Domenica 22 ottobre 2017 alle ore 10.00, durante la S. Messa celebrata dal Vescovo di Lugano Mons. Valerio Lazzeri, la statua di don Guanella è stata collocata nella Basilica del S. Cuore a Lugano.
La possibilità di collocare la statua ci fu offerta nel 2011 da parte del vescovo emerito di Lugano, Mons. Piergiacomo Grampa, al termine di una solenne celebrazione di ringraziamento nella Basilica dopo l’evento della canonizzazione di don Guanella. Avuti il parere positivo del Vescovo, il permesso del Consiglio parrocchiale e una valutazione finale positiva da parte della Commissione Diocesana di Arte Sacra, siamo finalmente giunti alla tappa finale del progetto.
La statua è opera dello scultore Nicolas Viry e rappresenta don Guanella con un ragazzo down. Lo scultore l’ha intitolata “Provvidenza”. (da Agenda di Famiglia)
Il 23 Ottobre 2017 alle ore 10.00 presso l'Opera Don Guanella di Napoli si è tenuto l'Open-day dal titolo "Chiesa, giovani e lavoro" del Laboratorio di Pizzaiolo promosso dall-Associazione Guanella-Fernandes. All'evento aperto dal direttore dell'Opera Don Guanella, Don Enzo Bugea Nobile, erano presenti: il promotore del progetto Salvatore Naldi, il Dott. Franco Massi presidente nazionale UNEBA Roma, Don Umberto Brugnoni, vicario generale Opera Don Guanella Roma, i familiari dei ragazzi che frequentano il Laboratorio, i rappresentanti dei Servizi Sociali del territorio, la comunità educativa dell'Opera Don Guanella, i ragazzi impegnati nei progetti di Servizio Civile promossi dall'Opera, tutto lo staff amministrativo e tecnico e i rappresentanti di alcune pizzerie tra le più famose di Napoli e dintorni tra cui l'“Antica Napoli fratelli Zombino” e “Libro’s” di Valentino Libro.
Il promotore del progetto Salvatore Naldi, si è detto fiero della scelta di sostenere tale progetto; in quanto imprenditore comprende bene il valore che può avere una formazione di tale portata per i giovani appartenenti a territori così complessi. Credere nei giovani e nelle loro possibilità è ciò che ha mosso e che ancora muove la sua scelta di appoggiare l'Associazione Guanella-Fernandes in questa impresa. Tale progetto, infatti, rappresenta uno spazio educativo ed un luogo di formazione, di orientamento e di inserimento lavorativo per i giovani partecipanti. I ragazzi coinvolti provengono dai territori di Secondigliano, Scampia, Miano e Chiaiano. Gran parte di essi ha abbandonato la scuola e non possiede nessuna formazione professionale. Spesso le situazioni familiari evidenziano diverse criticità, paradossalmente in linea con una situazione territoriale che non permette loro di trovare un lavoro dignitoso e di conseguenza di potersi creare un futuro. Non è raro che in contesti come questi, molti siano i giovani che entrano nel circuito della criminalità.
In linea con quelle che rappresentano anche le priorità dell'unione Europea, della politica nazionale e regionale, l'Associazione Guanella-Fernandes ogni anno può vantare la formazione di più di 30 giovani tra i 16 e i 23 anni. "Secondo i dati Eurostat resi disponibili a Dicembre 2015 la disoccupazione giovanile in Italia si attesta al 37,9%, un dato in significativo miglioramento rispetto all'anno precedente ( 42,7%, con un picco del 44,2%) ma comunque ancora molto elevato sia in assoluto che in rapporto alla media europea, che è del 19,7%. Questi numeri testimoniano la persistenza di un fenomeno preoccupante, presente in tutta l'Unione Europea, seppure con incidenze molto diverse; sono ben note, infatti, le conseguenze nefaste che la disoccupazione giovanile comporta sotto il profilo economico, sociale e per il benessere generale delle persone. Il fenomeno dei NEET, i giovani che non lavorano, non si formano e non studiano, rappresenta una vera emergenza sociale anche perché un'inattività prolungata e un ingresso ritardato nel mercato del lavoro possono peggiorare significativamente le prospettive per il futuro. Un'elevata disoccupazione giovanile strutturale porta inoltre, al deterioramento del capitale umano del paese e, dunque, ad una riduzione delle future prospettive di crescita." (La disoccupazione giovanile si combatte in Europa, Brando Benifei, 2016) Alla giornata erano presenti anche alcuni dei ragazzi che hanno frequentato il Laboratorio di pizzaiolo e svolto un tirocinio formativo previsto nel programma del Laboratorio stesso. Alcuni di essi, successivamente alla fine del tirocinio sono entrati a far parte dell'organico delle pizzerie che li hanno accolti precedentemente come tirocinanti. Grandi vittorie senza dubbio, quelle raggiunte da questo ambizioso progetto. Allontanare i giovani dal rischio di entrare nei circuiti penali, ridurre le fila dei giovani inoccupati, produrre beneficio sia per le famiglie dei giovani in oggetto (che spesso vertono in situazioni economiche complesse), che per la comunità locale e per la ripresa di zone, che troppo spesso sono menzionate unicamente per rappresentare la parte di Napoli degradata. Questo è il sogno che rincorre ormai da diversi anni l'Associazione Guanella-Fernandes. Questi sono gli obiettivi, che seppur ambiziosi, il direttore Don Enzo Bugea Nobile e la rete di pizzerie, professionisti e collaboratori perseguono tutti i giorni.
