvestri, che lo invitava sempre a cautela, don Luigi chiese udienza al vescovo, che lo ricevette il Giovedì 12 Marzo 1885 e ascoltò i suoi progetti. A fine udienza gli chiese di metter per iscritto il suo programma e don Guanella elabora un documento prezioso il giovedì successivo, 19 Marzo, proprio nel giorno di San Giuseppe.
Ragguaglia il Vescovo circa la crescita della Casa di Pianello, accenna all’antica volontà del compianto don Coppini di trasferire l’opera in qualche centro maggiore, esprime il suo desiderio di portarsi a Como o in qualche nucleo importante di Valtellina per aprire una casa sullo stile del Cottolengo e aggiunge: “Ma le suore vorrebbero che io ne assumessi la direzione”. Quindi fa una sintesi del suo percorso fino a quel momento, perchè il Vescovo abbia tutti gli elementi in mano per poter decidere e alle sue mani si affida, con la buona spinta di San Giuseppe.
San Giuseppe a Como (1886)
Nella Casa Madre di Como San Giuseppe prende subito il suo posto come protettore speciale.
Già nella prima organizzazione della Casa e nella struttura interna dei due nascenti istituti, il Fondatore stabilisce l’esistenza di tre famiglie dedicate rispettivamente al Sacro Cuore, all’Immacolata e a San Giuseppe: i Figli e le Figlie del Sacro Cuore sono le famiglie indicate per i soggetti più ferventi e da avviare alla direzione delle opere; i Figli e le Figlie dell’Immacolata sono coloro che nella casa “fanno più da Marta che da Maria”, per usare le parole di don Guanella, cioè quelli addetti ai servizi più materiali; i Figli e le Figlie di San Giuseppe sono dedicati all’assistenza degli anziani, che il Fondatore a più riprese chiama “vecchioni”. Affiora qui la relazione San Giuseppe-anziani che poi si fisserà per sempre e che diverrà paradigmatica nella nostra tradizione.
San Giuseppe a Belgioioso (1895)
Nel 1890 don Guanella aveva inviato Suor Luigia Delpini a questuare per i paesi lombardi e ci si era imbattuti, nel pavese, col buon don Angelo Scotti, parroco di Belgioioso. Qualche anno più tardi costui addivenne a un accordo col Fondatore: voleva che sorgessero in paese delle opere parrocchiali per l’infanzia e per gli anziani. Vi erano due case di proprietà dei Conti melzi D’Eril, a pochi metri dalla Chiesa parrocchiale; con l’aiuto del Parroco e del Vescovo mons. Agostino Riboldi si poterono acquistare e adattare. Erano case dove presumibilmente aveva soggiornato Giuseppe Garibaldi, il famoso generale e patriota, detto “eroe dei due mondi”.
Nel 1895 il Fondatore vi avviava la Pia Casa San Giuseppe, così un Giuseppe ancora più glorioso diventava titolare di quegli edifici.
San Giuseppe a Roma, sul Monte Mario (1903)
Il 4 Ottobre 1903, dopo molte ricerche e tentativi, finalmente i figli di don Guanella mettono piede a Roma, assumendo la responsabilità della Colonia agricola San Giuseppe che si trovava su Via della Balduina, in zona Monte Mario. Subentrano ai figli di don Orione che lasciano l’opera ai nostri.
Che cosa era la Colonia San Giuseppe?
Nel 1901 la Curia romana aveva risposto alla proposta educativa di papa Leone XIII che chiedeva di salvare tanta gioventù pericolante attraverso il ritorno all’agricoltura con metodi innovativi: il luogo lo metteva a disposizione il Capitolo dei Canonici di San Pietro acquistando un terreno di 27 ettari sul Monte Mario e costituendo allo scopo una Commissione detta ‘Opera San Giuseppe’ con a capo mons. Radini Tedeschi e mons. Salvatore Talamo; i giovani li avrebbe forniti e sovvenzionati l’Opera per la Preservazione della Fede nata per fare fronte al dilagare del protestantesimo. Attraverso la raccolta dei Rifiuti e degli stracci, che allora fruttava circa 7000 lire l’anno, si sarebbe ulteriormente sovvenzionata la Colonia che, in un primo momento, era stata affidata agli Eremiti di don Orione.
La Congregazione orionina, a quel tempo, muoveva ancora i primi passi, tra mille stenti di personale e di soldi e già impegnata su più fronti col Vaticano: nel 1900 aveva preso in gestione la Colonia agricola della Petrara, nel viterbese e nel 1901 riceveva appunto da mons. Radini la Colonia di San Giuseppe sul Monte Mario. Come se non bastasse, a distanza di pochi mesi anche mons. Misciattelli, che era cameriere e segretario di Papa Leone XIII, aveva acquistato il terreno attiguo alla Colonia San Giuseppe con relativa Villa, intestandola a Santa Maria del Perpetuo Soccorso e aveva voluto affidarne la conduzione allo stesso don Orione, essendo quest’altra Colonia confinante con la prima. Quindi tre Colonie in poco tempo per gli orionini, con poca gente e molto disorganizzata.
Iniziarono problemi a catena per varie ragioni: l’orionino don Albera, allora direttore delle Colonie romane, viveva un momento di contestazione sottile e di eccessiva autonomia nei confronti del suo fondatore; il vescovo di Tortona, essendo allora la Congregazione di diritto diocesano, non accettava più che don Orione conducesse le case coi chierici e li richiamò tutti nel suo Seminario; gli Eremiti orionini, nati per la preghiera erano di fatto massacrati da un lavoro estenuante con mezzi precari e poca esperienza; la coltivazione dei campi che doveva essere un mezzo era diventato un fine. Ci si aggiunse un bell’incendio il 16 febbraio 1903 che rischiò di devastare la Colonia.
Risultati: mons. Radini infuriato per la conduzione trascurata della Colonia San Giuseppe, mons. Misciattelli urtato per la scarsa resa economica della Colonia Santa Maria, don Orione scoraggiato perché gli arrivavano colpi da ogni lato. Per attutire le tensioni e dare tranquillità si vide costretto a scendere di persona e fissare la sua residenza sul Monte Mario nel Giugno 1903, pochi giorni dopo aver ricevuto da mons. Radini una durissima lettera listata a lutto: “Il Signore ci aperse una nuova via”. Praticamente era il benservito, doveva lasciare la Colonia, visto che nel frattempo i curiali di Roma stavano prendendo accordi con don Guanella.
Presto il nostro Fondatore si sarebbe reso conto di quante sofferenze si era caricato l’amico don Orione, perché si troverà con gli stessi problemi e la stessa solitudine. Ma con l’arrivo alla Colonia di Monte Mario era iniziata la nostra stagione romana. Sarà una stagione sofferta che chiederà anche il sacrificio di un trapianto, all’indomani della morte del Fondatore, per dare vita a quel gioiello che è l’Opera di Via Aurelia Antica, tra le più emblematiche di tutta l’Opera di don Guanella nel mondo. Certamente quella che le ha dato fama mondiale.