Il Dott. Franco Massi presidente nazionale UNEBA Roma, ha tenuto a ricordare che l'Opera Don Guanella Napoli, ha posto l'attenzione e acceso un faro su quella che è l'emergenza minori. A tal proposito ha annunciato che tra il 18 e il 20 Gennaio 2018 a Catania, si terrà un convegno nazionale promosso e voluto vivamente dal coordinamento di Uneba nazionale in particolare quella di Napoli , l'Opera Don Guanella nella sua sede di Napoli e tutti gli enti soci. Tale proposta è nata proprio dall'esigenza di discutere e confrontarsi su quelle che sono le attuali politiche rivolte ai minori, sulle strategie di intervento e le buone pratiche da mettere in atto. "Il lavoro della casa di Napoli, svolto con dedizione e successo, l'attenzione prestata non solo a quella che è la lotta all'evasione scolastica e la prevenzione alle attività illecite, ma anche ad interventi di avvicinamento e avviamento al lavoro per i giovani con minori opportunità, apportano al territorio napoletano un importante contributo in termini di efficacia e prevenzione. Più di tutto, mostrano come sia possibile raggiungere obiettivi concreti e sostenibili, impiegando tutte le risorse e le energie disponibili"
" Fare la pizza, essere un buon pizzaiolo, non è solo una cosa che può portare diletto nei giovani, ma anche e soprattutto può rappresentare una prospettiva di futuro migliore, aprire loro possibilità concrete per un futuro onesto e dignitoso. Importante quanto la preparazione professionale, è la formazione umana e spirituale dei giovani, quella a cui Don Guanella si è dedicato tutta la vita. Sin da giovane si era preoccupato del benessere delle famiglie della sua comunità, recandosi nelle case e prestando molta attenzione alle problematiche sociali di queste ultime. Il suo rapporto con i giovani è una cosa ben nota. Don Guanella credeva nei giovani e nella possibilità di guidarli in un futuro migliore dando loro la possibilità di imparare un mestiere e svolgerlo con passione". Queste le parole di Don Umberto Brugnoni, vicario generale Opera Don Guanella Roma, che si è congratulato per i risultati raggiunti dalla Casa di Napoli.
Da anni l'Opera Don Guanella di Napoli, lavora con dedizione e sforzo a fianco delle istituzioni e della comunità locale, con la missione di dare speranza ad un territorio difficile ed in particolar modo per aiutare i giovani a non arrendersi. Tale impegno è evidenziato non solo dai numeri dei giovani che dopo la partecipazione al Laboratorio hanno trovato lavoro in tale ambito, ma anche dalla lunghissima lista di attesa dei ragazzi che fanno domanda per partecipare al Laboratorio.
Esempi di buone pratiche da portare nel futuro e per il futuro. In un mondo che corre veloce e indifferente, l'Associazione Guanella-Fernandes svolge lo sguardo a chi rimane indietro e ha poche possibilità.
La giornata è proseguita con le dimostrazioni pratiche di quello che hanno imparato i ragazzi in questi mesi: pizze al forno, pizze fritte, pane. Solo alcune delle specialità che hanno preparato i ragazzi affinchè tutti i presenti potessero assaggiarle. Giornata di emozioni e di orgoglio per i nostri giovani, oggi. Questo giorno era un inno a chi non si arrende. A chi non si lascia abbattere dalle difficoltà, ma di queste ne sa fare una risorsa.
“Una società che non offra alle nuove generazioni opportunità di lavoro dignitoso non può dirsi giusta” su queste parole di Papa Francesco, l'Opera Don Guanella continua ad essere a fianco delle nuove generazioni.
Nel 1951 il vescovo dell'Uganda Josef Kiwanuka fu invitato a parlare in Germania, ad Aquisgrana; non conosceva la lingua tedesca e parlò nel suo dialetto africano Bantu ai fedeli ed amici tedeschi. Questi poterono meditare sull'opera che la grazia aveva compiuto, trasformando un piccolo selvaggio negro in figlio di Dio ed apostolo: dalla foresta al seggio episcopale. Quando, alla fine, fu letta una rapida versione del discorso, parecchi notarono che molte loro riflessioni corrispondevano alle idee espresse dal vescovo nella sua difficile lingua. Sulla fine del secolo scorso, un altro vescovo missionario venne a battere alla porta di don Guanella chiedendo ospitalità; avrebbe voluto parlare in cattedrale, ma non gli venne concesso, perché — come gli spiegarono — egli non parlava bene l'italiano e non sarebbe stato capito. Don Luigi Guanella lo accolse con entusiasmo, lo ospitò col massimo decoro che la sua povertà gli concedeva, e lo invitò a parlare ai suoi assistiti sulle missioni, sul regno di Dio. Allora l'opera missionaria non era largamente capita come adesso; anche per molti cristiani era come una lingua così poco chiara, che era meglio non darvi ascolto; don Guanella avrebbe saputo capire, con un po' di buona volontà, anche il dialetto Bantu. In realtà, accanto a una profonda imperiosa vocazione per i poveri e per ogni miseria, sentì sempre una forte vocazione missionaria che lo sollecitò per tutta la vita. In una lettera inviata al suo vescovo, nell'ottobre del 1881 egli affermava: « Già nel Seminario teologico e finché partii per Torino nel 1875 per lo spazio di più che dieci anni, feci istanza a questo Ordinario [cioè al vescovo di Como], perché mi benedicesse per le Missioni Estere. Nel 1878 [...] le esposi che certamente sarei partito per le missioni americane, alle quali m'invitava con tanta forza Don Bosco ». A lui e al compagno Scalabrini, quando avevano chiesto di passare nel Seminario per le Missioni Estere da poco fondato vicino a Milano, il vescovo aveva già risposto che le loro Indie, le loro missioni, erano in Italia. Ma non le dimenticò mai, e cercò di favorirle con ogni mezzo a sua disposizione, desiderò l'amicizia di missionari e ne seguì con ansia l'azione; infine cercò di agire egli stesso. È nota la sua azione per riportare il culto cattolico in alcune vallate protestanti della Svizzera, da secoli chiuse alla nostra religione. Fondò delle cappellanie a Spliigen e Andèer. Quando il vescovo di Coirà gli disse: « Ricordo che erano pochissime le valli della diocesi in cui si celebrasse il rito cattolico, attualmente di valli eretiche senza un sacerdote non abbiamo che la Val Bregaglia », don Guanella chiese: « Permetta a me di fare una prova in quella valle e mi benedica ».Sorsero così le stazioni cattoliche, cioè delle parrocchie in terra di missione, a Promontogno e a Vicosoprano, dove ora è fiorente la vita cattolica. Ormai settantenne, gli restò il coraggio di additare alle sue suore e ai suoi sacerdoti mete nuove per gli emigranti italiani, la cui fede era in pericolo; sognava ancora le missioni. Ma intanto le sue idee si erano ben chiarite, fissandosi in un metodo e in prospettive concordanti con la sua opera di carità. L'Opera Don Guanella ha avuto un largo sviluppo specialmente nell'America meridionale, in regioni dove la fede cattolica è in grave pericolo, e anche in zone, come nel Cile meridionale, che sono ancora di missione, dipendendo dalla Congregazione detta di « Propaganda Fide »: così nel Brasile, Argentina, Paraguay, Cile. Sono sorte seguendo le prospettive e il metodo previsto dal Fondatore: piuttosto che un'opera di prima linea, per così dire, cioè direttamente missionaria, la nostra Opera avrebbe potuto fare molto bene con un'azione ausiliaria, secondo le indicazioni poi date da Benedetto XV nel 1919. Questa idea don Guanella l'ebbe particolarmente chiara, quando tre vescovi dell'Egitto vennero a far visita alla sua colonia agricola di Monte Mario a Roma, nel 1904. Gli manifestarono il desiderio di avere opere simili in Egitto; gli dicevano: la mano pietosa, stesa a molti scismatici indigenti, li avrebbe prima sollevati materialmente e poi li avrebbe portati facilmente all'unità cattolica. « Ed egli sentì riaccendersi il desiderio di correre in aiuto di quei poveri vescovi missionari ». Avrebbe voluto moltiplicare le opere di carità, di assistenza, e ogni forma di aiuto: predicare con l'opera, là dove il missionario porta la parola di Dio. La prospettiva divenne un metodo per le nostre fondazioni; e don Guanella lo volle riassumere così: « Pane e Paradiso ». Così lo aveva trovato nel Vangelo, nell'insegnamento missionario dato da Gesù stesso ai suoi apostoli: « Quando arriverete in una città, curate prima gli ammalati, interessatevi cioè delle miserie umane per sollevarle, e poi annunziate: "È giunto tra voi il regno di Dio" II pane anzitutto, con ogni aiuto materiale che va dall'accogliere un giovane abbandonato, all'assisterlo con amore, istruirlo e dargli un lavoro: è troppo difficile discutere di cose divine con chi è ridotto agli estremi dalla fame, dalla miseria, dalla disperazione; mentre l'offrire una condizione di vita degna dimostra facilmente che davvero lo stimiamo ed è figlio di Dio. L'amore compirà il resto e aprirà quel cuore alla luce della verità. Ausiliari delle missioni in questo senso; ma anche, se occorresse, missionari; in ogni caso portatori ovunque del segno di Cristo: la carità da cui ognuno può capire che è presente Dio; come ancora dice il Vangelo: «Capiranno che siete miei discepoli se vi amerete » (da, "Gli 'Ultimi', i primi della sua missione" - Don Piero Pellegrini)
Les contamos que, con alegría, hemos celebrado la Primera profesión religiosa de Rodrigo Nereu Mazzardo Ribeiro y de Francisco de Assis de Holanda. Nos acompañaron el P. Carlos Blanchoud, el P. Ciro Attanasio, el P.. Valdemar Alves Pereira y el P. Alfonso Martínez como superiores, además de varios cohermanos y cohermanas, cooperadores, algunos familiares y también amigos laicos y de otras familias religiosas con quienes compartimos espacios intercongregacionales de formación. La celebración fue realizada en la Basilica de Nuestra Señora de Luján. Ha sido una ceremonia sencilla y emotiva que concluyó con un almuerzo fraterno y festivo en la casa del Noviciado.