Il marchio di fabbrica con cui si iniziava nella Capitale della cristianità era quello di sempre, alla poveraccia: anzi questa volta un po’ peggio…visto che a mantenere l’opera guanelliana ci pensavano i robivecchi di Roma coi loro stracci. E San Giuseppe, ovviamente.
San Giuseppe a Roma, in San Pancrazio (1907)
Dopo i Servi della Carità, arrivavano a Roma anche le Figlie di Santa Maria della Provvidenza: il 2 gennaio 1904 prendevano dimora nella sede dell’Accademia letteraria dell’Arcadia, dietro la Chiesa di San Pietro in Montorio, sul Gianicolo della Città Eterna. Pagando l’affitto, ovviamente.
Era un palazzo nobile e artistico, ma già in lento disfacimento e vi entrarono le prime quattro suore con le prime sei bisognose. Con loro c’era il buon Tonio, un uomo tuttofare della Colonia di Monte Mario: aiutava le suore nell’allestimento del Ricovero e dormiva di notte in quella Villa Montorio che aveva subito molti furti nel tempo in cui era stata senza abitanti.
Furono inizi difficili perché l’opera nuova stentava ad attecchire; il Palazzo degli Arcadi sarebbe stata comunque una sede provvisoria per numerose ragioni, ma soprattutto -come scriveva il guanelliano don Cugnasca in una delle prime Storie della Fondazione- “perché le opere della Provvidenza per prosperare hanno bisogno di casa propria indipendente”. Di fatto nel dicembre 1905 don Guanella avvisava mons. Dante Bartolini, presidente degli Arcadi, che a fine 1906 sarebbe scaduto il triennio di affitto e che non intendeva rinnovarlo, difatti qualche mese prima aveva iniziato a cercare una casa da acquistare per le sue suore.
Una Villa come quella degli Arcadi, con quegli addentellati di nobiltà ricca, strideva con una zona come quella del Montorio allora appartenente alla Parrocchia trasteverina di Santa Dorotea pullulante di miserie di ogni tipo.
Per don Luigi strideva anche con la povertà sobria e meravigliosa delle sue Suore; gli ambienti per lui dovevano aiutare a comunicare lo scopo; le suore erano nel posto sbagliato e non sarebbero rimaste a lungo lì.
Nei primi mesi del 1907, finalmente, acquista l’ex convento carmelitano di San Pancrazio e qual’è la sua prima preoccupazione? San Giuseppe.
Deve installare anche in quella nuova fondazione il culto al suo santo preferito, un antico voto lo lega e la loro trentennale intesa non si è mai incrinata finora.
Ordina due statue di San Giuseppe, una per la Colonia e l’altra per questa nuova sede delle suore; sarebbero state benedette il giorno del Patrocinio del Santo che quell’anno cadeva la domenica 21 Aprile.
San Giuseppe a Roma, fuori Porta Trionfale (1908)
Ma la partita con San Giuseppe è tutta da giocare per don Guanella.
Lui, costruttore di Chiese nuove e restauratore di chiese in rovina, decide di dare fondo alle sue risorse per un Tempio a San Giuseppe nel cuore di Roma. Lo aiuterà il Papa, che di Giuseppe porta il nome e ne è fervente devoto.
Come avvenne la fondazione di San Giuseppe fuori Porta Trionfale.
“L’uomo si agita e Dio lo conduce”, avrebbe detto don Guanella nella sua autobiografia, qualche anno più tardi, per dire che le cose spesso non vanno come uno vuole, ma come dispone la Provvidenza.
Si doveva arrivare a Porta Trionfale qualche anno prima, prima di mettere piede alla Colonia di Monte Mario, perchè fin dai suoi primi sondaggi su Roma don Guanella cercava un luogo per qualche opera che fosse del tutto sua. Non predeva di dover rilevare l’opera di altri e men che meno di subentrare a don Orione!
I suoi giri di perlustrazione erano iniziati in quei sei giorni che precedettero il viaggio in Terra Santa, nel 1902; don Guanella era sceso a Roma con il chiaro intento di affittare o acquistare qualcosa. Lì si sarebbero in seguito sviluppate le sue opere romane. Ne scriveva da Milano l’8 settembre all’amico don Baroni nel Veneto: “A Roma dimoro alcuni giorni per scorgere se la Divina Provvidenza aiuta per l’impianto di una casetta nella capitale del mondo dalla quale parte ogni benedizione sicut in coelo et in terra”.
Partì il 9 settembre da Milano e si fermò a Bologna per riunire alcuni amici della cerchia dei telegrafisti sul suo progetto del Faro in onore di Volta; ne approfittò per fare visita a mons. Respighi, cardinale vicario di Roma che in quei giorni era in vacanza nella sua villa bolognese di Ceretolo. Un incontro breve, ma utile per i suggerimenti ricevuti su come muoversi in Roma.
Finalmente l’11 settembre don Luigi mette piede nell’alma Città e inizia i suoi giri; le prospettive che gli si aprono sono diverse, tutte interessanti, ma nessuna decisiva. Non gli piacque la proposta di Respighi sulla Chiesa degli Angeli Custodi in Via del Tritone, che fu poi demolita negli anni ’30; così pure il terreno a mezzo fabbricato propostogli dai Redentoristi che officiavano da quattro anni nella Chiesa romana di San Gioacchino al quartiere Prati; anche un’agenzia gli fece vedere nella stessa zona un terreno con villino, ma nulla… Una visita agli amici salesiani di Castro Pretorio, oggi via Marsala, lo mise in contatto con don Arturo Conelli, milanese, appena nominato ispettore dei salesiani di Marche-Umbria-Lazio: da lui venne a sapere delle occasioni varie offerte dalla Banca d’Italia, impegnata nella vendita di appezzamenti nella Capitale.
Il primo terreno che don Luigi vide, accompagnato da don Conelli, fu un lotto interessante nella zona di San Lorenzo, precisamente in Via dei Marsi al numero 58: un terreno con vecchi stabili malmessi che il proprietario aveva prima affittato al Ministero dell’interno per realizzarvi le ‘Carceri di transito’, poi dato in uso alle Suore Ausiliatrici del Purgatorio che vi tenevano un’opera per i fanciulli abbandonati. Poi ne era venuta in possesso la Banca d’Italia e don Guanella ne scrive il suo apprezzamento a suor Marcellina il 15 di settembre “mi soddisfa... Par che si possa avere per 10 o poco più mila lire. Domani mi reco alla Banca d'Italia e posdomani pure… Pregate. Vedeste che Patagonia in quella regione che è poco scosta da San Giovanni Laterano, dal Colosseo da Santa Maria Maggiore. Dite a Don Filippo che se ne consoli. Stasera s'avessi avuto un asinello carico di immagini mi faceva amici centinaia di fanciulli seminudi e derelitti”.
Questo era stato il suo primo sguardo sulla capitale: “centinaia di fanciulli seminudi e derelitti”. L’educazione della gioventù era stata la sua passione di prete venticinquenne, a Savogno; poi l’aveva ritrovata a Torino e a Trinità di Mondovì, nei cortili salesiani; si era affannato per aprire una scuola nella sua Valle e a Traona vi era riuscito, dopo molti contrasti, ma fu il dolore tra i più grandi della sua esperienza umana. Ora la Capitale d’Italia e della cristianità lo chiamava lì. Lui lo sentiva. Vi sognava avventura, opportunità immense, imprese al limite delle possibilità: non a caso l’aveva chiamata ‘Patagonia’. Ma San Lorenzo non era per lui.