También hicieron su ingreso al Noviciado cinco jóvenes, dos de México y tres de Brasil (Francisco, Javier, Gabriel, Ermeson y Erivan).
Tuvimos la gracia de celebrar la memoria de nuestro Santo Fundador, acompañando a estos jóvenes cohermanos y reavivando el don de nuestra consagración religiosa. Nos sentimos animados por San Luis a continuar haciendo "un poco de bien".
En comunión. P. Sebastián Bente SdC
In don Guanella l'attenzione verso gli handicappati mentali non era sorta da riflessioni di studio o da ricerche su libri, ma dalla condizione di vita in cui andava svolgendo il suo ministero parrocchiale prima e la sua missione di assistenza ai più bisognosi poi. Nelle sue vallate e nel paesi alpini questi poveri erano abbastanza numerosi e sembravano anche di più quando, d'estate, i più abili se ne andavano in gran numero a lavorare sull'alpe o all'estero e questi rimanevano con i più anziani e i bambini nelle case quasi vuote. Giovane prete aveva imparato presto la via di Torino, per accompagnare al Cottolengo qualche giovane in condizioni particolarmente pietose. Poi ebbe modo di raccogliere lui stesso questi handicappati, nelle sue case di Como, Ardenno, Milano, Roveredo in Svizzera. Fratta Polesine, infine a Nuova Olonio. L'apertura della casa di Nuova Olonio, voluta appositamente per questi, segna una svolta importante per le sue opere dedicate agli handicappati. Matura in lui l'intuizione che l'aveva colto in modo un po' vago, vedendo questi giovani ad Ardenno e a Como muoversi tra gli orti, i prati o fra i piccoli allevamenti di animali; osservando le loro reazioni, il loro aprirsi graduale alla conoscenza, ai rapporti, agli interessi, lo sviluppo delle capacità lavorative, comprese di avere tra le mani un mezzo eccellente per influire sulla crescita generale di queste persone. Gli parve chiaro ciò che, in precedenza, per anni non aveva percepito che in modo confuso. Le discussioni avute per anni con amici ed esperti e che gli erano sembrate un po' troppo teoriche e approssimate furono riprese su basi sperimentali e confrontate con la realtà nuova che gli si presentava, trovando un riscontro incoraggiante nei risultati raggiunti. In un articolo importante del 1903 (dopo un paio di anni dall'apertura della Colonia S. Salvatore di Nuova Olonio) ha riassunto con molta semplicità la situazione come gli appariva, con le prospettive che si stavano aprendo.
Scrisse: « Non ci rimorde l'animo di aver trascurato per l'addietro di interpellare professori distinti in proposito; ma forse chi ha fatto per un tempo senza vero profitto, indagini e cure, può credersi dispensato di farne altre, quando i progressi scientifici progrediti d'assai, possono dare speranza di riuscire a migliorare anche di poco lo stato di quei poveri incoscenti? ».
In realtà non aveva evitato di approfondire il problema con esperti; qualche anno prima s'era posto in contatto con due professori (prof. A. Sala e prof. A. Gonnelli) che avevano aperto una istituzione per handicappati a Chiavari e poi si erano trasferiti a Vercurago; aveva avuto buone indicazioni e gli si erano anche offerti a seguire le sue istituzioni con competenza e carità. Aveva fatto un cenno sul suo bollettino e molti si mostrarono interessati e gli scrissero, dando e chiedendo pareri. Naturalmente furono numerosi anche gli incoraggiamenti e le esortazioni a un buon lavoro in questo settore. Non si chiedeva del resto molto, in quel tempo: per cominciare, una precisa distinzione teorica e pratica fra handicappati mentali e dementi, raccolti tutti assieme nei manicomi che in quel tempo andavano organizzandosi in ogni provincia. Seconda cosa, ma già più difficile, che la famiglia restasse più vicina a questi figli che non erano per nulla pericolosi e che trovavano nella famiglia la collocazione e l'ambiente più opportuno e più giusto.