La Provvidenza volle che finissimo alla Colonia agricola di San Giuseppe degli Stracciaroli, sul Monte Mario, e di lì don Guanella avrebbe mutato il suo punto d’osservazione sulla Capitale, segnando per sempre la zona geografica della missione dei suoi, quasi totalmente dispiegata in quel lembo di Roma Ovest dove sarebbero sorte più tardi le opere di San Pancrazio al Gianicolo, della Val d’Inferno, di Via Aurelia, della Nocetta, di Via Portuense.
E del Trionfale, appunto.
In realtà passarono ben sei anni prima che don Luigi riaprisse le trattative con la Banca d’Italia per l’acquisto, questa volta, di un grosso lotto dell’ex proprietà del prof. Giuseppe Cugnoni, in tutt’altra zona rispetto a San Lorenzo: 7400 mq di terreno a continuazione delle vie Santamaura e Tunisi, a confine con l’allora Vicolo della Balduina, fuori dalla cinta daziaria.
Negli anni della febbre edilizia, 1883-1888, quella zona era esplosa demograficamente: forti emigrazioni regionali soprattutto dalla Toscana, dalla Campania e dall’Emilia avevano invaso quei campi extramurari dell’urbe.
Un gregge senza pastore. Don Guanella ne fece la sua casa.
E venne il giorno di comprare. Era il 1908, precisamente Giovedì 30 Gennaio. Don Guanella usciva da una delle tante udienze private con il Papa che aveva incontrato solo in quel mese ben quattro volte. Pio X accettava l’intestazione della Chiesa dedicata al santo di cui portava il nome; così, lo stesso giorno in cui il Vicario di Cristo aveva sciolto le sue riserve con lui, don Guanella rompeva ogni indugio con la Banca d’Italia: “Il sottoscritto sacerdote Luigi Guanella, residente a Roma, in Via Aurelia, Basilica San Pancrazio, fa domanda a codesta Spettabile Direzione per l’acquisto di terreno fuori Dazio di Via Trionfale…”.
Era un anno durissimo per don Guanella, alle prese con la questione intricata dell’approvazione delle due Congregazioni; tra l’altro c’era cantiere ovunque: ben quattro chiese tutte in costruzione a Vicosoprano in Val Bregaglia, a Roveredo in Svizzera, a Pianello Lario e ora anche la Basilica romana all’orizzonte. Don Luigi si fermò a Roma tutto gennaio e tutto Febbraio, per più di 50 giorni, con l’impegno di firmare l’acquisto e porre in marcia la nuova opera.
Ma doveva tornare a Como perché bisognava prima che il Santo Padre si intestasse la proprietà: lo avrebbe fatto di lì a poco attraverso il procuratore della Santa Sede, l’avvocato Patriarca. Don Guanella doveva anche preparare i progetti da sottoporre all’architetto Aristide Leonori; aveva in mente due modelli precisi: la Chiesa di Sant’Antonio a Porta Volta in Milano, costruita dai suoi amici Francescani, che a sua volta era copia della Chiesa di San Salvatore a Monte delle Croci in Firenze.
Scese di nuovo a Maggio nella capitale, perché sperava nella posa della prima pietra, ma erano nati problemi perché la Banca gli aveva venduto un terreno su cui insistevano oltre 30 famiglie dentro baracche abusive che non volevano sloggiare; tanto meno don Guanella si sarebbe mai permesso di cacciarle, così dovette farlo la Banca e la trattativa fu molto lunga soprattutto con una certa Maria Bianconi che diede filo da torcere per più di due anni.
Di nuovo venne a Roma a fine agosto con l’assillo di iniziare la Chiesa, ma complicazioni senza fine… che ormai lo vedevano corazzato; chiamava a Roma don Bruschi scrivendogli: “Portati qua, ma vieni con fermo coraggio e con corredo di molta pazienza, e rifletti tra via che le fondazioni costano sudor di sangue e tanto saran ferme quanto più son combattute”. Era la sua nozione riassuntiva di tante battaglie: più ci stai male, più farà bene. A tutto.
Ancora una volta risalì triste a Como, ma in ottobre ricevette da Roma una notizia tanto sognata: le sue Suore erano state riconosciute e approvate come Congregazione. Una conferma che non fu giuridica, ma esistenziale perché sentiva che Dio era con lui e la Chiesa ne sigillava la certezza.
A Roma arrivarono per la fondazione del Trionfale le prime Figlie di Santa Maria della Provvidenza e giacché era la Basilica del Papa, bisognava impegnarci le migliori: la scelta cadde su suor Maria Landoni e suor Paolina Bertani, entrambe lombarde, entrambe trentenni; avevano tutto quello che serviva per dare buone radici alla pianticella: fede, età, spirito e grinta.
Il 16 Novembre 1908 si sarebbe dovuto inaugurare una Cappella provvisoria, ma si dovette rimandare per via degli abusivi, molti dei quali sloggiarono solo a Dicembre così che i nostri poterono iniziare ad adattare la stalla, il fienile e un ripostiglio che stavano davanti alle baracche: dovevano approntare una Cappella momentanea, che fu pronta a Marzo 1909 e la gente iniziò a chiamarla ‘Basilichetta’, quindi sarebbero venuti anche l’asilo infantile e l’oratorio festivo, la posa della prima pietra e l’avvio dei lavori.
Al momento della prima Messa di don Guanella nella ‘Basilichetta’ manca il campanello da suonare alla consacrazione; unica possibilità la vicina scuderia e un animale consenziente. Si ripeteva l’incanto della notte di Betlemme, quando non c’era niente e c’era tutto.
Ormai la Chiesa romana era croce e delizia di don Luigi che la chiamava “la piccola cattedrale”; in una lettera a don Costantino Guanella, suo nipote, scriveva: “Volgi spesso uno guardo pietoso ai nostri cari morti e pensiamo che abbiamo a morir tutti, ed io presto perché sono vecchio ormai, ma prima vorrei fare la Chiesa e Casa desiderati tanto dal Santo Padre in Via Trionfale”.
Morire sì, ma prima…San Giuseppe!
Quando don Guanella si accinse a costruire la Chiesa del Trionfale già conosceva Roma da oltre vent’anni e la vedeva ogni volta più grande, più popolata; allo stesso tempo gli appariva sempre più povera e allo sbando, culturalmente, socialmente e anche religiosamente.
Di fatto se all’indomani della sua proclamazione a Capitale contava 244.000 abitanti, negli anni in cui acquista il terreno ai Prati di Castello, la popolazione dell’urbe è già più che raddoppiata fino ai 532.000. Aumento dovuto alla natalità e all’immigrazione: da tutte le regioni si puntava a Roma e arrivavano funzionari, impiegati, muratori, fornai, autisti, commercianti; ma anche gli uomini della campagna tentavano il salto, il colpo di fortuna. Non mancavano anche i nobili, i benestanti, i professionisti sui quali il richiamo della ‘capitale’ esercitava una forte suggestione.
Si parla di ‘febbre edilizia’ in tutti i libri di storia: uno degli affari più redditizi del nuovo Regno d’Italia fu certamente quello di ‘ingrandire Roma’ e la fisionomia dell’urbe cambiò molto al di là di ogni previsione; nuovi quartieri sorsero in pochi anni, spesso privi di servizi. Ai 17 quartieri segnalati nel censimento del 1901 se ne aggiunsero in quegli anni altri 15, tra cui il Trionfale, che di lì a poco avrebbero assorbito tutto lo sviluppo della città. Economicamente Roma si sviluppò in modo anomalo perché mentre tutte le città d’Europa divennero grandi grazie all’industrializzazione, Roma ne restò sempre carente; si abbandonava l’agricoltura e ci si metteva nei campi del commercio, dell’attività di accoglienza dei turisti e dei pellegrini, nel piccolo artigianato, negli ospedali, nelle concerie e soprattutto nella macchina amministrativa.
La situazione abitativa era precaria; immigrati delle varie regioni vivevano per lo più in baracche o in case popolari, non meno di 12 persone di più famiglie riunite in case di magari tre stanze. Case senz’ordine, umide, senza luce e senza aria, su strade strette, non ancora selciate, piene di fango.
Lavoravano gli uomini e anche le donne, con conseguenti problemi di moralità e di scompagine delle famiglie; bambini lasciati sulle strade, anziani trascurati, disabili vaganti e fatti scherno dei piccoli bulli o degli ubriachi. Sì, uno dei problemi più consistenti era l’alcool: il vino rappresentava un simbolo. Chi beveva sarebbe stato più forte ad affrontare le prove della vita, donne e bambini compresi e l’alcoolismo era favorito dalla denutrizione e dalla malnutrizione.
Qualche anno prima, nel 1904, il Papa Pio X aveva indetto la Visita Pastorale alla città, afflitta dal male della massoneria infiltrata nelle pubbliche amministrazioni, servita da un clero scadente e in un fermento ingovernabile di presenze, di arrivi, di partenze. C’era da riprendere in mano la predicazione e la catechesi molto trascurate e da ridare un’anima ad una pastorale sacramentale molto sciatta. La città fu riorganizzata attraverso una vera rivoluzione: si soppressero 15 parrocchie del centro storico e se ne crearono 16 nella cinta extra-daziaria. Il numero rimaneva quasi invariato, da 58 a 59, ma nella sostanza tutto cambiava: con lungimiranza Pio X investiva personale e risorse economiche nella periferia che era quasi terra di missione.
Tra le nuove Parrocchie sarebbe stata annoverata anche quella di San Giuseppe a Porta Trionfale in cui sarebbero state trasferite le rendite dell’ex parrocchia di San Marcello, soppressa.
Don Guanella, installato a Roma, poteva finalmente a mantenere la sua promessa: costruire un Tempio allo Sposo di Maria, anzi un tempio al suo Transito. Sbagliano coloro che sorvolano su questo particolare, perchè lo stesso fondatore voleva che il titolo fosse Chiesa del Transito di San Giuseppe, per cogliere, della vita del Santo Patriarca il mistero della sua morte, dal quale svilupperà il suo ultimo dono d’more alla Chiesa e alla nostra Famiglia guanelliana: la Pia Unione del Transito di San Giuseppe con la Santa Crociata di preghiera per i moribondi.
Arrivò il giorno fatidico della posa della prima pietra per il suo San Giuseppe, la domenica 6 Giugno del 1909. Lasciamone il racconto al Bollettino dell’Opera “La divina Provvidenza”:
“La cerimonia, come annunziammo, ebbe luogo ieri sera domenica 6 Giugno alle 18,30. Molta folla era radunata nel vasto prato che circonda il padiglione provvisorio, e nell’attesa era rallegrata dallo scelto programma eseguito dal concerto di Vigna Pia. Poco dopo le 18 giunsero il cardinal Cassetta che doveva benedire la pietra, mons. O’Connel, arcivescovo di Boston, padrino della cerimonia e mons. Faberi segretario del Vicariato, in rappresentanza del Cardinal Vicario. Gli alunni dell’almo Collegio Capranica, diretti dal cerimoniere pontificio mons. Carinci, servivano alla cerimonia.
Erano pure presenti mons. Valbonesi vescovo titolare di Menfi, mons. Caccia, deputato del comitato delle Signore per l’ospizio dei deficienti di San Pancrazio, mons. Bianchi, il conte Macchi, mons. Respighi, mons. Giobbe, mons. Bisciotti, mons. Vattano, mons. Lazzeri, il parroco del Rosario, il Rev. Fantini, il prof. Carozzi, diversi sacerdoti Servi della Carità in rappresentanza delle Case di Como e di Milano, e molti altri distinti signori. Il Cardinale rivestì i sacri paramenti nella cappella e quindi si avviò processionalmente verso il luogo stabilito per la posa della pietra; ivi era preparato il grosso blocco di travertino che doveva essere benedetto. Dopo le prime preci venne firmata dal Cardinale e dagli altri prelati presenti la pergamena, che venne poi racchiusa insieme ad alcune medaglie in una cassetta di piombo che venne poi calata nell’apposito scavo praticato dentro la pietra. Quindi il Cardinale stesso chiuse con un po’ di gesso l’apertura dello scavo, segnò le croci sulla superficie superiore e sulle quattro laterali della pietra, la benedisse e si avviò processionalmente a fare il giro tracciato per le fondamenta, mentre gli operai agli ordini dell’ing. Aristide Leonori, coadiuvati dal fratello Pio, calavano il pesante blocco di marmo nella fossa a tal uopo scavato e la ricoprivano tosto con calce. Terminata la processione, il Cardinale tornò al luogo della benedizione e, dopo recitate altre preghiere e cantato l’inno «Veni Creator», fece ritorno alla Cappella dove impartiva la benedizione al popolo che la gremiva.
La cerimonia, favorita dal tempo bellissimo e non troppo caldo, non poteva meglio riuscire. Il popolo festante attese all’uscita il cardinale e l’arcivescovo di Boston e li salutò con applausi.
Ora ci auguriamo che presto la chiesa di San Giuseppe possa sorgere nelle eleganti linee nelle quali l’ha disegnata il cavalier Leonori, che ha messo in quest’opera non solo tutto il suo valore d’artista, ma anche tutto lo slancio del suo spirito di fede e di carità, e che l’opera audace intrapresa da don Guanella col concorso dei buoni, ottenga generosa corrispondenza, e la carità cristiana abbia qui in Roma col tempio di San Giuseppe al quartiere Trionfale una nuova solenne affermazione.”
E la Chiesa sorse, secondo i disegni di Aristide Leonori, con le superbe colonne di Baveno, con le maestose porte che furono del Duomo di Milano, con le decorazioni necessarie. Tre anni di lavoro e di affanni ma San Giuseppe aveva la sua Chiesa nella capitale. Veniva inaugurata il 19 marzo del 1912.