« A noi parve e pare ancora che il trattamento repressivo in uso nei manicomi, e un tantino anche nelle stesse famiglie in cui vi sono deficienti, sia poco opportuno e, ce lo si lasci dire, poco umano. Purtroppo con questo metodo i cretini non facevano. — e non fanno — che diventar più cretini e la società assiste a uno spettacolo che se poteva tollerarsi nei secoli andati, non è più tollerabile nel nostro. Ci ha sempre rattristato l'animo [...] che molte famiglie, pur di sbarazzarsi di individui molesti, ricorrono con troppa facilità ai manicomi, ai pii ricoveri, ed alle stesse case di correzione, mancando gravemente non solo contro la carità, ma perfino contro la giustizia, riguardo a persone che avrebbero tutto il diritto di crescere, vivere e morire dentro le pareti del domestico focolare ».
L'esperienza di Nuova Olonio venne dunque in buon punto: sulla linea delle prime esperienze e attività svolte in precedenza nelle altre case, essa si riassunse nell'antico « fede e lavoro », come ben comprese padre Gemelli, sintetizzando così l'intervento di don Guanella, sulla tradizione cristiana. Del desiderio e anzi della precisa intenzione di don Guanella, di dedicarsi alla bonifica radicale e finale del Pian di Spagna sopra Colico, si parlava da qualche tempo, con curiosità, con interesse e anche con qualche diffidenza: un'opera impegnativa che sembrava superiore alle forze e ai mezzi di don Guanella. Quando poi si vide come si organizzava l'avvio ci fu piuttosto delusione. Sul battello che portava da Como a Colico il gruppetto iniziale di giovani inviati da don Guanella, si disse chiaro e tondo al buon prete che li accompagnava: « Povera Colonia, se ti fondi su quei lavoratori! » e peggio fu fatto e detto quando sbarcarono a Colico e si avviarono su carretti verso la Casa Castella, la costruzione rustica dove si accamparono negli inizi. Erano stati invitati alcuni robusti sterratori veneti per i lavori più pesanti e per organizzare l'opera di bonifica. Ma molto meno si poteva sperare dal gruppo di handicappati, «che lavorano come possono, quando possono e quanto possono... ». Invece dalla collaborazione fra questi tecnici, gli handicappati e qualche contadino del luogo maturò in breve tempo un rinnovamento impensato di tutta la zona. Quanto al gruppo di handicappati, « si vedono veri prodigi in quei poveretti cui natura ha dato in misura tanto scarsa il bene dell'intelletto ». « Nel vedersi utilizzati nei lavori campestri più materiali i poveri deficienti si sentono quasi riabilitati! Essi con vivissima compiacenza amano mostrare agli altri che valgono qualcosa e si guadagnano il loro pane. Taluni perfino si credono preferiti nella loro classe, appunto perché hanno imparato a smuovere il terreno o a trascinare un vagoncino di terra sui binati volanti ». La meraviglia e la gioia infantili di questi « piccoli » diventano stupore negli adulti che vedono questa trasformazione: si sentono coinvolti nell'attività creatrice della natura: i frutti di essa sono anche il loro frutto; si sentono immersi nella ricchezza della vita che trasforma terre improduttive e malariche, tutte le loro facoltà si sentono impegnate in modo non artificioso, spontaneo; nasce l'emulazione incoraggiante; si aprono ai rapporti verso gli altri con cui collaborano con un certo orgoglio; partecipano ai rischi, alla durezza, agli imprevisti del lavoro, specialmente del lavoro agricolo; cresce l'interesse verso un mondo che si rivela ai loro occhi e al loro rapporto in modo sempre nuovo; partecipano ai frutti, al guadagno; la mente si apre gradualmente alla realtà di tutto questo mondo di persone, di cose, di animali, senza la mediazione pesante e per essi inaccettabile dei libri e della scuola. Quello che aveva intuito, sentito, un po' anche previsto diventava nella realtà qualcosa di ben più vero. Incaricò il prof. Pietro Parise di stendere una serie di articoli; la realtà, tuttavia precedeva gli studi e le riflessioni. A Nuova Olonio era stato accentuato, per ragioni ambientali, il lavoro tipicamente agricolo. Don Guanella lo considerava tuttavia anche il più adatto, anche se non unico, per influire profondamente e più largamente sulla personalità di questi handicappati. Da quel contesto emersero anche varie difficoltà, alcune più generali, altre più tipiche rispetto alle scelte fatte di lavoro agricolo. Don Guanella per quanto potè le affrontò con i mezzi che i tempi, le persone o, infine, la fede gli suggerivano, con coraggio. Le difficoltà cominciavano da quella più banale, ma anche condizionante, della povertà dell'opera e della scarsità di aiuti: « Gli amici [...] ci raccomandano e ci spronano a completare la bonifica e lo sviluppo della Colonia, per il vantaggio morale di curare più largamente e maggior numero di deficienti. Ma... e i soldi dove si trovano? ». La risposta la attinge alle proprie esperienze precedenti e in fine alla fede: « Se ci fosse una forte donazione [...] ovvero se si potesse intavolare una lotteria [...]. Basta! La Provvidenza maturerà queste aspirazioni nostre ». Le difficoltà sanitarie igieniche a Nuova Olonio si rivelarono specialmente con il rischio della malaria; ed egli considera possibile combatterla per due vie: direttamente e indirettamente.