San Giuseppe era stato onorato come promesso, nel lontano 1875, dal giovane prete Guanella, allora residente nell’oratorio di Valdocco.
“In questo momento ho tutto il bisogno che San Giuseppe mi aiuti in certe imprese avviate, dalle quali sarà per dipendere la destinazione della mia vita e la salvezza di molte anime. Mi avvalori il Santo Patrono ed io mi assumo di pubblicare per tutto le sue lodi.”
Le aveva davvero pubblicate dovunque le lodi del suo San Giuseppe.
Il piccolo montanaro fu sempre un uomo di parola.
padre Fabio Pallotta, guanelliano
Santiago de Compostela, 19 marzo 2020
150º della proclamazione di san Giuseppe a Patrono della Chiesa
AUGURI DEL SUPERIORE GENERALE DELL'OPERA DON GUANELLA, DON UMBERTO BRUGNONI
"Un saluto affettuoso a tutti. Coraggio!
Nella Festa di san Giuseppe vi giunga dal Consiglio generale un incoraggiamento che trae forza e verità dalla protezione sicura del santo Patrono della Chiesa e della nostra amata famiglia guanelliana. Stiamo uniti nella preghiera che "salverà il mondo". In attesa di vivere la Risurrezione del Signore e la liberazione da questa piaga che infesta il nostro mondo, un fraterno saluto e augurio a tutti specie ai malati.
Vi invito a pregare il Santo Rosario che la CEI ha invitato a recitare questa sera alle ore 21.00, nella Festa di san Giuseppe, in tutte le case d'Italia. Seguite da TV2000.
Sicuramente molti già sapranno che il Rosario viene trasmesso dalla nostra Basilica di San Giuseppe al Trionfale. Coinvolgete anche altri nella convinzione che sarà la preghiera, il ritornare dell'uomo a Dio che ci libererà da tutti i mali. Avanti con coraggio e tanta prudenza. Con affetto fraterno per tutti. Ciao!"
Don Umberto e il Consiglio generale dei SdC
AUGURI DAL SUPERIORE PROVINCIALE DELLA PROVINCIA ROMANA SAN GIUSEPPE, DON ALESSANDRO ALLEGRA
Auguro a tutti voi di sentirvi – oggi più che mai – custoditi da San Giuseppe. Celebriamone la ricorrenza della solennità con cuore aperto alla fede: egli intercederà presso Dio ristoro per le nostre fatiche odierne e sostegno nella debolezza e nella vulnerabilità. Invochiamolo con amore e devozione, ponendo sotto il suo manto le nostre Comunità e le nostre Opere, specialmente tutti coloro che in esse continuano a servire i nostri ospiti nella dedizione coraggiosa, professionale e solidale. Poniamo sotto il suo manto anche le nostre famiglie e i nostri affetti più cari. E affidiamogli gli ammalati, le loro famiglie, i medici, gli operatori sanitari, i ricercatori scientifici e coloro che stanno consentendo quel minimo e necessario prosieguo delle attività essenziali. San Giuseppe, in tutti noi, riaccenda la speranza cristiana (qualora dovesse essercene bisogno) ed interceda la liberazione dalla pandemia che ci sta colpendo.
Nel giorno della sua solennità, alle ore 21, preghiamo insieme il santo Rosario, in unione spirituale anche con le Comunità della “Provincia Sacro Cuore” e con la Chiesa in Italia, ed affidiamoci alla paternità di San Giuseppe e alla protezione della Madre di Dio. Vi allego il testo preparato dalla CEI. I vescovi italiani, per questo momento di preghiera, suggeriscono di esporre alle finestre un drappo bianco o una candela. Il Rosario sarà trasmesso, su TV 2000, dalla Basilica di San Giuseppe al Trionfale, dove i festeggiamenti avrebbero dovuto ricordare anche i cinquant’anni dalla sua elevazione a Basilica minore e il centocinquantesimo anniversario della proclamazione di San Giuseppe quale Patrono della Chiesa universale.
Don Alessandro Allegra
AUGURI DAL SUPERIORE PROVINCIALE DELLA DIVINE PROVIDENCE PROVINCE, FATHER RONALD JESIAH - HAPPY FEAST
Dear Confreres, Sisters & Cooperators
Pope Leo XIII prayed to St. Joseph in this way,
Most beloved father, dispel the evil of falsehood and sin...graciously assist us from heaven in our struggle with the powers of darkness...and just as once you saved the Child Jesus from mortal danger, so now defend God’s holy Church from the snares of her enemies and from all adversity.
we are in a moment to seek the true protection of our beloved patron St. Joseph that the whole world would be freed of this dreadful disease. The foster father who led the Holy Family amid difficulties and struggles and saved their precious lives may also dispel this pandemic of Corona Virus from the entire world. While some parts of the world are deeply suffering from this spread of Virus other countries gradually succumb to it, we are at the verge of what to do next.
This year the feast may not have usual decorations, processions and other exterior preparations. Unusually this time we have requested the invitees not to join us for the feast. In most of our communities gatherings of peoples are cancelled. Houses are empty, students are sent home, programs are cancelled.
Let us really invoke the powerful intercession of the silent saint through our silent adoration. Let us feel united with one another, especially with those who are terribly affected. Let us pray for the most affected nations. Let us vouch to be united to one another. Special wishes to all those who bear the name of St. Joseph.
Happy Feast Fr. Ronald J
AUGURI DALLE CONSORELLE FSMP DEL CONSIGLIO GENERALE
"Carissimi Confratelli,
oggi, solennità di S. Giuseppe, vi giunga il nostro sincero augurio; la Chiesa intera onora e celebra il Santo custode di Gesù e Maria, tutta la Famiglia Guanelliana vede in lui un patrono premuroso, ma la vostra Provincia, a lui dedicata, a maggior ragione ne gode i favori e la protezione.
Sull’esempio del Fondatore siate solleciti nel ricorrere a San Giuseppe per ogni necessità spirituale e materiale, così da poter andare incontro, con cuore di padri, alle miserie morali e corporali dei poveri per sollevarli, sostenerli, essere loro vicino e insieme, anche in questi tempi difficili, sentirsi destinatari delle Beatitudini evangeliche per rendere gloria a Dio.
Un abbraccio fraterno.
Le Sorelle del Consiglio Generale"
MISSÃO MANAUS – FAMÍLIA GUANELLIANA
A Família Guanelliana foi convidada pela Arquidiocese de Manaus, no Amazonas, a trabalhar naquela cidade. Após visitas e avaliações houve a aprovação do projeto. Em setembro de 2019, a irmã Sonia Maria Southier, padre Antônio Francisco de Melo Viana e o Sr. Paulo Sivieri estiveram com o arcebispo e, acompanhados pelo padre Gastón Gabriel Aquino, guanelliano, visitaram os vários lugares indicados para avaliar qual serviço assumir. Por fim, o local de-finido foi a Colônia Antonio Aleixo, bairro de muita pobreza tanto material quanto espiritual e, em 4 de março, as Filhas de Santa Maria da Providência enviaram para a missão as irmãs Francisca Auri-ana Rocha, Marli do Carmo Pena e Zulmira Izidoro de Assis que estarão sediadas na comunidade São Francisco de Assis, pertencente à paróquia Nossa Senhora das Graças, na qual o padre Gastón é pároco.