« Anche per questa, vale a dire per combattere i suoi maligni influssi, ci vogliono abnegazione, sforzi e denari, perché non si può veramente dire che la malaria del Pian di Spagna sia fra quelle ribelli ad ogni rimedio. Sì, i rimedi vi sono e il poco che già si è fatto, prosciugando il terreno circondante il caseggiato, vi ha sensibilmente migliorata l'aria. Del resto si potrà forse col tempo completare un'alpe, magari lungo lo stradale dello Spluga, e mandarvi alla buon'aria Preti, Suore, deficienti e il bestiame. Avremo raddoppiata, triplicata l'efficacia delle nostre cure verso i nostri deficienti, i quali ne avranno miglioramento nel fisico e nel morale »...
Si può aggiungere che l'anno seguente l'alpe di Montespluga era già in pieno funzionamento con soggiorno estivo e attrezzature occorrenti, tra cui una latteria funzionale a vantaggio anche degli altri pastori della zona. La famiglia poteva costituire pure difficoltà talvolta perché troppo desiderosa di liberarsi in ogni modo del figlio handicappato, ricorrendo a pii ricoveri, ma anche a manicomi o case di correzione, dove « non vi entreranno anche poveri incoscienti, che non hanno perduto un'intelligenza che mai ebbero? ». Oppure la famiglia poteva cercare, egoisticamente, di sfruttare la situazione cercando qualche beneficio economico: « Poi gli stessi parenti che si lagnano cogli uomini e con Dio del peso di dover mantenere questi propri cretini, invece di contribuire per il ritiro, vorrebbero esser pagati da chi ricovera quei poveri esseri ». Anche gli enti, specialmente i Comuni, negano gli aiuti; evidentemente questo tipo di assistenza non è ancora entrato nella mentalità degli amministratori e trova scarsi appigli nelle leggi: bisogna esser considerati soggetti pericolosi per la comunità, per esser presi in considerazione sia pure in qualche modo! Non solo negano gli aiuti, ma negano anche i soggetti; così che, osserva don Guanella con disappunto, « per avviare le due case di Ardenno, si dovettero inviare lassù i deficienti delle case nostre di Como e di Milano ». Conseguenze strane di atteggiamenti incomprensibili. Infine, crea difficoltà da parte degli stessi handicappati, l'amore innato a sottrarsi a ogni disciplina, l'amore della libertà; si apre tutto un discorso di rispetto per la persona e di equilibrio tra le esigenze profonde dell'uomo e quelle concrete e immediate di un intervento certamente vantaggioso. Esperienze, difficoltà e riflessioni portarono a determinare alcune linee di assistenza e di educazione di queste persone, che per don Guanella sono da ritenere fondamentali. Anzitutto conta la motivazione di fondo: anche questi handicappati, pur con tutti i limiti e le difficoltà che comportano, sono persone e, per don Guanella, sono figli di Dio. « Si nutre verso di loro vera stima come a creature di Dio, vero amore come a membra di Gesù Cristo; essi sono buoni e cari a Dio ». Una motivazione cosi fondata dovrebbe essere in grado di reggere all'usura delle difficoltà anche gravi. È pure principio fondamentale che « sono deficienti, ma il più delle volte sono capaci di qualche miglioramento ». È quindi necessario un adattamento e un aggiornamento continui. Per costituire un ambiente adatto, occorrono metodo preventivo e un notevole spazio di libertà. L'uso del metodo preventivo esclude coercizioni e repressioni, non conosce castighi; ma suppone relazioni e condivisione come si stabiliscono in una famiglia. E il metodo preventivo deve essere adattato alla particolare situazione. Spesso succedeva che, venendo a mancare la famiglia, la casa di don Guanella rimaneva l'unica casa e famiglia per l'handicappato.