Como a missão é da Família Guanelliana, os Guanellianos Cooperadores logo serão convidados a contribuir com os projetos sociais e de evangelização traçados pelas irmãs.
Nossos agradecimentos às irmãs que aceitaram a missão e nossas orações para que o Senhor Jesus conceda a elas muita luz para colocar naquela comunidade a marca do Carisma de São Luís Guanella, o Apóstolo da Caridade.
Lettera dall’Amazzonia da P. Gaston
Carissimo Don Umberto,
Pace di Cristo a lei! Spero stia bene e con buona salute di anima e corpo. Sono qui a raccontargli alcune importanti novità sulla nostra missione qui in Amazzonia.
1. ALCUNE NOVITA
Dopo il saluto della comunità a don Gianni Poli della diocesi di Trento che per lunghi anni ha operato in questa comunità, ora siamo noi a dare continuità a questa missione caritativo-pastorale nelle periferie di Manaus. Devo ringraziare tanto don Poli. Mi è stato sempre molto vicino. Egli ha fatto di tutto affinché io potessi inserirmi facilmente, potessi essere accolto con affetto, e mi potessi adattare a questa realtà non facile. Pur essendo lui diocesano, ci teneva tanto alla vita comune. Infatti, pregavamo insieme al mattino ogni giorno (ufficio e Lectio) e poi condividevamo i pasti, le riunioni ed altre attività. Lui davvero ama l’Amazzonia ed il suo popolo. In termini economici ha dato un grande impulso a questa zona così povera e marginale.
2. DESCRIZIONE DELLA MISSIONE
Vorrei adesso offrirgli una descrizione più in dettaglio della missione che ci è stata affidata. Alla fine di questo primo anno a contatto diretto con la realtà, non parlo più per “sentito dire” oppure mosso dallo stupore del primo impatto. La mia conoscenza è senz’altro molto più approfondita e vorrei raccontargliela.
a. La parrocchia “Nossa Senhora Das Graças”
La parrocchia “Nossa Senhora das Graças” è inserita in un vasto territorio periferico della città di Manaus nella regione amazzonica del Brasile. Ad essa appartengono due quartieri separati da un lago: d’una parte c’è “La Colonia Antonio Aleixo” e dall’altra il “Bela Vista”. Il primo quartiere compone circa l’80% del territorio parrocchiale. Entrambi sono segnati dall’evidente marginalità, povertà, degrado edilizio, morale e spirituale. Nei due quartieri è concentrata una popolazione di circa 40.000 abitanti. La popolazione parrocchiale ha una sua particolarità rispetto a tutta la città di Manaus: soprattutto gli anziani portano nel corpo segni di mutilazione. C’è chi di più, c’è chi di meno, ma questa situazione si verifica nella maggior parte dei casi. Come mai? La ragione è che alle origini in questo posto ci sono stati molti malati di lebbra.
A livello pastorale la parrocchia è suddivisa in 11 comunità o Cappelle già configurate che in un certo senso rappresentano le frazioni interne ai quartieri. Tuttavia, ci sono almeno altre 5 frazioni (alcune relativamente recenti) a cui non si è ancora arrivati con una presenza caritativo- pastorale stabile: Coração de mãe, Francisca Mendez, Barrio da fé, Buracão, familias ribeirinhas, ecc. Queste sono baraccopoli, luoghi distanti, un po’ isolati e di difficile accesso; alcuni si raggiungono attraversando il lago andando in diverse direzioni. Sono segnati da una forte presenza del narco traffico. Il livello di analfabetismo è anche alto dovuto alla localizzazione territoriale distante dai servizi educativi, i quali di per sé son già pochi in confronto alla crescente richiesta della popolazione. Un altro importantissimo luogo appartenente alla parrocchia che domanda in modo speciale le sue attività caritative e pastorali è la “UPP” (unidade prisional de Puraquequara), cioè il carcere, il quale ha una popolazione di circa 1500 persone.
b. I Gruppi Parrocchiali
La partecipazione dei gruppi in parrocchia è in questo modo: II gruppo più consolidato è quello delle coppie di sposi. Essi sono numerosi e molto coinvolti nella vita della comunità. C’è anche una piccola espressione di pastorale giovanile, ma su questo bisogna investire molto di più. Le strade sono strapiene di giovani e bambini. Purtroppo, non ci sono proposte sportive e ludiche significative per essi. Mancano itinerari formativi, spirituali e catechistici adatti ai giovani. Tante volte la droga è la porta più facile e immediata per tentare di uscire dal senza senso e dalle situazioni di sofferenza e povertà di casa. C’è bisogno urgente di una proposta di pastorale giovanile seria, profonda, ben organizzata e attraente che possa risvegliare i grandi ideali dei giovani nella concretezza della loro realtà, e che mostri loro la bellezza della santità come scelta possibile.
C’è poi la pastorale degli anziani. Un gruppo di circa 40 “nonni” che portano i segnali evidenti della malattia. Specchio della tenerezza di Dio, anch’essi sono tra i nostri prediletti.
Un gruppo di pastorale della salute visita gli ospedali e le case di persone mutilate. Si celebra l’eucaristia una volta a settimana nelle loro case e si festeggiano i compleanni.
c. Strutture Caritative
A livello caritativo, la parrocchia possiede una struttura di accoglienza per bambini in situazione di disagio chiamata “ECAE” (è molto simile al nostro “Techo fraterno”). È divisa in 6 nuclei; albergano in tutto circa 500 bambini in età di scuola elementare, in due turni: mattino e pomeriggio. I nuclei stanno dentro le strutture parrocchiali e ad esse appartengono. Hanno alla guida uno o due educatori a seconda della quantità dei bambini. Il contrato degli educatori è più o meno sullo stile del “servizio civile italiano”. La cosa più interessante è che con questo sistema si offre un aiuto anche a quei ragazzi/e universitari della parrocchia perché possano anch’essi assumere le loro spese di studio.
L’intenzione principale di questo spazio è quella di rafforzare l’acquisizione delle nozioni basiche della scuola elementare, attraverso tecniche didattiche che fanno leva sul proprio coinvolgimento nel processo di apprendimento. Inoltre, si offre ai bambini altri laboratori di buona qualità: musica, arti marziali, informatica, disegno, ecc. L’ECAE si preoccupa anche della nutrizione dei bambini, solo che per adesso riesce ad offrire solo la prima colazione e la merenda. L’iniziativa riesce a sostentarsi grazie alla sponsorizzazione di organizzazioni civili caritative italiane “Aleimar”, americane “Amazon Relieve”, e locali “CSELA”. Tuttavia, la situazione economica non ha raggiunto ancora una stabilità soddisfacente. Vista la necessità nei bambini, l’ideale sarebbe che accanto ad ogni comunità possa nascere uno di questi nuclei, ma per ora siamo solo a metà strada. L’iniziativa comunque è da lodare in tutti i sensi. Sia per la risposta che offre ai bisogni dei bambini e dei giovani, sia per la buona fama che acquista il cattolicesimo in mezzo ad un terreno gremito di sette evangeliche, sia ancora per l’accesso alle famiglie della comunità attraverso i bambini.