E, quanto alla libertà, ripeteva don Guanella: « Sono già tanto sofferenti, non si tormentino con restringere troppo gli atti della loro libertà, con il pretesto dell'ordine disciplinare ». Case e sezioni vivevano con porte e cancelli aperti, come piccoli paesi ordinati, ma aperti all'interno e verso l'esterno. Alla base del metodo educativo stava il lavoro, preferibilmente agricolo, trattandosi spesso di adulti abbastanza gravi e provenienti da ambienti agricoli; anche in questi casi, per quanto possibile, si trattava di un dovere, non di un passatempo. E, agendo con misura e discrezione, utilizzando immagini e segni sensibili, diventava possibile portare avanti la mente e il cuore verso qualche conoscenza religiosa. Così don Guanella apriva una strada che avrebbe portato molto lontano la scienza, la tecnica e l'esperienza nello sviluppo, nella crescita e nella maturazione della persona dell'handicappato mentale. La meta poteva apparirgli abbastanza lontana e difficile; era tuttavia notevole l'avviarsi lungo il cammino. Al momento sembrava sufficiente avere aperto una via di speranza. « Se, com'è certo, molti resteranno ribelli a ogni cura, l'avere tentato di migliorarli e il dar loro pane e ricovero, sarà opera vana? ». (da, "Gli 'Ultimi', i primi della sua missione" - Don Piero Pellegrini)
Neste dia 16 de outubro, às 9h da manhã no Santuário Basílica da Medianeira em Santa Maria-RS, tivemos a celebração da Santa Missa de ação de graças pelos 70 anos da presença dos Servos da Caridade no Brasil e foi transmitida para todo o Brasil pela Rede Vida. A Missa foi presidida pelo bispo da Diocese de Barra do Garças-MT, Dom Protógenes José Luft (Servos da Caridade) e pelo Bispo da arquidiocese de Santa Maria-RS Dom Hélio Adelar Rubert e por sacerdotes, irmãos Servos da Caridade, Irmãs Filhas de Santa Maria da Providencia, Guanellianos Cooperadores, educadores e alunos das escolas Guanellianas de Santa Maria, juntamente com a comunidade local.Em 1947 a história do carisma de São luís Guanella chegou ao Brasil em Santa Maria-RS com dois coirmãos Servos da Caridade vindos da Itália e lançando em terras brasileiras as primeiras sementes da obra de caridade. Atualmente os Servos da Caridade estão presentes no Brasil em seis estados e o DF . Rio Grande do Sul, Paraná, São Paulo, Rio de Janeiro, Mato Grosso, Pernambuco e Brasília
Don Guanella lasciò ai suoi figli l'impegno di sviluppare e perfezionare le sue opere, seguendo la linea tracciata. Le necessità non sono diminuite; anzi, i motivi e i casi che chiedono il nostro aiuto crescono sempre più; per molte famiglie, specialmente, è divenuto difficile o impossibile lasciare in casa l'invalido, il cronico, l'anziano, quando tutti i familiari devono esser assenti l'intera giornata per i propri impegni. Mille casi diversi battono alle nostre porte; e vorremmo non dire mai di no a tante miserie e a tanti dolori. Forse la nostra fede non è grande come i nostri desideri, se non ha saputo — questa fede che può muovere le montagne — innalzare tanti edifici per ciascun genere di dolori: per i cronici allettati e i minorati fisici, per i minorati psichici, per gli epilettici, per gli anziani di condizione più umile, più adatti e più inclinati a una forma più collegiale; per gli anziani soli, di condizione più distinta, con le esigenze che una professione svolta lungamente ha lasciato in loro e delle quali la carità deve preoccuparsi. Qualcuno ci chiede anche degli appartamentini per coniugi anziani, che pure hanno bisogno di cure e vigilanza e che sarebbe inumano dividere in quegli ultimi anni. Ci sentiamo ancora lontani dall'ideale proposto dal Fondatore: avere cuore e posto per tutti. Ne manteniamo tuttavia le limitazioni imposte fin dal principio: vengono escluse le persone di incorreggibile immoralità e gli alienati furiosi, per i pericoli che comportano; quelle colpite da malattie contagiose o da malattie acute, cui provvedono gli ospedali; normalmente non accogliamo neppure ammalati cronici ormai vicini alla morte: è dovere della famiglia assistere i propri cari, confortandoli in quegli ultimi momenti.
« Noi abbiamo un tesoro — ci ha detto il Fondatore — : i nostri vecchi. Lo sono religiosamente, poiché assomigliano di più a chi disse di sé: ego vermis et non homo. L'infermeria si può ben dire Casa od Ospizio di Dio, perché in essa si ricoverano i poveri infermi, che sono l'immagine più reale di Gesù Cristo. Attendete a confortare la miseria degli ammalati cronici e dei bisognosi con grande amore, perché essi ci manterranno le benedizioni celesti ».