Ci sono poi delle strutture caritative appartenenti al comune che aprono le porte ben volentieri all’azione pastorale della chiesa: un ospedale per malati di lebbra, un ospedale di maternità, un pronto soccorso, ed un centro di riabilitazione per bambini handicappati (proprio di fronte alla parrocchia principale). Una casa per buoni figli, dunque, proprio di fronte alla parrocchia!! Come faccio a non pensare che questo posto stava già aspettando noi guanelliani?
3. PROSPETTIVE FUTURE E PRIORITÀ PASTORALI
Pur essendo ancora in fase di osservazione della realtà, già incomincio ad intravedere delle situazioni a cui bisogna dare risposta. Provo a buttare giù alcune idee:
1. I giovani. C’è bisogno urgente di investire mezzi, risorse, strutture, e tempo nell’accoglienza dei giovani. Bisogna disporre tutti i nostri ambienti e renderli attraenti alla gioventù. Dovrebbero nascere in tutte le comunità degli oratori festivi o strutture simili rivolte a favorire lo sviluppo integrale dei giovani.
2. Gli anziani. Ce ne sono tanti dispersi nei quartieri. Non sappiamo ancora quanti ed in quali condizioni. Il loro stato di salute delicato (ed in molti casi aggravato dalla lebbra) chiede a noi di visitarli con più frequenza, portandogli il necessario per una vita degna. La stessa cosa è valida per gli ospedali.
3. Caritas. La parrocchia non ha un’organizzazione di soccorso ai bisogni dei poveri. C’è bisogno di strutturare l’organismo della “charitas” parrocchiale per raccogliere donazioni di ogni genere (soprattutto alimenti e medicinali) e poi distribuirli in modo organizzato.
4. La missione. Ci sono molti territori a cui la nostra parrocchia non riesce ancora ad arrivare con una presenza significativa. Seppur tutta la parrocchia è di condizione precaria in termini economici, questi posti lo sono ancora di più per essere più lontani e di difficile accesso (bisogna attraversare fiumi e laghi).
5. L’educazione. Le strutture educative non riescono a coprire tutte le richieste della popolazione. Non ci sono scuole di arti e mestieri, scuola elementare e Liceo superiore sufficienti. La disoccupazione e la mancanza di mano d’opera qualificata è un problema serio. Bisogna aprire anche dei “nuclei ECAE” nelle comunità dove ancora non ce l’hanno (almeno altri 5), e poi andare laddove non si è ancora arrivati.
Ci sarebbero altre urgenze, soprattutto di carattere spirituale, che non sono messe nell’elenco precedente. Ho fatto uno sforzo di sintesi e priorità. Sono convinto che le iniziative spirituali devono per forza accompagnare lo sviluppo di queste altre.
4. SPAZI GUANELLIANI DI VOLTO AMAZZONICO
Da prete guanelliano, il mio sogno è quello di far crescere la nostra famiglia religiosa in questo posto, e che essa possa svilupparsi e offrire un servizio sempre migliore. Per questo mi trovo a organizzare uno spazio riservato al centro studi guanelliani dell’amazzonia (mi faccia passare la battuta... ma forse potremmo andare a concorrere con altre biblioteche guanelliane dell’America Latina... qual è quella più completa?).
Pian piano vorrei sensibilizzare le comunità sull’importanza delle Cappelle di adorazione “il nostro paradiso in terra”. I poveri di questo posto hanno bisogno di ricevere la “buona notizia guanelliana” della fiducia nella Divina Provvidenza. Di fatto già sto incominciando a proporre la preghiera della nostra “coroncina” (È proprio emozionante pregare attraversando il lago per portare del cibo alle famiglie povere). Insomma, c’è bisogno di un maggior coinvolgimento della parrocchia nelle strutture caritative, bisogna iniziare la promozione e formazione del laicato guanelliano, e poi favorire ancora di più le esperienze di incontro con gli anziani e i buoni figli. Sono attento anche a quei segnali di vocazione ad una speciale consacrazione tra i giovani. Essi sono molto sensibili.
5. CONDIVISIONE DI SENTIMENTI E RICHIESTA
Caro don Umberto, innanzitutto vorrei che sappia che sono ben felice di stare qui. Sono grato a Dio e a lei per avermi permesso questa opportunità. In verità sento che Dio mi ha portato fin qui e nella sua bontà mi ha offerto uno spazio dove poter offrire il mio ministero sacerdotale tra il povero popolo, e soprattutto tra le pecore senza pastore. Mi sentivo chiamato e desideravo questo più di qualsiasi altra cosa. Qui vivo in maniera austera ma dignitosa. Benché la gente del posto sia calorosa, affettuosa e, di una cordialità e rispetto senza paragoni, sono ben consapevole di essere osservato anche dalle organizzazioni mafiose, le quale mi rispettano, ma allo stesso tempo non vogliono lo sviluppo del posto. Abbiamo qui un campo sconfinato di apostolato. Questa realtà è chiaramente guanelliana! ne sono sempre più convinto. Che la nostra realtà parrocchiale sia effettivamente tra le più povere e periferiche lo attesta qualunque persona dell’intera città di Manaus: lo dicono gli stessi sacerdoti, religiosi, laici, credenti e non credenti. Abbiamo detto di sì ad un posto voluto da nessuno. Credo forse radica proprio qui la nostra felicità: noi siamo nati per “quelli di nessuno”.
Non posso nascondergli che vorrei tanto condividere con la nostra famiglia tutta questa meraviglia. Certo che ci vorrebbe qui una nostra comunità religiosa per rispondere in modo più efficace a tutte le sfide; ma non mi spinge a dire questo solo delle ragioni di opportunità o di convenienza, condividere la vita e portare avanti insieme una missione credo sia proprio un mio bisogno vitale. Io sono religioso guanelliano per vocazione. Lo lascio nelle mani del Signore e di voi superiori.
A volte mi chiedo sulla possibilità di aprire l’esperienza a qualche altro fratello nostro per venire qui, magari qualcuno che si senta chiamato a fare un’esperienza di missione tra i poveri. Forse si potrebbe lanciare la proposta a qualcuno che se la senta di venire. Niente di definitivo. Ma stando qui e lavorando insieme si potrebbe valutare meglio questa realtà. Io non voglio convincere nessuno di cose che non ci sono. Non voglio neanche riempirmi la bocca chiedendo di aiutare i poveri se questi non esistono. Per questo vorrei aprire le porte della casa parrocchiale a qualche fratello affinché possa vedere e valutare la realtà. Io non ho bisogno di avere nessun ruolo di responsabilità comunitaria, potrebbe averli lui. Grazie a Dio non ho niente da nascondere e non voglio forzare una decisione, tanto meno vorrei fare dei capricci. L’ideale sarebbe un sacerdote (io dovrei celebrare almeno 6 volte la domenica e altrettanto il sabato, e poi durante la settimana), ma il fatto di stare insieme è già la cosa più importante.