Ma don Guanella ebbe ancor giovanissimo la persuasione di dover fare qualcosa per i poveri, specialmente invalidi o vecchi. Raccontò una « illusione o visione » avuta tra i cinque e sei anni, nella festa di S. Giovanni Battista, patrono della parrocchia. Stava per nascondere entro un fascio di legna un cartoccio di dolci per non doverli portare in chiesa, quando udì un batter secco di mani: e si vide davanti un vecchietto che gli tendeva le mani. Allungò il braccio per nascondere i dolci e rialzò gli occhi, pieno di timore: il vecchio non c'era più. Ne sentì gran pena e quasi rimorso; e non dimenticò più « quel vecchietto mingherlino; la pietà degli occhi e lo stender delle mani. Dite quello che volete, credete o non credete, questo è stato per me un segno della mia missione di beneficare i poveri, alla quale fin d'allora già mi sentivo chiamato ».
Divenuto chierico, saprà sacrificare interi mesi di vacanza per assistere vecchi e malati, studiando egli stesso certi rimedi vegetali su apprezzati testi di botanica medicinale. Lasciò le sue vallate alpine con l'animo pieno di predilezione per i miserabili, i disgraziati, gli invalidi, i vecchi, costretti a trascinare l'intera vita, o gli ultimi anni, in lacrimevole stato, come se non avessero in cuore anch'essi per soffrire, una missione da compiere, un'anima da rendere a Dio. Chiamarli « vecchi » non è bello e neppure esatto. Nel suo Regolamento, il Fondatore parla di « adulti bisognosi di ricovero » per motivi diversi: scarsità di mente, scarsità di forze fisiche e di salute corporale, incapacità di provvedersi il pane quotidiano, infine per età avanzata. Non dimenticava altre necessità più nascoste e spesso ugualmente dolorose: « Uomini decaduti da alta condizione, o di condizione semplice o professionale, nubili o vedovi senza famiglia, i quali si ritirano per bisogno, o per bisogno insieme ad amor di quiete, o per buono spirito di religione, o perché spinti da parenti o da circostanze imperiose ». Per tutti questi organizzò forma di assistenza più adatte e delicate, sotto il nome di pensionati. Per tutti lasciò norme educative, semplici ma preziose, e su alcune amò insistere: non allontanare queste persone dai luoghi di origine, ma raccoglierle e assisterle nei luoghi stessi cari al loro cuore e alla loro vita; fare attenzione ai difetti più comuni: sono persone permalose, schizzinose, incerte, malinconiche, facili ai lamenti, anche facili alle malignità se hanno avuto una vita corrotta; così elencava le loro buone virtù notate in tanti anni di esperienza; e insisteva perché fossero stimolati, anche con qualche ricompensa, a un lavoro proporzionato alle loro capacità: di giardinaggio o di colonia agricola, di facile costruzione di sedie e di canestri, e simili. Il suo scopo era di far sorgere in tutti i cuori la felicità, concedere un piccolo anticipo di paradiso. Si dice che i vecchi non sanno più ridere, occupati e preoccupati soltanto di sé. Don Guanella, quand'era coi suoi poveri, rideva di gusto e trovava facezie e buone parole per richiamare il riso anche sulle labbra dei più sofferenti. Giocava con loro, come si prestava con semplicità a render loro i più umili uffici di soccorso e di pulizia, con tanta cura che sembrava trattare nelle sue mani le carni sacrosante di Gesù Cristo; li chiamava « i nostri signori poveri ». Potè egli stesso osservare il risultato e farlo notare a qualche critico che riteneva impossibile tener unite tante persone senza ricorrere alla forza, a chissà quali costrizioni e violenze: « Nelle nostre case sono oltre cinquecento ricoverati; non sono legati che dal vincolo di carità: nessuno cerca di uscire, molti domandano di entrare, ed ognuno si trova a suo agio ».
Ma proprio qui nasceva l'obbiezione più facile: raccoglieva troppe miserie, la sua opera diventava un'arca di Noè, come scriveva un amico giornalista, da qui un certo disordine nella situazione. Ma vorremmo mormorare anche contro lo Spirito Santo che dava ai primi cristiani di Corinto tante grazie che essi non riuscivano neppure più a conservare un certo ordine? Don Guanella lasciava dilatare la carità che lo pressava; non sempre otteneva il meglio: «Ma l'ottimo è nemico del bene: importante è fare ».
E diceva con ironia a certi critici:« Uomini di buona volontà, non vi smarrite; date in abbondanza e in maggior abbondanza vi sarà la proprietà che desiderate » .
(da, "Gli 'Ultimi', i primi della sua missione" - Don Piero Pellegrini)
Estimados,
terminamos el Capítulo provincial, con el almuerzo junto con los abuelos/as del Hogar y con las Hermanas; y a las 15 horas con la Santa Misa de clausura.
Elegidos para el Capítulo general: P. Sergio Rojas y P. Nelson Jerez.
Sustitutos: P. Sebastián Bente y P. José de Jesús Fariña.