6. ALTRE NOTIZIE, RINGRAZIEMENTI E SALUTO
Questa settimana arriveranno le nostre suore della comunità di São Gabriel da Cachoeira. Vengono ad accompagnarmi nella Messa di accoglienza e si fermano una decina di giorni. Vengono pure i miei genitori. Sono grato a Dio per avere la famiglia in casa e per poter condividere con loro quello che il Signore ci chiede in questa zona.
Suor Maria Eni, provinciale delle suore del Brasile, mi ha scritto dicendomi che alla fine di settembre dovrebbe venire un’altra comitiva a valutare la situazione (un confratello, una suora ed un laico). Essi hanno chiesto di passare anche dalla nostra parrocchia per conoscerla. Io gli ho risposto, come d’accordo con lei don Umberto, che le porte sono sempre aperte a chiunque.
In questo mese di marzo 2020 approderanno qui in Parrocchia in modo stabile tre FSMP che si prenderanno cura dei poveri. Con loro collaboreranno i Guanelliani Cooperatori del Brasile disposti a venire ogni qualvolta ce ne sarà bisogno.
Caro don Umberto, innanzitutto devo dirgli grazie ancora una volta per la fiducia deposta nei miei confronti. Grazie per il suo incoraggiamento ad ogni momento. Grazie al nuovo Consiglio della Provincia Nostra Signora di Guadalupe che presto manderà un altro confratello a collaborare con me. Sono doni così grandi di cui non finirò mai di ringraziare Dio e voi tutti Superiori. Grazie anche per stimolare la nostra congregazione a camminare sui passi della Chiesa che in quest’anno rivolge il suo sguardo con particolare attenzione verso l’Amazzonia. La saluto con grande affetto e gli assicuro la mia preghiera per le sue intenzioni insieme al ricordo del suo nome nella santa Messa accanto alla preghiera per il Santo Padre e i Vescovi. Il Signore renda fecondo ogni suo sforzo.
IN OMNIBUS CHARITAS
P. GASTON G. AQUINO SDC
Il 14 marzo 1949 moriva don Mauro Mastropasqua nella Casa S. Giuseppe di Via Aurelia Antica che quest'anno ricorda il suo centenario
“Nel 1918 don Silvio Vannoni acquista Villa Rossini in Via Aurelia Antica. Nel frattempo si vende Monte Mario e nel 1919 don Giovanni Calvi lascia Monte Mario per portarsi in Via Aurelia Antica. L’arrivo di don Mauro Mastropasqua nel 1922, diede ulteriore impulso alla realizzazione di iniziative tese a promuovere la nascente opera di Via Aurelia. La necessità di edificare un ricovero per vecchi, deficienti ed epilettici venne promossa attraverso la costituzione di un Comitato per la raccolta fondi.
Venne escogitata pure l’ “opera del mattone”, una iniziativa che parte con il plauso del Papa Pio XI e del Cardinale Vicario Pompili, che a tale scopo invierà circolare ai parroci di appoggiare l’iniziativa del mattone. Questa come le tante altre iniziative, promosse, trovarono appoggio nei giornali e l’energico don Mastropasqua fu sempre impegnato a promuovere e sostenere nelle parrocchie romane le erigende opere di ricovero del San Giuseppe, per le quali si pose la prima pietra il 15 giugno 1924” (Nicola Parisi).
Don Mauro Mastropasqua, diede impulso alla crescita della Casa e allo sviluppo dell’opera caritativa a servizio dei buoni figli del Don Guanella di Via Aurelia. Con lui l’Opera don Guanella fu conosciuta in tutta Roma. Fu anche postulatore della causa di Don Guanella dal 1933 al 1949. Fu l'esecutore fedele ed appassionato dei desideri di Don Mazzucchi e della Congregazione per tutto quanto riguardava la Causa di Beatificazione di Don Guanella, una volta che essa fu portata a Roma. I Postulatori che vennero dopo di lui, hanno avuto la fortuna di raccogliere i frutti del suo lavoro.
Attualmente le sue spoglie riposano nella chiesa San Giuseppe in Via Aurelia Antica.
Da Don Fabio Lorenzetti:
" Non venite a trovarci, ma pensateci!
Il don Guanella, un paesotto che al mattino si anima di gente che va e viene: ragazzi che escono dal cancello, operatori che entrano, famiglie, pulmini. Acqua effervescente per tutti!
Da giorni tutta un’altra storia: silenzio assordante, ragazzi ed operatori che mantengono le distanze imbavagliati. “Ma perché? Fino a quando? Cos’è sto ribus? Fattelo spiega’ dalla dottoressa! Chi sta male?”.
Son cambiate le regole di botto. Qualcuno capisce, altri fanno fatica, ma vengono ripresi dai compagni. Nuova organizzazione, manco la messa, qualche preghiera da lontano,una via crucis, il rosario, tutti col proprio gruppo, “tanto il Signore ci sente lo stesso! Speriamo bene!”.
Oggi è l’anniversario dell’ordinazione di don Mauro Mastropasqua, che riposa nella nostra chiesa del S. Giuseppe. Lui, che ne ha passate tante durante la guerra qui in questa casa, chissà cosa avrebbe fatto…
Grazie, don Mauro, perché se siamo qui a lottare, a difenderci, lo dobbiamo tanto a te!"
Caro don Giancarlo,
Arrivederci in cielo.
Ci hai lasciati così in fretta e in un momento difficile per tutti noi tanto da non poterti dare un bacio sulla fronte e una benedizione. Un confratello dell’America Latina mi ha scritto oggi ricordandomi tue parole ripetute in più occasioni: nel mio funerale non parlate, per favore, di me, ma dite solo un breve e semplice pensiero sulla parola di Dio. Don Marco farà certamente questo.
A me allora, a nome di tutti i confratelli che ti hanno conosciuto, stimato e amato il saluto fraterno e grato per quanto di bello e grande ci hai voluto dire con la tua vita semplice, ma sempre disponibile a chi aveva bisogno. Grazie!
In questi giorni, chiusi in casa, abbiamo più tempo per la preghiera, il raccoglimento, il silenzio. Penso che guardando la Parola di Dio di oggi, tu ci possa raccomandare di risentire e meditare più volte le parole del Salmo 104: ricordiamo, Signore, le tue meraviglie! Tu non sei, Signore, il Dio-responsabile del coronavirus, Tu per noi sei il Dio che ci ha liberato dalla schiavitù di Egitto e ci ha portato attraverso il deserto fino alla nuova terra dove scorre latte e miele. Sei il Padre che ci ha amato così tanto da dare il Figlio unigenito, perché se crediamo in Lui avremo la vita eterna.
La schiavitù, la sofferenza, la prova passano presto, ciò che resterà per sempre sarà il tuo eterno amore per noi. Questo non finirà mai e la vita sacerdotale di don Giancarlo ne è una eloquente testimonianza. Lode e onore a te, Signore Gesù!
Riposa nel Risorto caro don Giancarlo; sul cuore di Colui che hai sempre voluto ascoltare, amare e imitare nella tua vita di sacerdote e di guanelliano. Arrivederci in Paradiso!
Como, 13 marzo 2020
Padre Umberto